Padre nostro 2

 

COMMENTO ALLA PETIZIONE DEL PADRE NOSTRO:
«Non ci indurre in tentazione»

È cosa fuori dubbio che quelle anime generose le quali, dando «addio» a quanto di attraente può presentare loro il mondo, e superando ogni attacco ai beni terreni hanno deciso saggiamente nel loro cuore di darsi ad una vita più umile e mortificata, più fervorosa e devota, sono quelle contro le quali maggiormente si scaglia il nemico dell’eterna nostra salvezza.

Contro queste il demonio tende principalmente le sue insidie, i suoi lacci, le sue armi, né trascura nessuna arte per farle rilassare nel loro vivere, per trattenerle dall’avanzare nella via della perfezione e per indurle in mancanze e difetti.

Finché il popolo d’Israele viveva la sua dura schiavitù, soggetto al Re Faraone, questo fiero monarca lo lasciò in pace, contentandosi che si sottomettesse alle solite fatiche e tributi. Ma quando Israele gli propose di uscire dall’Egitto per sacrificare al suo Dio nel deserto, il Faraone gli raddoppiò i travagli.

Quando poi lo vide allontanarsi dall’Egitto e indirizzarsi alla terra promessa, armò subito il suo esercito e l’incalzò alle spalle per raggiungerlo e ridurlo alla servitù più dura. Così fa il demonio quando un’anima determina di scuotere il giogo di questo terribile nemico e della sua indegna servitù con l’abbandonare quelle colpe e trasgressioni che tanto la disonorano nel cospetto di Dio e con l’uscire una buona volta dallo stato di tiepidezza; e ancor più quando un’anima, sciolta da ogni disordinato affetto, si è già data interamente a Dio, le manda contro un terribile esercito di tentazioni e di assalti, per farla deviare dal retto sentiero.

Ma ringraziamo Dio che ci ha provvisti di un’arma celeste che, se ben usata da noi, ci rende vittoriosi contro ogni assalto diabolico. Quest’arma è il Padre nostro, in cui Gesù Cristo ci ha insegnato e imposto di ricorrere a Dio, al Padre delle misericordie e di pregarlo ogni giorno e, più spesso ancora, di rimetterci non solo i nostri debiti, di perdonarci non solo i nostri peccati, ma di darci forza ed aiuto per resistere a tutte le tentazioni e non permettere mai che restiamo da queste sorprese e vinte: «et ne nos inducas in tentationem». Questa è la domanda che noi facciamo al nostro Padre celeste nel Pater noster e di cui parleremo oggi, meditando quanto essa sia importante: vedremo cosa s’intende per tentazione; chi sia chi ci tenta a mal fare; i mezzi che dobbiamo adoperare per vincere la tentazione.

Le ragioni che principalmente ci fanno conoscere l’importanza di ricorrere a Dio con la domanda «non c’indurre in tentazione», sono l’estrema nostra debolezza e miseria, la molteplicità delle tentazioni da cui siamo combattuti e l’esempio che in ciò ci diede lo stesso nostro Divin Salvatore. Chi non conosce la propria infermità e debolezza? È tanta e tale la nostra fragilità che, nono-stante ogni nostra risoluzione, noi non possiamo resistere a tentazioni così continue e moleste da cui siamo combattuti e, senza l’assistenza dell’aiuto e della grazia di Dio, non possiamo aspettarci altro che miserevoli cadute.

La Sacra Scrittura ci dimostra l’evidenza di questa verità. Tutti i SS. Apostoli, durante l’ultima Cena, mossi da generosi sentimenti, protestarono al divino Maestro di non abbandonarlo mai. Ma quanto durò una tale risoluzione? Non appena lo videro caduto nelle mani dei suoi nemici, tutti, presi da panico, vilmente, l’uno dopo l’altro, l’abbandonarono, fuggirono dalla sua compagnia, e lo stesso Pietro che, più intrepido e coraggioso degli altri, aveva affermato che non l’avrebbe mai abbandonato anche a costo di essere incarcerato con lui e che piuttosto sarebbe andato a morire con lui anziché negarlo, alla semplice voce di una serva giura e spergiura di non averlo mai conosciuto.

