Suore dell'Immacolata

Modo di stare

 

MODO DI STARE RELIGIOSAMENTE IN REFETTORIO E ALLA RICREAZIONE

L’Apostolo S. Pietro nella sua prima lettera ci avvisa di stare molto attenti e vigilanti sopra le nostre azioni perché il demonio, nostro comune nemico, ci gira sempre intorno come un inferocito leone, per sorprenderci all’improvviso in qualche mancamento, per quindi tirarci giù all’inferno con lui.

«Fratelli, dice l’Apostolo, vigilate, perché il vostro avversario, il diavolo, come leone ruggente cerca chi divorare». Che se ciò è vero per ogni tempo, molto più lo è per il tempo del refettorio e della ricreazione in cui, lasciato da parte ogni esercizio spirituale, attendiamo solamente ad alimentare il corpo col cibo materiale ed a ricreare lo spirito con qualche allegro sollievo; perciò più facilmente si risveglia in noi lo stimolo delle passioni e il demonio in questi, più che negli altri tempi vuol fare i suoi guadagni con le anime tiepide. Perciò, se in ogni tempo e in ogni luogo necessitiamo di una vigilanza continua per non lasciarci mai sorprendere dalle insidie e tentazioni dell’infernale nemico, questa vigilanza e attenzione dobbiamo raddoppiarla nel refettorio e nella ricreazione, perché qui maggiore è il pericolo e meno pronti sono i mezzi per vincerlo, e se non staremo molto attenti, perderemo in questi luoghi quanto abbiamo acquistato nella Chiesa, nella Comunione, nell’orazione e in altri devoti esercizi.

Io, dunque, mie suore, premuroso del vostro bene, avendo molto a cuore la vostra santificazione, esporrò oggi il modo di guardarsi dalle tentazioni stando religiosamente in refettorio e in ricreazione, avvertendovi però che la maggior parte di quanto sto per dirvi è tratto, quasi alla lettera, dal manuale sacro del beato Leonardo da Porto Maurizio.

Questo per due ragioni: primo, perché io non avrei saputo trattar meglio questa materia di quello che l’abbia trattata quel sant’uomo; secondo, perché a nessuna sembri strana la mia istruzione, essendo cose già dette molto tempo prima da chi ne sapeva assai più di me e che era a conoscenza dello spirito religioso; terzo, perché sapendo che io non faccio altro che ripetervi gli insegnamenti di un uomo santo, voi li riceviate quasi come altrettanti avvisi che vi manda il Signore per il vostro bene e vi prendiate quindi maggiore premura di metterli in pratica, affinché non ne abbiate a rendere conto strettissimo al Giudice eterno nel giorno della morte.

Per chiudere dunque la strada a tutte le suggestioni che può presentarvi il demonio e per mantenervi in refettorio buone religiose anche nel tempo della refezione corporale, procurate di fare quest’azione con tutta modestia, sobrietà e retta intenzione, esercitandovi in diverse virtù come fanno le anime più ferventi, che in refettorio guadagnano più che in altri luoghi più santi e ne escono coronate di meriti, appunto per le virtù che vi esercitano.

Il beato Leonardo, preso per guida in questa istruzione, dice che la prima virtù che dovete esercitare andando in refettorio, dev’essere la santa ubbidienza, accorrendo subito al primo segno della campana per trovarvi tutte presenti alla benedizione della mensa, che dev’essere fatta dalla Superiora e accompagnata con fede, con posatezza e devozione, con le mani giunte, a capo chino, come se foste in chiesa davanti al trono di Dio, pensando che anche in refettorio Dio è presente e vi osserva.

Non vorrei però che foste di quelle che al primo segno del pranzo corrono sì sollecite al refettorio, ma non per adempiere la santa volontà di Dio, che le chiama a ristorarsi per meglio servirlo poi nei loro spirituali esercizi, ma vi corrono per soddisfare con troppa avidità la propria gola.

La seconda virtù da esercitarsi in refettorio dev’essere la retta e pura intenzione, la quale dovete praticare appena entrate e sedute a tavola. Alzare cioè la mente e dire: Signore, io sono venuta in questo luogo per voi e non intendo far questa azione se non per la sola vostra gloria e per adempiere la santissima vostra volontà. E quanto più nel corso della refezione ripeterete internamente col cuore questo atto di pura intenzione, più perfettamente adempirete quel consiglio dell’Apostolo Paolo: «Sia che mangiate, sia che beviate, tutto fate a gloria di Dio».

