LA SUPERBIA
(Prima Istruzione)
La santa Chiesa, all’avvicinarsi al S. Avvento, esorta spesso i suoi figli a purificare il loro cuore dal peccato, per poter incontrare degnamente il Re della gloria, l’Unigenito del Divin Padre che si degna comparire sulla terra vestito di umana carne per la nostra salvezza perché la Chiesa, ispirata dallo Spirito Santo, ben sa che l’Incarnata Sapienza non entra in un’anima macchiata di colpa e contaminata dal peccato. Dunque, Sorelle mie, anche noi, se vogliamo godere dei benefici influssi della venuta del Figlio di Dio in questo mondo, dobbiamo cercare di purificare bene l’anima nostra da ogni macchia di peccato e di rivestirci delle sante virtù cristiane.
Ma per poter liberare il nostro cuore da ogni peccato, è necessario conoscere questi peccati, perché ciò che non si conosce non si può evitare. Cominceremo, dunque, a parlare dei peccati, non in generale, ma dei peccati in particolare: di quei peccati che dai SS. Padri e dai teologi si chiamano peccati capitali, perché sono come la fonte e l’origine di tutti gli altri. Di questi peccati capitali, secondo le norme di S. Gregorio Papa, i teologi ne stabiliscono sette: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia, accidia. La regina e la padrona di questi sette vizi è la superbia. Essa – come dice lo Spirito Santo – è il principio di ogni malvagità e non c’è alcun peccato che non sia originato dalla superbia.
Della superbia parleremo dunque oggi e considereremo tre cose, cioè:
1 ) che cosa sia la superbia e quali siano le sue specie e le sue figlie;
2) che gran peccato sia la superbia;
3) quali siano i rimedi necessari per fuggirla.
S. Tommaso definisce la superbia un desiderio disordinato della propria eccellenza. Egli lo dice desiderio disordinato, perché bramare posti e onori quando è cosa ragionevole non è superbia, ma magnanimità e grandezza d’animo.
Ciò avviene quando uno intraprende cose grandi e magnifiche col dovuto fine e nelle dovute circostanze, il che non si fa certamente dal superbo. Per meglio intendere in che cosa consista la malizia della superbia, è da notare che vi sono tre sorta di beni, che non possono derivare se non da Dio:
Beni di natura, come un intelletto sveglio e pronto, facile ad apprendere le arti e le scienze, una memoria felice, la sanità del corpo e la sua bellezza.
Beni di fortuna, come le ricchezze, gli onori, la potenza, il dominio e la capacità di comandare agli altri.
Beni spirituali, come la grazia, il dono della profezia, quello di discernere gli spiriti, di predicare la parola di Dio e simili. Ciò posto, i SS. Padri e i teologi assegnano comunemente quattro gradi o speci di superbia.
La prima si ha quando una persona, essendo dotata di qualcuno dei beni accennati, non li riconosce da Dio, ma li attribuisce a se stessa, se ne compiace e se ne gloria come fossero suoi propri.
La seconda specie si ha quando uno non riconosce i doni ricevuti da Dio, ma li attribuisce ai suoi propri meriti.
La terza specie si ha quando uno si attribuisce qualche bene ed eccellenza che non ha.
La quarta specie, finalmente, si ha quando uno disprezza gli altri, desiderando d’essere stimato più degno di loro e di essere ad essi superiore nel merito e nella virtù.
Superbia della prima specie fu quella di Lucifero, il quale, vedendosi creato da Dio così bello e adorno di tante e così eccelse prerogative di natura e di grazia, invece di riconoscerle tutte dalla liberalità di Dio, che gliele aveva concesse, ne prese motivo d’insuperbirsi, pretendendo di farsi simile allo stesso Dio.
Di superbia peccarono i nostri primi genitori, Adamo ed Eva i quali, non contenti di tanti doni e favori, di cui Dio li aveva ricolmati, per suggestione dell’infernale serpente, pretesero di divenire simili a Dio e di avere una perfetta conoscenza del bene e del male. Quanti fra i cristiani, forse anche tra le persone religiose, sono imitatori di Lucifero e dei nostri primi padri nella superbia! Quanti, vedendosi dalla natura e dalla fortuna dotati di eccellenti prerogative, o elevati a qualche posto di onore, ascrivono a se stessi tali prerogative e se ne vantano, se ne gloriano come di cose proprie, mentre tutto è dono di Dio! «Vani e superbi – vorrei dire a costoro se mi udissero – aspettatevi ben presto i castighi di Lucifero, dal momento che ne volete essere imitatori».
