Tentazioni

 

La tempesta sedata

(seconda riflessione)

Dal brano del Vangelo di S. Matteo: 8, 24-27

24 «Et ecce motus magnus factus est in mari, ita ut navicula operìretur fluctibus; ipse vero dormiebat.

25 Et accesserunt et suscitaverunt eum dicentes: – Domine, salva nos, perimus! -.

26 Et dicit eis: – Quid timidi estis, modicae fidei? – Tunc surgens increpavit ventis et mari, et facta est tranquillitas magna.

27 Porro homines mirati sunt dicentes: – Qualis est hic, quia et venti et mare oboediunt ei? -».

LE TENTAZIONI

Narra S. Matteo al capitolo 8 del suo Vangelo che Gesù, desideroso di traghettare un braccio del mare di Genezaret per portarsi da Cafarnao nel paese dei Geraseni, montò su una barca e lo seguirono i suoi discepoli. Appena fu sciolta dal lido la navicella, si agitarono talmente le acque e così furiosa si sollevò la tempesta, che la barca fu tutta coperta dai marosi. Gesù, intanto, dormiva profondamente in fondo alla stessa barca quando i discepoli, vedendosi già vicini a naufragare, si rivolsero in fretta al divino Maestro e lo svegliarono dicendo: «Signore, salvateci perché noi periamo!». Alzatosi, Gesù rispose: «Perché temete, o gente di poca fede?». Poi comandò ai venti e ai mari e si fece grande bonaccia.

I Santi Padri, in questa navicella battuta dalle acque del mare in burrasca in cui dorme Gesù mentre i suoi discepoli si affaticano per non fare naufragio, identificano la santa Chiesa la quale, fin dal suo nascere, quasi barca in mare burrascoso, fu sempre combattuta da fierissime persecuzioni. Primi a perseguitare questa navicella di S. Pietro furono i tiranni persecutori che fecero scorrere il sangue dei martiri per ogni dove si estendeva il cristianesimo; poi, gli eretici con gli errori e le false dottrine; infine, innumerevoli cristiani con i loro stravizi e la loro disordinata condotta. In mezzo a tante procelle, per grazia di Dio, la Chiesa si mantenne sempre ferma ed immobile e qualunque attacco nemico non valse mai a farla minimamente crollare, perché di lei sta scritto che: « Portae inferi non prevalebunt ».

Ma della povera anima nostra, che ne sarà? Anch’essa è la mistica navicella, dicono i sacri commentatori, gettata nel mare tempestoso della vita e assalita da fierissime tentazioni. Si manterrà essa ferma, costante, inamovibile nella sua fedeltà verso Dio? Allontanerà sempre, con prontezza e diligenza, l’urto nemico di continue tentazioni? Ecco l’argomento che io oggi presento alla vostra considerazione, mie Suore, affinché voi possiate essere sempre fedeli a Dio e all’anima vostra, rigettando sempre, con ogni diligenza, qualunque tentazione vi possa assalire. Vi mostrerò con brevità la fonte da cui nascono le tentazioni e vi suggerirò poi i mezzi per vincerle e superarle con sicurezza. La materia, come vedete, è di somma importanza, perciò ascoltate con attenzione.

Il beato Giacomo da Varazze, che fu nostro Arcivescovo, dice che le burrasche di mare sogliono provenire da tre cause; dall’influsso maligno di certe stelle erranti che rannuvolano il cielo, conturbano l’atmosfera e scatenano la tempesta; dallo sconvolgimento che eccitano, in fondo al mare, certi mostri marini per cui si agitano le acque mettendo in pericolo le navi e, finalmente, dal soffiare dei venti impetuosi i quali gonfiano le onde, squarciano le vele, sconquassano i legni e, spingendo la povera barca ora sulla cresta di un maroso ora su quella di un altro, la mettono in pericolo di fare naufragio.

Anche nella divina Scrittura pare si faccia menzione di queste tre cause delle tempeste marine.