La terza virtù da praticarsi in refettorio dev’essere quella della santa povertà, ricevendo come in elemosina quei cibi che vi si porgono e riconoscendovi come altrettante povere, bisognose persino di un tozzo di pane.

Di fronte a qualche indelicatezza, non dovete subito lagnarvi, ma in ossequio alla santa povertà, dovete soffrirla volentieri, dimostrandone persino giubilo, come facevano le buone religiose di S. Teresa, le quali più volte si portarono in refettorio quantunque sapessero che non vi era di che cibarsi e, data nonostante la benedizione, rendevano grazie e partivano tanto allegre e contente, come se si fossero saziate lautamente. Così non dovete disturbare alcuna delle consorelle nel farvi servire, ma lasciare che ognuna prenda quel ristoro che la Provvidenza le presenta.

La quarta virtù dev’essere la modestia degli occhi: non si deve in refettorio vagare con gli occhi, osservare ciò che viene o non viene a tavola, criticare quel che fa l’una o l’altra, vedere se una mangia o no, ma si deve stare raccolte con gli occhi, vedendo solamente se stessa. S. Maria Maddalena de’ Pazzi stava alla mensa così composta e con gli occhi così mortificati, che non solo si asteneva dall’osservare le azioni altrui, ma si dimenticava persino di se stessa, e a malapena si ricordava di ciò che aveva mangiato.

Il silenzio è la quinta virtù e l’ornamento di un refettorio religioso. La ragione è, perché, dice S. Francesco di Sales, in refettorio non si va solamente per mangiare, ma per fare delle mortificazioni e sentire la lettura spirituale.

Non si dovrà rendere conto a Dio di avere tante volte impedito, con il frastuono, che la lettura si faccia o si faccia solo per poco tempo, per aver più comodo il parlare, quando si dovrebbe fare silenzio? Non potrebbe essere che Dio voglia chiamarvi a sé per mezzo di quella lettura che si fa in refettorio e alla quale voi non mettete attenzione per attendere a distrazioni? E non sapete che molte anime s’infervorano nel divino servizio proprio ascoltando una lettura in refettorio? Silenzio, dunque, nel tempo che si sta a mensa.

Se la comunità indugia a tavola, per dar tempo di cibarsi a sufficienza alle più lente, anche le altre vi devono stare, quantunque finiscano più presto, senza fare atti d’impazienza, ma stare con serietà e tranquillità, finché tutte abbiano finito. Anche quando nelle solennità si dispensa dal silenzio, la conversazione sia misurata, e non si dimentichi la mortificazione neanche in quella circostanza.

S. Filippo Neri, quando vedeva qualcuno dei suoi penitenti poco mortificato nella gola, diceva subito: «Figlio mio, tu non avrai mai buono spirito». E con ragione perché, secondo tutti i mistici, la mortificazione del gusto è il primo gradino per arrivare alla perfezione e chi non si impegna a superare questo primo gradino, come potrà mai avviarsi alla cima? Leggete tutte le vite dei santi e non ne troverete neppure uno, il quale non si sia segnalato in modo singolare in questa virtù. Chi mescolava cenere con le vivande, chi vi spargeva sopra assenzio, chi vi infondeva tanta acqua, chi ne toglieva gusto con succhi amari e con tutto questo non erano mai contenti, sembrava di non essersi mortificati abbastanza, ed avevano in questa materia sempre da accusarsi e confondersi.

Io non intendo che seguiate questi esempi, mi basta che non siate tanto delicate per quello che spetta al vitto, che non cerchiate distinzione alcuna, ma che vi adattiate in tutto alla comunità e non vi lamentiate se i cibi sono malconditi o troppo cotti, che prendiate quanto vi abbisogna, perché tale è la volontà di Dio, ma lo prendiate con sobrietà e in modo che in qualche cosetta vi abbia sempre luogo la mortificazione. Se la casa vi dà il vitto a sufficienza e voi avete buona salute, non dovete cercare cibi speciali.

Tutto ci pare niente, e intanto pratichiamo poco la virtù della mortificazione e la cristiana temperanza; anche fuori pasto si mangia e si beve come i fanciulli, ma quando tante nostre delicatezze si cambieranno per noi in altrettanto fuoco nel purgatorio, che diremo noi allora? Ogni Santo, per andare meno soggetto ad imperfezioni in questa funzione del cibarsi, introdusse in religione la pratica di certe penitenze da farsi prima di mettersi a tavola o in tempo della medesima: per verità io credo che si rallegri tutto il paradiso, quando vede in refettorio i religiosi e le spose di Gesù fare a gara tra loro per imitare il loro Sposo nell’imporsi delle umiliazioni.