Ora, se uomini santissimi quali erano gli Apostoli, per la fragilità dell’umana natura di cui si fidavano, peccarono sì gravemente, che non dobbiamo temere noi, che siamo tanto lontani dalla santità? Se vacillarono e furono scosse le più ferme colonne della Chiesa, come potremo resistere con le sole nostre forze, noi che, in confronto a loro, non siamo che fragilissime canne?

Ma ciò che maggiormente ci convince dell’importanza di fare spesso ricorso a Dio con questa domanda non c’indurre in tentazione, è la molteplicità dei tentativi nemici. Noi siamo combattuti al di dentro, al di fuori, nel corpo, nell’anima. Noi siamo attaccati dal demonio, dal mondo, dalla carne e questo non per un giorno o per due, ma per tutta la vita, così che questa misera vita, secondo

l’espressione di Giobbe, non è che una guerra continua, cioè una tentazione continua. Chi non sente dentro di sé la forza, quasi irresistibile, dei desideri sregolati e dell’ira? Chi non ne esperimenta le moltissime punture? E sono tanto diversi e vari gli assalti del nemico, che è difficilissimo non riceverne ferite o piaghe.

Oltre poi a questi nemici, che abitano e vivono con noi, vi sono anche quelli di cui parla l’Apostolo quando ci avverte che non dobbiamo solo combattere contro la carne e il sangue, ma anche contro i principi e le potestà, vale a dire contro i demoni, i quali o ci combattono apertamente, o per vie nascoste, ma sempre cercano di penetrare nell’animo nostro in modo tale, che a mala pena ce ne possiamo guardare.

Come potremo noi, sì deboli e fiacchi, resistere a nemici così forti, ad assalti così violenti, a così dure tentazioni senza un’assistenza del divino aiuto, senza chiederlo al nostro Padre celeste con quest’umile preghiera: non c’indurre in tentazione?

L’esempio che ci diede in ciò Gesù Cristo finisce di mostrarci l’importanza di fare a Dio questa domanda. Prevedendo il divin Salvatore di dover essere tentato tre volte dal demonio, si portò nel deserto ed ivi si preparò a vincere queste tentazioni, digiunando e pregando per quaranta giorni e quaranta notti continue, insegnando così a noi che, se vogliamo essere vittoriosi contro gli assalti dei nostri nemici, dobbiamo prepararci con l’orazione. Questo meraviglioso esempio di armarsi contro le tentazioni con la preghiera, lo sapevano ben praticare i Santi.

S. Paolo, quando fu così fortemente tentato dall’an- 210

gelo di Satana, per respingere il maligno tentatore si serviva del rimedio della santa orazione: rimedio che ci ha proposto e comandato lo stesso Gesù Cristo per preservarci dal cadere nella tentazione, quando disse ai suoi discepoli: «Vigilate e pregate per non entrare in tentazione». Gli Apostoli, che per primi non misero in pratica questo grande avvertimento del loro Maestro, furono anche i primi a cadere nella tentazione di vilmente abbandonarlo. È dunque di grande importanza ricorrere a Dio ed implorare il suo divino aiuto, per non soccombere alla tentazione dei nostri spirituali nemici: «ne nos inducas in tentationem».

