Suore dell'Immacolata

Mormorazione 2

 

LA MORMORAZIONE

(II istruzione)

La mormorazione che, come abbiamo detto nell’ultima nostra istruzione, si può commettere in molte e diverse maniere, è un vizio universale che alligna quasi in tutti i ceti di persone, e pochi, pochissimi, anche tra i più devoti e i più santi, son quelli che ne vanno esenti. Pare proprio che non vi sia cosa al mondo che si ascolti più volentieri o con maggiore interesse che quella di dir male dei propri fratelli. Ma, come va, mie sorelle, che si mormora tutti con grande facilità: vecchi e giovani, ricchi e poveri, grandi e piccoli, secolari e religiosi? Forse che la mormorazione non è peccato? Credete che il togliere al prossimo la sua stima e la sua riputazione sia guadagnare indulgenze? Quanto si inganna chi la pensa così! Udite con attenzione, e mi direte che cosa si procura la lingua mormoratrice.

Grande male è la mormorazione: essa contiene in sé due malizie: toglie al prossimo la buona stima che egli giustamente si gode nell’opinione altrui, e la buona reputazione, che è un grande bene. Anzi, siccome la fama e la riputazione altrui sono un bene maggiore e più prezioso, come dice lo Spirito Santo nei Proverbi, di tutte le ricchezze e la roba di questo mondo, così chi toglie al prossimo la sua buona stima è peggiore di un ladro. Ora, un peccato che procura al prossimo sì grave danno, non vi pare che si dovrebbe guardare da tutti con sommo orrore? Eppure non è così. Si cerca anzi di scusarlo in mille maniere e si adducono mille scuse per farne scomparire la gravità.

« Noi, dicono alcuni, non crediamo di essere rei di colpa alcuna, perché, grazie al cielo, non abbiamo l’abitudine di dir male di alcuno: solamente ascoltiamo volentieri quelli che dicono male ». Perché piuttosto non dite: « Noi ci comportiamo male, spingendo altri a dir male del prossimo ». Vi credete innocenti? Non sapete che S. Bernardo rimane in dubbio se sia maggiore la colpa di chi mormora, o di chi ascolta con piacere la mormorazione? Egli dopo aver molto pensato tra sé, finalmente conclude che tutti e due portano con sé il demonio, con questa sola differenza, che chi mormora lo porta sulla bocca e chi ascolta lo porta nell’orecchio. Ed ha ragione: S. Basilio, infatti, dice che ascoltando voi volentieri la mormorazione, la rendete più animosa e quasi provocate a continuare la maldicenza, poiché nessuno mormora volentieri, se volentieri non è ascoltato. Se voi dunque, quando udite qualcuno dir male del suo prossimo, non gli fate, con le debite maniere, la dovuta correzione, richiamandolo o cambiando discorso, o almeno non mostrate di aver dispiacere, stando serio e taciturno, voi vi fate reo della medesima colpa di cui è colpevole il mormoratore. La maggior parte, però, delle scuse che si adducono per difendere il peccato della mormorazione non proviene da chi ascolta, ma da quelli stessi che mormorano, i quali credono di essere senza colpa: « perché, dicono, non intendiamo col nostro dire, causare danno al nostro prossimo ». Ma che giova a questi infelici screditati, che voi non abbiate avuta l’intenzione di screditarli o di cagionare loro alcun danno? Frattanto essi, per la vostra mala lingua, hanno perduta la loro fama e reputazione.

Altri si scusano col dire ch’essi non sono i primi a manifestare i fatti e i detti del prossimo, ma raccontano solo quello che hanno udito dire dagli altri. Ma sapete che cosa dice lo Spirito Santo nell’Ecclesiastico? Dice: « Se hai udito qualcosa di male del tuo prossimo, non lo manifestare ad altri, ma lascia che muoia in te e resti seppellito nel tuo cuore ». Lo so che cer-tuni, appena sentono qualcosa del loro prossimo, o vedono in altri qualche difetto, vorrebbero raccontarlo a questa e a quella persona loro confidente; ma credete che costoro, nell’operare così, non si facciano colpevoli di maldicenza? Io vi dico che si macchiano di due peccati: uno di credere, per una semplice apparenza, al male del prossimo, che forse sarà falso, perché ciò che si dice a carico dell’uno o dell’altro, per lo più è falso o falsa invenzione della malignità altrui; l’altro di farlo sapere a chi lo ignora. Che se a voi sembrasse di non commettere questi due peccati, né di credere il falso sul conto del vostro prossimo, né di propagare i suoi difetti a chi non li sapeva, perché i fatti riportati sono veri e tutti già li sanno, allora io vi dico che non c’è necessità che voi li andiate a ridire, se già sono noti a tutti. Se quegli infelici che li hanno commessi già sono diffamati, già sono morti all’onore, perché tornate a colpirli con la vostra lingua?

Ma voi dite che i falli del prossimo sono numerosi; ed io vi rispondo che certe volte non sono che calunnie quelle che sembrano verità autentiche. Qualcosa sembrava infatti, più vera che quella per cui fu accusata di adulterio la casta Susanna? Eppure noi sappiamo che era una solenne impostura. Ma siano pure anche vere: avremmo forse piacere che di noi o di qualche nostro congiunto fossero rivelati falli o mancanze, che sono veri, verissimi? No, certamente. Come, dunque, saremo così facili a propagandare le mancanze degli altri? La legge naturale, molto più la legge evangelica, non ci proibisce di fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi?

