Modo pratico di porsi

 

MODO PRATICO DI DISPORSI ALLA MORTE

La santa Chiesa comincia la S. Quaresima col richiamare l’attenzione di noi, suoi figli, su una delle verità più spaventose: quella della morte. Ricordatevi, o miei figlioli, dice la buona Madre, che siete polvere e che ben presto dovrete lasciare tutto e ritornare in quella polvere da cui foste formati: memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris. Ma perché, sorelle mie, la santa Chiesa ci mette dinanzi una verità così terribile? Non per altro, vedete, se non per farci intendere che dobbiamo prepararci alla morte in tutto il tempo della vita, perché il tempo ci vien dato, appunto, a questo unico fine: disporci con sante opere a ben morire.

Se la morte è certa, certissima, e nessuno può sperare esenzione o privilegio, essendo legge universale che tutti debbano sottoporsi alla sua terribile falce, se essa viene d’improvviso a sorprenderci, come un ladro di notte, quando meno la si aspetta e se dalla morte dipende la nostra sorte per tutta l’eternità, non vi par giusto che noi ci disponiamo con diligenza a questa grande dipartita dal mondo? Sì, certo. Accogliamo dunque l’intenzione della Chiesa, nostra amatissima Madre, e disponiamoci alla morte, ma con una disposizione pratica, la quale ci distacchi totalmente dalla terra, da cui dobbiamo partire, e ci faccia rivolgere tutti i nostri pensieri ed affetti verso il cielo e l’eternità, dove presto giungeremo.

Questa pratica disposizione io vorrò quest’oggi mettervela dinanzi, passo passo: fatene profitto e procurate di ricordarvela anche poi, di tanto in tanto, e vedrete quanto ve ne troverete contente in quel punto estremo della vita.

Dunque, noi dobbiamo morire! Se muoiono tutti, morremo anche noi; è certo, indubitabile. Inginocchiate, preso in mano il Crocifisso, immaginiamo che il nostro Angelo custode ci avvisi della morte vicina, dicendo a ciascuno: «Ascolta, mia cara; queste cose dice il Signore: disponi le cose della tua casa, della tua stanza, della tua abitazione, perché tu, ora, morrai e non vivrai più. E ciascuna esclami con allegrezza: «Ecco, sono pronta, o Signore, io vostra serva. Se Voi, mio Dio, arbitro della vita e della morte, che decretate che l’uomo deve morire, mi chiamate, io volentieri mi sottometto a questa vostra legge, con tutto il volere dell’animo; accetto di buon grado quella morte, che tante volte ho meritato peccando; l’accetto, almeno, in espiazione delle tante mie colpe e per giungere nel luogo dove non potrò più peccare.

Sì, morrò, o Signore, in quel modo, in quel momento che voi vorrete, indifferente a tutte le cose. Se voi mi preparate una morte preceduta da lunghi tormenti e da dolori acerbi, io bacerò la vostra mano paterna: sia fatta la vostra santissima Volontà! Tutto questo non è l’inferno che tante volte ho meritato peccando. Morirò per motivo di umiltà, per ritornare in cenere ed in nulla; perché il mondo si liberi di questa miserabile peccatrice che, rifiutando il giogo soave del suo Creatore, tanto si allontanò dal suo ultimo fine. Vi verrà, ora, spontanea una riflessione: morendo io, voi direte, che porterò con me di tutte queste cose che mi vedo attorno, che posseggo, che so di avere? Niente, niente affatto; tutto dovrò abbandonare.

Niente porterò di quella roba che mi procuro con tanta ansietà; niente di quelle bagatelle che tengo sì care, che nemmeno lascio toccare ad altri. Perché prendermi tanta sollecitudine, tanti fastidiosi pensieri per questa misera terra, mentre tutto devo lasciare? L’anima, che ora smoderatamente le cerca e le ama, dovrà ardere nel fuoco del purgatorio, abbandonata da tutti, anche da quelli che godranno delle cose mie! Non è, dunque, somma stoltezza non voler, ora, sacrificare a Dio, con tanto merito, ciò che si dovrà poi abbandonare per forza?