Ma che cosa s’intende per tentazione? Generalmente parlando s’intende una prova a cui viene sottoposta una persona. In questo senso possiamo dire che Dio tenta i suoi più cari e più diletti per provare la loro virtù, per farla conoscere al mondo, affinché possa servire ad altri di modello e li possa ricompensare più largamente. Così tentò la fedeltà di Abramo col duro comando che gli diede di sacrificare il suo unico figlio Isacco, così Tobia con la dolorosa cecità, così gli Israeliti nel deserto, per vedere se veramente lo amavano. E così, tanti furono tentati da Dio con afflizioni, malattie, povertà ed altri infortuni, per sperimentare la loro virtù, la fedeltà e l’amore verso di Lui, poiché, dice S. Pietro, come l’oro viene provato e purificato col fuoco, così la virtù e la fedeltà delle anime viene provata dalla tentazione.

Ma non si fa a Dio, in questo senso, la presente domanda del Pater noster, né questa è la tentazione in cui chiediamo di non essere indotti. Per tentazione, noi qui intendiamo tutto ciò che induce al peccato: e allora noi siamo veramente tentati, quando siamo sollecitati al male, in qualsiasi modo.

In questo senso Dio non tenta alcuno perché, essendo infinitamente buono e odiando sopra ogni cosa il peccato, non può mai essere che Egli induca qualcuno a commetterlo. Dio non è, dice S. Giacomo, tentatore di mali e in questo senso Egli non tenta nessuno. Chi è, dunque, che ci tenta propriamente al male e al peccato? In primo luogo è il demonio, il quale, per l’odio implacabile che porta a Dio, nel vedersi da lui scacciato dal paradiso e condannato all’inferno, vorrebbe vederlo disonorato da tutti; per questo non cessa mai di spronarci ad offenderlo; egli è invidioso del nostro bene e non vorrebbe che alcuno di noi arrivasse mai a possedere quella gloria che egli, per colpa sua, ha perduto, perciò ci tenta di continuo per farci a lui compagni nella colpa e per averci poi compagni nelle pene dell’inferno.

Questo fiero nemico tende continuamente le sue insidie, adattandole alla diversità dei temperamenti e degli spiriti. Quando un capitano d’armata vuol prendere una fortezza, la circonda tutta intorno e, constatando quale ne sia la parte più debole, da quella parte l’attacca e la batte. Così fa con noi il demonio; egli va esplorando in noi la parte più debole, vale a dire quella passione a cui siamo più inclinati e contro di questa dirige tutti i suoi assalti, nelle sue suggestioni fa lega col mondo e con le nostre passioni e li arma contro di noi. Arma il mondo e ci tenta con l’offrirci comodi e passatempi con l’impegnarci in conversazioni troppo libere e pericolose, con discorsi poco confacenti alla carità cristiana, o con cattivi esempi che ci fa osservare in altri. Arma contro di noi le passioni con l’eccitare in noi stimoli ed affetti meno casti e con l’accendere in noi le fiamme impure della concupiscenza. Sono questi i capitali nemici da cui siamo continuamente tentati e non vi è stato, età o condizione di persone, che non esperimentino i loro fatali combattimenti.

Che cosa dunque domandiamo a Dio quando gli diciamo: non c’indurre in tentazione? Conoscendo da una parte la nostra fragilità e debolezza e dall’altra l’astuzia e la forza dei nostri nemici, preghiamo il Signore che allontani da noi la tentazione, o almeno non permetta che siamo tentati sopra le nostre forze. Lo preghiamo che non ci abbandoni nel tempo della tentazione ai desideri del nostro cuore, né ci lasci sorprendere e molto meno soccombere agli assalti dei tentatori.

Lo preghiamo, infine, che ci assista con la vittoriosa, potentissima sua grazia affinché, senza mai prestare il nostro consenso e cedere ai nostri nemici la palma della vittoria, possiamo sempre superare e vincere la tentazione.

«Se non siamo privi del suo aiuto, dice S. Agostino, anche se ingannati, non consentiamo alle sue tentazioni, anche se afflitti, non cediamo alle sue insinuazioni».

