Suore dell'Immacolata

Meditazione passione

 

MEDITAZIONE SULLA PASSIONE DI NOSTRO SIGNOR GESÙ CRISTO

L’apostolo san Paolo diceva di non voler altra scuola che il Calvario, altra cattedra che la Croce, altro Maestro che Gesù Crocifisso, altro libro che il suo aperto costato, altra scienza e altra filosofia che quella contenuta nella storia della Passione e della Morte di Cristo Gesù. A Cristo aveva rivolto tutti i pensieri della sua mente, tutti gli affetti del suo cuore e la conoscenza di Cristo Crocifisso fu sempre lo scopo principalissimo della sua indefessa ed instancabile predicazione. La beata Chiara da Montefalco, religiosa, abituandosi fin dai suoi teneri anni a meditare la passione del Redentore, le si affezionò in tal modo che sempre pensava ad essa, per essa spesso piangeva e sempre di essa parlava. Ma perché, domando io, tutto questo? Perché nella passione di nostro Signore Gesù Cristo, evidentemente, appaiono i più begli attributi di Dio.

La passione di Cristo manifesta chiaramente la potenza di Dio che, con un mezzo così nuovo e pur così penoso, tutto cambia e su tutto trionfa; ci dimostra la sua liberalità che dona al mondo lo stesso Unigenito suo Figlio, la sua misericordia che abbandona questo suo diletto Figlio alla morte per dare a noi, suoi nemici, la vita, la sua giustizia, che non risparmia neppure il suo stesso Figlio, la sua sapienza, che ha permesso che le ignominie e i patimenti del Redentore lo facessero meglio conoscere, adorare, servire e amare. Infine, il profondo mistero della passione e della morte di Gesù Cristo ci manifesta il prezzo dell’anima nostra, poiché Dio tanto ha fatto per salvarla, che fu necessaria la morte di suo Figlio per ottenerne il perdono.

Dunque, mie figlie, in questi tempi in cui nel mondo non si pensa ad altro che a divertirsi e a stare in allegria, forse anche con gravissima offesa di Dio e con il rinnovare, di conseguenza, a Gesù Cristo la sua passione e la sua morte, mi sembra giusto che vi esorti a portare il vostro pensiero a Gesù e a ciò che ha patito e sofferto per la nostra salvezza.

Per affezionarvi a così santo esercizio, quale è quello di pensare e meditare spesso la passione di nostro Signor Gesù Cristo, io vi mostrerò quest’oggi, con la maggiore possibile brevità, che la memoria della divina passione è la devozione più cara a Dio e più utile a noi.

Desiderando san Francesco d’Assisi di sapere quale cosa potesse fare che fosse più gradita a Dio, fece ricorso all’orazione, pregando con grande fervore il Signore a volergli far conoscere ciò che Egli desiderava.

Fatta orazione, si sentì mosso nel suo interno a prendere ed aprire il messale e subito si incontrò con quelle parole: Passio Domini Nostri Jesu Christi. Temendo il santo di restare ingannato dal suo amor proprio, chiude il messale, l’apre un’altra volta e gli cade sotto gli occhi lo stesso tema: Passio Domini Nostri Jesu Christi. Non contento, il santo, di queste due prove, chiude e riapre ancora il messale ed ecco che, con sua non minore meraviglia che consolazione, vede ancora lo stesso tema.

Credette allora che, fra tutti gli esercizi devoti, il più caro a Dio fosse la memoria della passione di Gesù Cristo. In questa Egli quindi fissò per tutta la sua vita il pensiero e l’affetto, con questa acquistò tanto merito e santità, che si sollevò fino al coro eccelso dei serafini.

Che dite, mie sorelle? Non vi pare che sia questo un argomento più che sufficiente a farvi intendere che la memoria della divina passione è carissima a Dio? Ma quello che più ci convince di questa verità è il molto che fece il divin Salvatore per rendere eterna, nel mondo, la memoria dei suoi patimenti e della sua passione.