L’Apostolo S. Giuda, nella sua lettera canonica, parla di certe stelle erranti le quali hanno splendore e pare che illuminino, mentre il loro influsso è maligno e nuoce grandemente a coloro su cui si riflette. La luce di siffatte stelle, infatti, si estingue in perpetue tenebre. Nel Libro di Giobbe si fa menzione di un grosso pesce chiamato balena che, sconvolgendo con i suoi movimenti le acque del mare, copre di spavento i miseri naviganti. S. Luca, poi, narrando il fatto della burrasca sollevata in mare mentre Gesù si trovava in barca con i suoi discepoli, dice apertamente che i venti, col loro soffiare impetuoso, agitarono talmente le acque che, accavallandosi, i marosi minacciavano di sommergere la povera navicella.

Venendo ora alla morale e applicando al caso nostro l’esposta allegoria, possiamo dire che le tentazioni, le quali come burrasche spaventose mettono spesso in grande pericolo la mistica barchetta dell’anima nostra, possono provenire ugualmente in noi da tre funesti motivi: 1) dai dannosi esempi di cattive compagnie; 2) dalla propria concupiscenza; 3) dai soffi del vento contrario, cioè dal demonio.

Dapprima le tentazioni possono derivare dagli esempi di cattive compagnie. Purtroppo si trovano nel mondo, e talvolta anche nelle stesse famiglie religiose, persone che, con certi loro discorsi poco rispettosi concernenti l’ubbidienza dovuta ai propri superiori e la santa carità verso i propri simili, seminano, quasi senza volerlo, nel cuore di chi li ascolta il seme dell’insubordinazione e della discordia. Non mancano poi quelle che, mostrandosi superficiali e leggere, rustiche ed intrattabili, fanno scuola di vanità, di dissipazione, di parziali amicizie e di immortificazione così che, in breve, rovinano il buon andamento di una Comunità. Ora, questi o queste tali sono appunto quelle stelle di morte che, col saper dire la loro ragione in faccia a chiunque senza riguardo né a dignità, né a persone, né ad autorità, con astuzia sanno sottrarsi all’osservanza dei più sacri doveri vantando di avere talento e di essere pratiche ed illuminate tanto da poter benissimo fare da maestre alle altre, mentre in realtà esercitano un influsso tanto nocivo che è sufficiente a far naufragare nella pratica della virtù e della cristiana perfezione tutte le loro compagne. Stelle malaugurate che, continuando a camminare fuori della retta via della religiosa osservanza, non possono aspettarsi altro che le tenebre sempiterne.

La seconda causa delle tentazioni è la nostra concupiscenza la quale, nel fondo del nostro cuore come le balene nei mari, suscita talvolta tale e tanto tumulto, che pare proprio voglia mettere a soqquadro tutte le virtù della povera anima nostra. S. Agostino paragona allora il nostro cuore alla nave in pericolo durante la tempesta. La concupiscenza è il pessimo effetto del peccato che rimane in noi anche dopo il battesimo; è quella che forma in noi quella legge del peccato contraria alla legge dello spirito, per cui il S. Apostolo Paolo tanto si affliggeva e tanto temeva di venir meno alla grazia di Gesù Cristo, che andava sospirando: «Chi mi libererà da questo corpo di morte?». La concupiscenza ci spinge a mal fare, ci distoglie dall’operare il bene, si trasforma in tutte le passioni dell’animo nostro, assume mille forme per combattere la vita dello spirito: con la superbia combatte la santa umiltà, con la cupidigia e l’attaccamento ai miseri beni della terra fa guerra alla povertà cristiana, con l’amore ai piaceri terreni mette in fuga la purezza dell’anima o, per lo meno, ne intorbida il sereno e ne diminuisce la bellezza, con l’irascibilità annulla la pazienza, con la curiosità la modestia, con la golosità la temperanza, con la tenacia la misericordia, con l’accidia la devozione, con il timore la confidenza, con la tristezza e la malinconia la carità, e genera, infine, la disperazione e la morte.