Non è empietà il trascurare tante opere buone, quindi rifiutare tanti gradi di grazia e, per conseguenza, anche tanti gradi di gloria, piuttosto che privarsi di inezie? Chi non disapproverà la cecità di tante persone religiose che, dopo aver voltato le spalle ai beni della famiglia propria, anelano al possesso di coserelle da nulla? Come, all’ora della morte, costoro si sentiranno sgomente al guardar Gesù Cristo in croce, povero e nudo d’ogni bene, che rimprovererà la loro troppo ricca e troppo comoda povertà!

Facciamoci animo, finché è tempo, vinciamo noi stessi ed offriamo, ora, ai piedi della croce, quello che alla morte dovremo abbandonare per forza. Gesù aspetta da noi questo dono. Troppo avaro è colui, dice S. Agostino, che non si contenta solo di Dio. Appena ricevuto l’annunzio della morte, la prima cosa che ci tornerà alla memoria sapete quale sarà? Sarà l’immagine della vita passata e lo stato presente dell’anima. Se ora, in questo momento, dovessimo morire, saremmo noi pronte? Ciascuna lo domandi alla propria coscienza: ditemi, saremmo noi pronte? Abbiamo conservata immacolata la stola dell’innocenza che ricevemmo nel Battesimo? E se l’abbiamo perduta, la ricuperammo per mezzo di una buona confessione? Abbiamo confessati tutti e bene i nostri peccati? L’anima nostra è ora vestita della veste nuziale ed ornata della grazia permanente? Vorremmo noi morire nello stato in cui oggi ci troviamo? Se, ora, morissimo ad un tratto, abbiamo nulla che tormenti l’anima nostra? Ditemi: se doveste morire in questo istante, avreste alcuna cosa da temere? Che temerarietà è, dunque, vivere un solo momento in uno stato, nel quale non vorremmo morire!

Andiamo innanzi e diamo un’occhiata alla vita passata. Come siamo vissute finora? Che cosa abbiamo cercato con tanta sollecitudine e con tanta fatica? Per chi impegnamo noi il tempo migliore, le opere e le forze nostre? Per l’eternità, per l’anima, per Iddio? Ovvero per vanità e per soddisfazione dell’amor proprio? Ditemi: fra tanti anni che vivemmo, abbiamo passato un mese solo senza peccare venialmente?

Abbiamo consacrato al servizio di Dio un’ora intera senza frammischiarvi un qualche difetto? Che facemmo per Gesù Cristo, che ha tanto fatto e patito per noi? Quale azione, quale omissione, quando saremo lì per morire, ci angustierà di più? Se Dio ci domanderà conto di quell’opera che abbiamo fatto quando era conveniente lasciarla, di quella parola che abbiamo detta quando era meglio tacere, che cosa risponderemo?

Ditemi con sincerità: come vorremmo essere vissuti allora? Con quale intenzione e perfezione vorremmo allora aver fatto le opere quotidiane?

In morte sarà sommo dolore l’essere vissuti tiepidamente, sommo gaudio l’aver sempre faticato, l’aver tollerato ogni tribolazione per l’anima e per Dio.

Come, dunque, morremo? Forse quella nostra perpetua incostanza che usiamo tra il bene e il male, fra la tiepidezza e il fervore, ci fanno sperare la perseveranza finale? La morte è l’eco della vita, perciò sarebbe un miracolo che santamente morisse chi visse tiepidamente.

Alcuni giorni dopo la morte, apparve un religioso ad un altro e, gemendo profondamente, gli disse: Fui teologo ed è nulla; fui predicatore ed è nulla; fui superiore ed è nulla; fui religioso e ciò è qualche cosa. Detto questo, disparve. Vedete come nell’altro mondo si guardano le cose con occhio molto diverso da quello con cui si guardano in questo mondo e come quelle cose che tanto si stimano quaggiù, di là si ritengono per nulla.