Egli fece come già il gran condottiero Giosuè il quale, mentre a piedi asciutti passava prodigiosamente il Giordano con tutto il popolo che portava l’arca dell’Alleanza, comandò che si togliessero dall’alveo del fiume non una, non due, ma dodici pietre, le quali, collocate presso il fiume stesso, facessero conoscere ai posteri il grande miracolo, documentassero, cioè, che non per una sola tribù o per la sola Arca o per il solo Giosuè furono da Dio miracolosamente divise ed arrestate le acque del Giordano, ma per tutto il popolo, cioè per le dodici tribù d’Israele, rappresentate appunto dalle dodici pietre, collocate lungo il fiume per eterna memoria.

Non altrimenti ha voluto il divin Redentore che non uno solo o pochi, ma tutti si conservassero gli strumenti della sua passione, affinché da tutti si potesse ricavare una chiara e distinta conoscenza delle sue angosce e delle sue pene. Se fosse stato conservato o il solo sepolcro o la sola croce sarebbe rimasta memoria della sola sua morte, ma Egli voleva che restasse, in terra, una chiara documentazione di quanto ha patito per la nostra salvezza, e perciò, oltre il sepolcro e la croce, volle che si conservassero anche la colonna, le spine, i chiodi, le funi, i flagelli ed ogni altro strumento che gli servì di pena, affinché in ogni tempo si potesse sapere tutta la dolorosa serie dei suoi patimenti.

Non basta. Affinché restasse nel mondo sempre vivo e perenne il memoriale della sua passione e morte, Gesù Cristo, dice san Tommaso l’Angelico, operò il massimo di tutti i miracoli: l’istituzione dell’incruento divino sacrificio dell’altare il quale, in memoria delle pene e della morte di Lui, si compie tutti i giorni nella santa Messa sui nostri altari, secondo il comando che diede Gesù stesso ai suoi apostoli: Hoc facite in meam commemorationem ».

Non basta ancora. Perché non mancasse mai, neppure nei secoli eterni, la memoria della divina passione, il buon Gesù, risuscitando dai morti, ha ritenuto nel suo corpo glorioso le cinque piaghe perché fossero, per tutta l’eternità, memoriale perenne di quanto ha patito per gli uomini ingrati. Non mi dite che il fine per cui Gesù Cristo ha ritenuto nel suo corpo glorioso le cinque piaghe è che queste fossero come altrettante bocche che implorassero misericordia dalla divina Bontà per noi peccatori; io vi rispondo che è vero, verissimo che un tale ufficio hanno fatto finora e faranno sempre quelle piaghe santissime finché vi saranno peccatori sopra la terra, ma quando, arrivata la fine dei tempi, non vi saranno al mondo né peccati né peccatori, cesseranno allora di intercedere per noi, ma rappresenteranno, alla vista di Dio e di tutti i beati, i patimenti e la morte del Salvatore. Se tanto ha fatto Gesù Cristo per mantenere viva anche nei secoli eterni la memoria della sua passione, chi potrà dubitare che una tale memoria non sia sommamente gradita a Dio?

Che se è tale, ne viene, per conseguenza, che è anche utilissima a noi, perché quanto più una devozione è cara a Dio, tanto più è vantaggiosa a chi la pratica.

Vediamo, dunque, quale sia l’utilità che si ricava dalla memoria della divina passione. L’apostolo san Pietro, dopo aver descritto al vivo la continua guerra che ci fanno i nemici della nostra eterna salvezza, ci esorta ad armarci del pensiero della santa passione di Cristo. Sapete perché?

La memoria dei patimenti di Cristo è una forte difesa contro ogni combattimento nemico. Come può un cristiano o una persona religiosa, all’assalto di una tentazione, commettere una colpa mentre sta meditando le atrocissime pene che ha sofferto il Figlio di Dio per la salvezza di quell’anima? Come può il demonio tentare con pensieri di vanità e di superbia quella mente in cui palpita la viva immagine delle grandi umiliazioni a cui ha dovuto sottomettersi il Re della gloria, per porre rimedio alla piaga profonda del suo orgoglio? Come vincere e superare con lusinghe una volontà che è tutta imbevuta di tenerezza e di compassione per il crocifisso Gesù?

Un giovinastro insolente sfidò a duello un buon vecchio. Questi, mostrando di accettare con franchezza la lotta, aspettò che l’avversario arrogante mettesse mano alla spada. Al balenare del ferro, sfoderò anche lui l’arma per difendersi, ma sapete quale arma? Si mise la mano nel petto e, tirato fuori un crocifisso, se lo pose davanti, poi, con voce grave, disse al suo nemico attonito: «Qui, qui indirizza i tuoi colpi, qui sfoga, se hai il coraggio, il tuo sdegno e dimostra la tua bravura».