La terza causa, finalmente, da cui spesso hanno origine le violente tentazioni che talora ci assalgono, è il soffio del vento contrario, voglio dire l’istigazione del demonio. Il demonio, dice S. Pietro, ci gira sempre attorno come un furioso leone, per far preda dell’anima nostra. Egli fa come un capitano di armata il quale, volendo impadronirsi di qualche fortezza, le gira bene attorno e l’assale là dove la vede più debole. Così il demonio va esplorando bene tutte le tendenze e le inclinazioni dell’anima nostra e, dove ci vede più deboli, ivi rivolge i suoi assalti. A volte ci spinge a violare un precetto, a volte ci trattiene dal praticare una virtù. Quell’anima la conquista per mezzo della collera e del risentimento, questa per mezzo della dissipazione e della negligenza; una coi piaceri, l’altra con la vanagloria e la propria stima. In mezzo a tanti combattimenti, assalite da tanti nemici, bersagliate da tante burrasche, chi ci scamperà dal naufragio? Chi ci salverà dalla morte del peccato?

Vedute le cause e l’origine delle nostre tentazioni, vediamo ora quali siano i mezzi che dobbiamo usare per non rimanere sommersi dalle onde di sì violente tempeste. Essi sono vari, secondo la diversa natura delle tentazioni che ci si presentano. Se le tentazioni ci vengono dall’esterno, voglio dire se noi siamo tentati di venir meno ai nostri doveri dai cattivi esempi di qualcuno dei nostri simili, dobbiamo fuggirne la compagnia, astenerci dal conversare con tali persone e non intavolare discorsi, né contrarre con loro familiarità alcuna; altrimenti la mistica navicella della povera anima è in pericolo e, dice lo Spirito Santo: «Chi si mette volontariamente in pericolo, cioè in occasione di peccato, cadrà nel pericolo stesso».

Se il parlatorio, ad esempio, vi è motivo di mormorare o di restare dissipata e svogliata nel fare il bene, non ci andate. Se quella visita vi riempie la testa di fantasie, di desideri e di pretese, astenetevene. Se quella persona vi sollecita ad insuperbirvi, ad assecondarvi, ad accontentarvi, lasciatela stare da sola. Voi ricordatevi di ciò che vi impone la santa legge di Dio e del vostro stato, altrimenti farete naufragio nella carità, nella devozione e nella grazia di Gesù Cristo.

Se, poi, le tentazioni sono di quelle che nascono nel nostro cuore o dalla nostra malvagia concupiscenza o dall’istinto maligno del demonio, non bisogna inasprirsi o perdersi d’animo, ma ricorrere a Dio con confidenza e rassegnazione. I Santi Apostoli, quando videro agitarsi il mare, gonfiarsi le onde e alzarsi i marosi, non se ne stettero con le mani in mano, ma ricorsero chi al timone, chi alle vele e, quando videro che non bastavano le loro forze per resistere al pericolo, ricorsero a Gesù e gli dissero: «Signore, salvaci, noi periamo!». Così anche noi, quando sentiamo sollevarsi nel fondo dell’animo certe tentazioni, sentimenti d’ira, di avversione, di tristezza o di diffidenza, o affacciarsi alla nostra mente certe fantasie ed impure rappresentazioni, non ci perdiamo di coraggio e non stiamo inoperosi, ma presto procuriamo di volgere altrove l’attenzione o di frenare la nostra superbia o di mortificare con più diligenza i nostri sensi e, dopo tutto questo, rivolgiamoci con grande umiltà e maggiore confidenza a Gesù che dorme nel nostro cuore a causa del nostro torpore e della nostra tiepidezza e, facendo appello alla fede, alla speranza e alla carità, svegliamolo e diciamogli con tutto l’animo: «Signore, salvateci voi da questo pericolo, perché non siamo capaci di liberarcene». Gesù si alzerà e, comandando al vento e al mare, cioè infondendoci una grazia più copiosa e più efficace, tranquillizzerà ogni tumulto e l’anima resterà in pace.