È vero che l’essere combattuti da grandi tentazioni non è peccato, anzi, dalle tentazioni derivano molte utilità e beni grandissimi. Da queste, infatti, impariamo a conoscere la nostra debolezza e miseria e quindi a diffidare di noi stesse e confidare maggiormente in Dio; impariamo ad essere umili, ad esercitare la pazienza con la mortificazione ed altre virtù assai pregevoli e care, per cui i Santi, invece di rattristarsi, si rallegravano quando erano travagliati dalle tentazioni ed oppressi da esse. La divina Scrittura chiama beati e veri amici di Dio quelli che sono tentati perché, dopo la dura prova, riceveranno la corona di gloria. Il male è cedere alla tentazione, perciò noi dobbiamo vigilare attentamente, resistere con ogni diligenza e, oltre che pregare il nostro divin Padre di non lasciarci vincere dalle tentazioni suscitate dai nemici delle anime nostre, bisogna che adoperiamo anche tutti quei mezzi che sono necessari per non soccombere alla tentazione.

E quali sono questi mezzi? direte voi. Che dobbiamo fare per non essere sopraffatti dai nostri spirituali nemici? Molti ne vengono segnalati dai maestri di spirito: la vigilanza dei nostri sensi, la solitudine e la mortificazione, la frequenza ai Sacramenti, ma due sono i principali, cioè: la fuga dalle occasioni e il pensiero della presenza di Dio. Il primo mezzo, dunque, per vincere le tentazioni è nel fuggire le occasioni e quelle specialmente la cui fuga dipende da noi, nell’allontanarci, cioè, da tutti quei pericoli ed oggetti, che alle tentazioni possono dare incentivo. Se noi innalziamo la nostra prece a Dio e lo supplichiamo a non indurci in tentazione e poi ce le andiamo cercando da noi stessi o con sguardi, o con discorsi, o amicizie, o passatempi, visite e complimenti, ecc, certo che non possiamo sperare, di essere da Lui esauditi nelle nostre domande di non cedere alla tentazione, anzi, abbiamo tutto il motivo di temere di cadere in peccato, perché Dio non ci darà quegli aiuti necessari a resistere. Fuga, dunque, dalle occasioni, se vogliamo essere sicuri di non darla vinta al demonio.

Il secondo mezzo che dobbiamo praticare è il pensiero della presenza di Dio. Il soldato che sa di essere alla presenza del suo re, che lo sta guardando e ne osserva tutti i movimenti, certo non fa tregua coi nemici del suo principe, anzi li respinge con grande coraggio e valore, solo perché sa d’esser guardato dal suo sovrano. Un servo, che sta sotto gli occhi del suo padrone, non si permette certo di tramare insidie e tradimenti contro di lui, ne rispetta anzi gli ordini, ne eseguisce i comandi e non manca in nulla di quanto gli impone il suo stato Così se noi cammineremo alla presenza del nostro Sovrano Padrone Iddio, il quale sta sempre con gli occhi sopra di noi come se non avesse altra cosa da guardare, non avremo sicuramente tanto ardire da renderci familiari i nostri e i suoi capitali nemici, da consentire alle loro malvage insinuazioni, di accondiscendere ai loro lusinghieri inviti, di cedere alla tentazione di cadere in peccato ed oltraggiare la sua divina Maestà, che potrebbe punirci all’istante e mandarci all’inferno.

Fuggiamo, dunque, le occasioni di peccato e ricordiamoci che Dio è sempre a noi presente, che ci vede in ogni luogo e in ogni tempo, che tutto sa e conosce. Praticando questi due mezzi, noi potremo sperare di evitare le cadute, di superare le tentazioni e di riportare una totale vittoria su tutti i nostri nemici, non già perché ce ne compiacciamo vanamente, come se fosse conseguita da noi, ma per riferirne a Dio tutta la gloria e tutte le grazie con cui ci diede forza di riportare tale vittoria per i meriti di Gesù Cristo, Signor Nostro, a cui sia onore e gloria per tutti i secoli. Amen.