I fatti che voi riferite sono veri? Ma ditemi, noi non abbiamo mai mancato in niente? Chi è che può dirsi senza peccato? Se vi è alcuno così innocente che la sua coscienza non gli rinfacci colpa di sorta, si faccia avanti e sia costui il primo a dir male del suo prossimo che io mi contento.

« Se qualcuno di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei », così disse Cristo a quei farisei che volevano lapidare la donna trovata in peccato; ma si guardarono in volto, poi l’uno dopo l’altro se ne andarono senza gettare alcuna pietra. Se riflettessimo anche noi a questo! Se guardassimo prima a noi stessi, non oseremmo aprir bocca contro nessuno.

« Ma noi, dicono altri, quando diciamo qualche cosa del prossimo non facciamo per mormorare, ma per ridere, e poi lo diciamo con persone particolari e in segreto, come in confessione ». Queste sono le ultime scuse che si dicono per difendere la maldicenza. Ma chi non vede quanto siano insulse e ridicole? Voi, dunque, dite male del prossimo per ridere e scherzare? Ma vedete, che voi intanto togliete al vostro prossimo la cosa più preziosa che egli abbia, quale è la sua fama? Che importa che voi abbiate scherzato, abbiate riso, se il prossimo perde intanto la sua stima? Quanto poi a dire che si confidano i difetti del prossimo a confidenti, in segreto e come in confessione, S. Giovanni Crisostomo nella sua terza omelia al popolo di Antiochia definisce tale scusa stolta ed insana. Egli dice: « Avete raccomandato il segreto: perché non l’avete osservato prima voi? Che necessità avevate di parlare? Se volevate che restasse segreto, bisognava che voi non ne parlaste, perché rivelandolo, voi avete dato stimolo ed eccitamento ad altri di fare lo stesso ». Ed ecco dove conduce la maldicenza: privare i mormoratori della vita eterna. La dottrina non è mia, è dell’apostolo S. Paolo, il quale, parlando dei maldicenti, li mette insieme ai fornicatori e ai ladri, e li esclude tutti dal regno dei cieli. Raccomanda ai cristiani di Corinto che stiano ben attenti su questo punto, né si lascino ingannare, perché né gli adulteri né i fornicatori, né i ladri né i maldicenti possederanno il regno dei cieli.

La mormorazione, per essere perdonata deve esse re seguita dalla restituzione dell’onore e della fama che fu tolta al prossimo. Come colui che ruba e toglie al prossimo la roba e i denari non può ottenere il perdono del suo operato e salvarsi, dice S. Agostino, senza restituire ciò che ha rubato, così non può conseguire la remissione dei propri peccati chi ha mormorato, senza restituire la fama da lui denigrata al suo fratello. Si possono fare elemosine, orazioni, digiuni, penitenze quanto si vuole, ma nulla giova se non si adempie a questo strettissimo e indispensabile dovere. I sacerdoti sono i depositari e i ministri dei tesori e delle grazie del cielo; e in virtù della piena autorità, data loro da Gesù Cristo nella persona degli apostoli, possono rimettere ogni peccato, ma non quello della mormorazione e del furto, senza questa espressa condizione di restituire ciò che si è tolto al prossimo. Ora questa necessità che costringe la persona maldicente a restituire la fama rubata, mette in molto pericolo la sua eterna salute, a motivo della difficoltà che incontra nell’adempiere questo dovere. A dir male dell’uno e dell’altro si fa presto, non ci vuole tanto a dire una parola e denigrare, in una o in un’altra maniera, la reputazione del prossimo, ma il difficile sta poi nel riparare i danni che da quella mormorazione sono causati. Il dover ritrattare e disdire ciò che si è detto contro l’uno o l’altro, è cosa un po’ dura al nostro amor proprio e pochi vi si sanno adattare.

Infatti vediamo che se le mormorazioni sono frequenti, per non dire quotidiane, ben di rado, e quasi mai, si sentono le lingue maldicenti rendere pubblicamente la fama a chi l’hanno tolta. E poi, anche se i maldicenti sono pronti a riparare la fama tolta, come possono farlo adeguatamente?

La loro maldicenza avrà forse fatto un assai lungo cammino; sarà già passata per la bocca di molti e molti, e come si può riparare con tutti, e da tutti levare la cattiva impressione che ha già cagionato la nostra mormorazione? Voi mi dite: quando si è fatto tutto il possibile, non si è tenuti a fare di più; tutto vero, ma intanto quali angustie e quali timori non agiteranno di continuo la propria coscienza nel timore di non avere avuta tutta la diligenza possibile per restituire la fama tolta? Quanto meglio sarebbe non aver mai detto male di alcuno! Ma se non si può far ritornare indietro il passato, provvediamo almeno all’avvenire e proponiamoci di non aprire mai bocca contro chiunque. Lo Spirito Santo ce ne avverte: « Custodite la lingua dalla mormorazione, guardatevi da essa e frenate la lingua, perché non si macchi di detrazione. Carità, non maldicenza con il nostro prossimo e, se non possiamo far altro, scusiamone almeno l’intenzione ». Non vi immischiate con i detrattori, ci ripete lo Spirito Santo, e fuggiteli come la peste. E se a far ciò non vi spinge altra ragione, vi spinga il timore di mettere a rischio la vostra salute eterna.

Gesù Cristo stesso nel Vangelo di S. Luca (c. VI) ci dice di essere misericordiosi come è misericordioso il vostro Padre celeste: con ciò vuol farci intendere che noi dobbiamo usarci carità l’uno con l’altro; una carità molto grande; carità, se fosse possibile, da uguagliare la misericordia stessa di Dio verso di noi: « Siate misericordiosi come è misericordioso il vostro Padre celeste ». Amen.