Notate bene, però, che non dobbiamo pregare il Signore che ci liberi dalla tentazione: questo no, perché nella nostra condizione di miseri figli di Adamo non è possibile poter condurre la vita senza contrasti e senza combattimenti; dobbiamo solamente pregarlo di darci la grazia per non cedere alla tentazione e riportare vittoria su di essa, dobbiamo formulare, in questo caso, la preghiera degli Apostoli a Gesù addormentato nella barca, insieme a quella che lo stesso divino maestro ci insegnò nella sesta domanda del Pater Noster. Quando, nel Pater Noster, noi chiediamo al Padre celeste che non ci induca in tentazione, non intendiamo pregarlo che ci liberi da ogni tentazione, ma di non lasciarci cadere nella tentazione e di sostenerci sempre col suo divino aiuto, in modo da riuscire sempre vittoriosi.

Oltre a ciò, un altro efficace mezzo per riportare vittoria sulle tentazioni, di qualunque genere esse siano, consiste nel ricorrere alla Beatissima Vergine. Se noi amassimo di vero cuore Maria, Ella ci salverebbe da ogni pericolo. Ella ha il titolo di «Stella del mare», appunto perché ci salva nel mare tempestoso di questo mondo. Quando, dunque, ci sentiamo assalire da qualche fiero impeto di vento contrario o di smodata concupiscenza, rivolgiamoci con affetto a questa «Stella del mare»:
« Aspice stellam, voca Mariam » e, in mezzo alle nostre tempeste, diciamole con veri sentimenti di amore: «O Maria, tu sei l’unica stella che può salvare la navicella dell’anima mia».

Se poi, dopo tutto questo la tentazione non cessa, il sereno non viene, la calma non subentra, conviene rimettersi con lieta rassegnazione al divino beneplacito. Dio, infatti, tiene in considerazione il nostro buon volere e noi dobbiamo essere certi che le tentazioni non possono turbare mai un’anima che le sa dissimulare e che, anche qualora una tentazione di qualsiasi natura durasse tutta la nostra vita, non potrebbe mai renderci sgraditi al nostro buon Dio, purché essa non sia da noi accolta ed assecondata.

Notate bene che passa grandissima differenza tra il sentire la tentazione e l’acconsentire alla stessa; uno può sentire le tentazioni anche se gli dispiacciono, ma non vi può acconsentire senza che esse gli piacciano, poiché il piacere, per ordinario, serve di scalino per arrivare al consenso.

Quanto a voi, avendo l’anima vostra concepito il grande desiderio, ispiratole da Dio, di non essere che di Lui e di non vivere che per Lui, non siate facili a credere che l’anima vostra presti il suo consenso a tentazioni contrarie al suo santo desiderio. Se voi ne sentite l’importunità ed il vostro cuore se ne lamenta, non sono forse questi contrassegni che esse non sono da voi accettate con consenso deliberato?

Non vi turbate, o mie Suore, all’arrivo di certe tentazioni. Esse, forse, vi turbano perché vi pensate troppo. Il disprezzo per certe tentazioni è il miglior rimedio e il più utile. Il Signore permette che siamo combattuti e travagliati da funeste tentazioni per provare la nostra virtù, per esercitare la nostra pazienza, per risvegliare in noi la fede: per darci, in una parola, occasione di acquistare maggiori meriti per il paradiso. Lo Spirito Santo, per bocca dell’Apostolo S. Giacomo, dice: «Beato l’uomo che soffre la tentazione perché, dopo che sarà stato provato, riceverà la corona della vita che Dio promise a coloro che lo amano veramente».

Se noi facciamo ogni sforzo per combatterle, non temiamo che si abbia a perdere la nostra barca ove riposa Gesù. Egli dorme, o finge di dormire, nel nostro cuore, perché noi poco lo amiamo, ma se a Lui ci accostiamo con vero fervore si sveglierà presto e, levandosi su, comanderà alle passioni che si tranquillizzino e così alla burrasca subentrerà per noi la tranquillità e la pace.

Amen.