Nella seconda specie di superbia si pongono quelli o quelle che, essendo stati da Dio dotati dello splendore dei natali, o dell’abbondanza delle ricchezze, s’inorgogliscono in tal modo ed entrano in tale presunzione per i loro meriti, che non esiste cosa che li appaghi; non sono mai contenti, sembra loro di meritare più di quello che si fa o si concede loro, non possono soffrire di essere trattati come gli altri, vogliono preferenze e distinzioni. Miserabili! Credete forse che la nascita o le ricchezze vi rendano diversi dagli altri?
I veri beni e i tesori preziosi sono quelli che arricchiscono le anime e la vera nobiltà consiste, non nel merito degli antenati o nelle ricchezze, ma nelle buone azioni proprie.
Nella terza specie di superbia, che si ha, come ho detto, quando uno si attribuisce ciò che non ha, si possono collocare quelli o quelle che, essendo poveri e nati da umile famiglia, invece di accettare le disposizioni della divina Provvidenza, si crucciano e si vergognano della loro povertà e del loro umile stato e se, per avventura, accade che siano innalzati al di sopra della loro condizione, sdegnano di sentire parlare del loro antico stato, si sforzano di coprire l’umiltà dei loro natali, cercano di nascondere la povertà della loro nascita, fingendo grandezze che non hanno mai avute.
Nella quarta specie sono coloro che, disprezzando gli altri e le loro abilità, vogliono essere i soli stimati. Fanno ostentazione dei loro meschini talenti, vogliono comparire più degli altri, cercano di oscurare gli altrui meriti e virtù per figurare solo loro.
Quanti simili pazzi si trovano, i quali non hanno stima se non di se stessi!
Le due prime specie di superbia, quella cioè di non riconoscere da Dio i beni che si hanno e quella di ascrivere a proprio merito i beni da Dio ricevuti, se procedono da deliberata volontà, sono sempre peccati gravi; solamente possono essere veniali per leggerezza di materia. La terza o quarta specie, quando cioè ci si attribuisce qualche bene od eccellenza che non si hanno quando si disprezzano gli altri stimandosi più degni di loro, possono esimersi da colpa grave; quando però non intervenga anche in questo il disprezzo di Dio o non ne segua ingiuria o danno al prossimo, perché in questi casi la colpa sarà sempre grave.
Ecco dunque che cosa è la superbia e quali sono le sue specie.
Vediamo ora quali sono le sue figlie. Sono tre: la vanagloria, l’ambizione, la presunzione.
Cominciamo da quest’ultima: la presunzione è un disordinato desiderio di dimostrarsi e di comparire migliore di quello che si è. Ciò è peccato leggero, però in tre casi può essere peccato grave. Primo, quando da essa viene un danno notevole al prossimo, come se uno volesse esercitare, senza sufficiente capacità, un’arte, un mestiere, un ufficio. Secondo, quando uno usurpa una dignità, un ministero, senza averne la legittima autorizzazione. Terzo, quando uno, confidando nelle proprie forze, malgrado le passate cadute, si espone a qualche pericolo, perché questo sarebbe come un tentare Dio.
Seconda figlia della superbia è l’ambizione, che consiste in un desiderio disordinato di dignità e di onori. E quanti si fanno colpevoli di questo peccato, che in quattro casi può anche essere mortale!
Primo, quando si brama il posto e l’onore e si cerca di conseguirlo anche con mezzi gravemente illeciti, come sarebbe usar frodi e inganni per screditare i più meritevoli. Secondariamente quando l’ambizioso, per conseguire tale onore e dignità, non teme di offendere gravemente Iddio. Terzo, quando, essendone indegno per mancanza di capacità e scienza, ciononostante ambisce e tenta di conseguire onore e dignità a cui è annessa cura di anime e di governo di altre persone. Quarto, quando ambisce tal posto e dignità per un fine malvagio, come per danneggiare il prossimo o di vendicarsi di qualche affronto ricevuto.