Lo so che tra voi forse non si sono mai usati certi atti di umiltà, ma quanto sarebbe desiderabile che si praticassero anche da voi, almeno in tempo di quaresima, di avvento, di spirituali esercizi e nella veglia e novene delle maggiori solennità! Ci vuole un po’ di spirito religioso! È vero, lo so anch’io, ma questo è quello appunto a cui vi esorto per il bene delle anime vostre. Mi direte che voi, a rigore, non siete monache. Ma che? In una comunità, dunque, non.vi si deve praticare la virtù? Non si deve tendere all’acquisto della perfezione? Non dovete voi andare in cielo, come le monache di clausura? Gesù non ha dato esempio a voi, come a loro?

L’ultima virtù da praticare in refettorio è quella di stare attente alla lettura del libro che si legge, ma di questo ho già parlato trattando del silenzio, perciò passo al secondo argomento, quello della ricreazione.

La ricreazione è necessaria, poiché chi tiene l’arco troppo teso, facilmente lo spezza e, infatti, noi vediamo che in tutte le comunità, anche le più osservanti, dopo la refezione comune, si concede un po’ di ricreazione, ma bisogna che sia nel Signore.

«Rallegratevi in Dio – dice il salmista – ed esultate, giusti». Affinché la vostra ricreazione sia spirituale in tutto e non serva al demonio come di un laccio per stringervi nelle sue reti, deve avere, per lo meno, queste tre condizioni: deve essere sobria, giusta e pietosa. Sobria, riguardo a voi; giusta, riguardo al prossimo; pietosa, riguardo a Dio.

Dapprima dev’essere sobria, e vuol dire che il tempo della ricreazione, la quale possibilmente si dovrebbe fare tutte insieme, dev’essere limitato, e non troppo lungo: poco non è peccato, troppo è difetto. Domandate un po’ al medico se riempirsi di cibi, benché sazi, sia un bene. Vi dirà di no, perché se ne mangiate fuor di misura, sebbene siano sani, vi faranno male e cadrete inferme.

Nello stesso modo, sebbene le vostre ricreazioni siano necessarie, non dovete, però, impegnarvi in esse se non quel tempo che vi si concede dall’obbedienza, e, terminato il tempo, dovete far silenzio, e ritirarvi ciascuna al proprio ufficio. Domandate a Dio che vi dia lume per concepire la preziosità del tempo che da Lui vi è stato concesso solo per farvi del bene e assicurarvi un’eternità felice e vedrete quanto è grande la vostra superficialità in gettar via, con tanta prodigalità, un tesoro che non ha prezzo, tanto più che, perduto una volta, non si può riacquistare mai più.

La seconda condizione che deve avere la vostra ricreazione è la giustizia. Qui mancano quelle religiose, che in tempo della ricreazione si servono della loro lingua come d’una spada per ferire le loro sorelle: sparlando delle Superiore, mormorando delle compagne e mettendo persino in ridicolo i Confessori, i predicatori, mormorando dell’uno e dell’altro, aggravando così di un gran peso la loro coscienza. Che ricreazione infernale è questa! Santa Giuliana Gonzaga, già arciduchessa d’Austria, fra gli altri ordini rigorosi che dava alle sue monache, c’era quello che non parlassero mai dei difetti del prossimo, e S. Maria Maddalena de’ Pazzi castigava severamente quelle monache che in ciò mancavano.

Dio vi liberi dall’introdurre discorsi che possano suggerire nell’animo di chi li ascolta sentimenti non religiosi, di poca riverenza verso i loro Superiori, di discredito verso i Confessori, o di alcun altro dei vostri prossimi!

Sebbene vi sembrasse che realmente alcuni di questi non facessero il loro dovere, non aprite bocca, lasciatene tutta la responsabilità al giudizio di Dio, come faceva S. Caterina di Bologna, pensando che Dio solo è senza difetti.

Molto di più, poi, mancano alla carità quelle suore che, fatta lega con alcune più simpatiche, con esse solamente conversano e le altre o le guardano con occhio bieco, o fanno con loro le sostenute. Quando queste vogliono familiarizzarsi con loro, subito si scusano dicendo che sono occupate e, con disappunto di tutta la comunità, si vedono quelle due o tre sempre assieme.