È somma stoltezza sviarsi un solo momento dal nostro ultimo fine ed impiegare tante fatiche, tante cure, tante sollecitudini perché questo corpo stia bene, perché dorma più comodamente, viva con maggior delicatezza, si nutra più squisitamente. Se noi vogliamo mettere attenzione, il pensiero della morte ci dà buone lezioni e c’insegna non solo a disprezzare i beni della terra, ma anche a disprezzare gli onori mondani, i diletti della carne, che sono le tre cose principali che, affezionandoci più alla vita presente, ci tolgono il desiderio di Dio e dell’eternità.

Pensiamo spesso a ciò che ci capiterà nel punto della morte, e riflettiamo con Tomaso da Kempis quanto prudente sia colui che si sforza d’essere ora in vita tale, quale desidera trovarsi in morte.

Poi, dopo esserci già pentiti dei nostri peccati con tutto il cuore, dopo aver fatto il proposito di voler prima mille volte morire che peccare, immaginiamoci che già ci sia il santissimo Viatico e, prostrati con somma umiltà, riceviamolo spiritualmente nel nostro petto. Quindi, segnando con l’immagine del Crocifisso i cinque sensi, che sogliono ungersi con l’Olio Santo, diciamo con contrizione: per questa santa unzione e per la vostra piissima misericordia, perdonatemi, o Signore, tutti i peccati che ho commesso con gli occhi, coll’udito, con l’odorato, col tatto, coi passi e con i cattivi pensieri, offrendovi in espiazione tutti i dolori che in ciascuno di questi sensi soffrì Gesù Cristo, vostro diletto Figlio.

Poi, fingendo di essere già spediti dai medici, di entrare già in agonia, di ricevere dalle mani del Sacerdote il Crocifisso e la candela accesa, e di sentirci ripetere all’orecchio: «proficiscere, anima cristiana, de hoc mundo», animiamoci di una grande confidenza in Dio, il quale può, sa e vuole salvarci; quindi, fissati nel Crocifisso gli sguardi, prorompiamo con tutto l’affetto del cuore in questi atti di virtù: Io credo in Voi, somma carità, o mio Dio; mi umilio dinanzi a Voi, mi dolgo di aver offeso Voi, bontà infinita: propongo di voler morire piuttosto che peccare, anche venialmente; spero dalla vostra misericordia perdono, grazia e gloria; vi amo sopra ogni cosa, mio amore crocifisso, vi ringrazio di tutti i benefici che mi avete fatto nel corso della vita; Voi solo desidero, mio ultimo fine, a Voi vengo, accoglietemi Voi; ecco, il mio spirito è nelle vostre mani, o Gesù, Maria e Giuseppe!

Compiuti questi atti di virtù, immaginatevi d’essere spirata, d’aver già sostenuto il giudizio particolare e d’esser già condannata alle fiamme del purgatorio. Sul primo entrare in quel carcere doloroso, che cosa penserà l’anima della malizia del peccato veniale, di quei peccati che si commettono con tanta facilità e dei quali, appunto per essere veniali, se ne fa poco o nessun conto? Che giova ora, dirà, l’avere nel corso della vita goduti comodi, dignità, uffici, godute delizie ed avere così accresciuto fuoco al mio purgatorio?

Al contrario, che vantaggio è l’essere stata povera, disprezzata, tribolata, malignata, perseguitata, se così avremo fuggito, o almeno diminuita, l’acerbissima pena del purgatorio?

Se, dopo la morte, ci si concedesse di tornare in vita e l’angelo nostro custode ci avvisasse che dopo un mese torneremo a morire, ditemi quale sarebbe la nostra vita in questo mese! Comportiamoci dunque, da qui innanzi, come persone redivive, che, tornate dal giudizio e dal purgatorio, nuovamente dovranno morire entro lo spazio di un mese, e vedrete quanto santamente vivremo, allora, e quanto, in tal modo, ci renderemo cara e felice la morte. Amen.