A tale atto, a tali parole, restò così confuso il giovane e così avvilito che, lasciatasi cadere di mano la spada, pentito ed umiliato si diede per vinto.

Altrettanto supponete che accada al demonio quando, volendovi assalire con tentazioni di odio, di risentimento, di vanagloria, di invidia e di qualsiasi altro peccato, noi faremo ricorso alla Passione del Redentore. Considerando noi le sue gravi ignominie e le dolorose piaghe, la sua agonia nell’orto o il suo andare al Calvario, o la sua morte di croce, il tentatore, spaventato da quella devota impronta della passione che vedrà in noi, sarà costretto a fuggire e a lasciarci in pace. Così la pensava san Tommaso l’Angelico, il quale ci raccomanda di vestirci di Gesù Cristo, Signore nostro, e ci invita a considerare frequentemente la divina passione, perché la memoria di questa basta a renderci invincibili a tutti i nostri nemici.

Sant’Agostino, ammaestrato dalla sua propria esperienza, asserisce con piena fede che non esiste rimedio più efficace contro ogni sorta di avversità che la memoria delle piaghe di Gesù Cristo. Perché temere tanto le tentazioni, se abbiamo pronta un’arma così facile e così potente? Tutte le devozioni sono buone per annullare i tentativi di satana, ma il pensiero di ciò che per noi ha patito l’Uomo-Dio, dice san Bernardo, di tutte è la migliore e la più potente.

Un’altra grandissima utilità che produce la memoria della divina Passione consiste nel liberare chi la pratica dal timore di fare una triste morte perché, dice san Gregorio, ai devoti dei patimenti di Gesù Cristo lo Spirito Santo, per bocca di san Paolo, ha promesso la vita eterna con quelle parole: «Se soffriamo con Lui, con Lui saremo anche glorificati».

Un’anima santa attesta che, comparendole un giorno la beatissima Vergine, le ha rivelato che tra i privilegi a lei accordati da suo Figlio a vantaggio dei devoti della sua dolorosa passione, il primo è che Ella impetrerebbe loro un atto di vera contrizione prima di morire; il secondo, che verrebbe ella stessa dal cielo a soccorrerli nella loro agonia; il terzo, che poteva loro concedere in vita ogni sorta di grazia. Che si può, dunque, desiderare di più, per avere la sicurezza di una buona morte?

Gesù stesso, comparendo a santa Geltrude, le promise di guardare Egli stesso con occhio di misericordia chiunque in vita mirerà il crocifisso, vale a dire che conserverà una divina e devota memoria delle sue pene «Chi con devozione guarderà me crocifisso in vita, io lo guarderò con volto benigno in morte».

Chi sarà tra noi, o mie suore, che non vorrà, con un mezzo così facile, assicurarsi un momento così importante? Lo so che in morte mette paura e timore la vista dei nostri peccati, ma se come chi muore, dopo aver fatto penitenza delle sue colpe, non ha più timore delle stesse, così chi è stato in vita devoto della passione di Gesù, non può in morte avere alcun timore dei suoi peccati. La devota memoria delle pene del Salvatore è di tanto merito, dice sant’Alberto Magno, che equivale, anzi supera, il merito di una lunga e grande penitenza. Aggiunge il Ven. Bernardino: una sola lacrima sparsa per compassione meditando la divina passione è di tanto valore presso Dio, che supera il merito di chi facesse, per devozione, il lungo pellegrinaggio in Terra santa.

Animiamoci dunque, mie sorelle, con queste riflessioni e risolviamo fin d’ora di esercitarci, da qui innanzi, il più che sia possibile, in così bella devozione; di pensare, cioè, e meditare profondamente ciò che ha sofferto e patito il nostro divin Redentore per la nostra salvezza. Questa è una devozione, come vedemmo, carissima a Dio e molto vantaggiosa per noi. Essa è un forte ed inespugnabile scudo contro ogni assalto nemico, ci è di protezione e di sicurezza in morte e ci arricchisce di meriti incomparabili per il paradiso. Nessuna, dunque, la trascuri, nessuna la lasci, ma tutti applichiamoci sempre a questa meditazione con grande impegno. Amen.