Ricordatevi che siete tutte sorelle, per dir così, di latte, giacché succhiate tutte il nutrimento della stessa madre qual è la vostra consacrazione religiosa, perciò dovete unirvi indifferentemente con qualunque delle vostre consorelle, ancorché inferiori di voi per età e per cultura, mentre in Comunità, sia che siate maggiori o minori, sia che siate più istruite o meno, formate sempre le membra di un solo corpo. Quindi dovete essere sempre tutte unite in santa Carità, edificandovi scambievolmente le une le altre con discorsi familiari, particolarmente in tempo di ricreazione.

La terza condizione dei nostri incontri, finalmente, è la pietà. Una donna si diverte da donna, e una religiosa si deve divertire da religiosa, cioè deve pensare agli obblighi del suo stato, che in ogni tempo deve aspirare alla perfezione. Che direste di un religioso romito che volesse andare a teatro o a una festa da ballo? Non è giusto che il pover’uomo si diverta? «Sì, direste voi, ma si diverta da religioso». Lo stesso io dico a voi: «Divertitevi da religiose e abbiate sempre riguardo che nelle vostre ricreazioni non vi sia mai l’offesa di Dio, ma che esse siano innocenti, senza colpa neppure veniale.

Ora ditemi, come possono essere tali le vostre ricreazioni che non fanno che parlare di cose di mondo, di vane usanze, di grandezze di famiglia, di parentele che si stabiliscono tra conoscenti e, quel che è peggio, che non fanno quasi mai altro che formulare giudizi sull’uno o sull’altro, criticando e sentenziando? S. Giovanni della Croce dice che non è senza colpa anche il solo pensiero di simili cose profane. Io non intendo che in tempo di ricreazione voi stiate con una certa malinconia che vi rende noiose alle vostre Consorelle: vi voglio anzi allegre, gioviali; ridete, ricreatevi, introducete discorsi allegri, ma sempre dentro i limiti della santa modestia e della virtù, senza perdere il vostro raccoglimento interiore, né mancare alla carità.

Osservate una religiosa spirituale e prudente: ella se ne sta in ricreazione con volto allegro, affabile con tutte, ma frattanto non perde di mira il suo Dio; parla con le creature, ma nel tempo stesso parla anche con Dio; mantiene l’unione col suo Sposo celeste, internamente replicando atti di fede, di speranza, di amor di Dio, e tutto fa con sì bella disinvoltura che non semina malinconia, ma piuttosto allegrezza e fervore. Qualsiasi delle sue consorelle che la vede, è costretta a dire: «Che angelo! Com’è spirituale costei! Come si diporta bene! Coma sa dare a tutte le cose il prezzo che meritano!». Anzi, qualcuna di queste che, ad esempio di S. Luigi Gonzaga, procura con bel garbo d’introdurre qualche discorso di Dio o della virtù, basta per mantenere allegra e devota la ricreazione comune.

Ora ditemi, sorelle mie, vi siete sempre nei vostri incontri diportate così? Oppure avete speso quasi sempre il vostro tempo in leggerezze e forse anche in mormorazioni? Se fosse così, quanto dovreste confondervi e mettervi subito d’impegno nel seguire, almeno per l’avvenire, i suggerimenti di chi vi parla col cuore in mano, perché troppo desidera il vostro bene.

Sì, mie dilettissime, vi prego per carità, non prendete in malo modo quello che vi ho detto, ma abbiate anzi cura di mettere in pratica quanto vi ho suggerito: primo, perché, come vi ho detto, sono consigli che dava alle religiose S. Leonardo da Porto Maurizio e perciò meritano rispetto e considerazione; secondo, perché senza queste norme non riuscirete mai a farvi sante e quando andrete dinanzi al tribunale di Dio e vi domanderà conto di tanto bene che avreste potuto fare di più e non avete fatto, che risponderete?

Che vi siete fatte religiose per vivere, né più né meno, come vivono le persone del mondo, oppure che non potevate fare ciò che vi si suggeriva? Ma quello che vi ho detto, si può praticare anche dalle persone inferme, purché siano sane di spirito, e se non lo farete, io potrò dire al Signore nel giorno del rendiconto: «Signore, io sono mondo della colpevolezza di quest’anima che voi giudicate come vergine stolta; se si è perduta, o non ha ottenuto quei meriti che voi aspettavate da lei, tutta la colpa è sua, perché non ha voluto fare un po’ di violenza a se stessa e mettere in pratica quanto io, da parte vostra, le ho suggerito». Amen!