La vanagloria, che da S. Gregorio viene anche chiamata peccato capitale, è la terza figlia della superbia. Questa è un desiderio disordinato di gloria e di lode umana. Ma dunque, direte voi, bramare la gloria della propria eccellenza è sempre peccato? Rispondo: questa brama può essere anche buona, quando è ordinata; vale a dire quando si brama solo la gloria che merita un bene come la gloria di Dio, il profitto del prossimo e l’utile proprio purché sia onesto.
È sempre poi cattiva, quando è contro la retta ragione: il che succede quando si brama la gloria per un bene che non si ha, o si brama maggior gloria di quella che merita un tal bene. Ma la vanagloria, soggiungerete voi, è peccato grave o veniale? Regolarmente parlando, è peccato veniale: ho detto regolarmente, perché in alcuni casi può essere anche peccato grave, come sarebbe se ci si gloriasse di essere lodato per aver commesso qualche grave peccato; così parimenti sarebbe peccato grave la vanagloria, quando ne seguisse danno notevole al prossimo.
La vanagloria ha anch’essa le sue figlie, come la superbia: la prima è la iattanza ed è quando uno si loda e si gloria eccessivamente di qualche cosa. Dico eccessivamente, perché lodarsi, come faceva S. Paolo, per un buon fine, vale a dire per la gloria di Dio e a profitto del prossimo, non è peccato.
La iattanza, di per sé, è peccato veniale. In tre casi, però, può essere anche colpa grave, cioè: 1° quando uno si loda e si gloria con disprezzo di Dio; 2° quando si loda con ingiuria del prossimo, come faceva il fariseo del Vangelo il quale, lodando se stesso, disprezzava il pubblicano; 3° finalmente, quando uno si vanta e si gloria di qualche grave peccato.
La seconda figlia della vanagloria è l’ipocrisia, che è la simulazione della virtù che non si ha, o il nascondere qualche vizio e difetto che si hanno. Questa, essendo come una specie di bugia, sarà sempre, per lo meno, peccato veniale.
La terza figlia della vanagloria è la pertinacia, la quale consiste in ostinarsi nella propria opinione e volerla difendere contro la verità. Questa sarà colpa grave quando la verità che ostinatamente s’impugna riguarda la fede o i buoni costumi, la pietà o la pace od altro bene notevole che tocchi l’onor di Dio o l’utile del prossimo.
La quarta è l’invenzione di novità ed è quando uno per cattivarsi l’altrui lode, vuole esporre cose mirabili e nuove e, quando questo fosse di cose contrarie alla fede ed ai buoni costumi, o generasse danno al prossimo, sarebbe anche peccato grave.
La quinta è la curiosità ed è uno sregolato desiderio di vedere, udire o sapere cose che non convengono. Se questo si fa in cose leggere solo per curiosità, non sarà che peccato veniale, ma sarebbe colpa grave quando ci fosse pericolo di peccare gravemente, come se si volesse guardare deliberatamente oggetti osceni, o saper gli altrui difetti, o conoscere ciò che altri è tenuto ad occultare del suo prossimo.
La sesta figlia della vanagloria è la disubbidienza formale, per cui si trasgredisce il precetto del Superiore. Quando la disobbedienza è con disprezzo del Superiore o del comando, è sempre peccato grave, quand’anche non fosse che in piccole cose perché, essendo un Superiore un ministro di Dio, Dio stesso ne resta in lui disprezzato, secondo il detto di Cristo: «Chi disprezza voi, disprezza me». Quando poi non si osserva il comando del Superiore per altri motivi, la colpa è mortale o veniale, secondo la gravità o la parvità della materia.
Considerato che cosa sia la superbia e le sue speci, resta ora da vedere la gravità di questa maledetta superbia, che è ciò che io volevo mostrarvi in secondo luogo.
Sappiate, adunque, che la superbia, fra tutti i peccati, è il più grave, il più enorme, il più odioso e il più ingiurioso a Dio, perché più d’ogni altro ci rende abominevoli dinanzi alla sua divina Maestà. Ciò per tre ragioni. Prima, perché gli altri peccati ordinariamente si commettono o per debolezza, o per ignoranza, o per godere di qualche bene creato. La superbia, invece, ci allontana da Dio per arroganza, per non volersi assoggettare a Lui ed alla sua legge.
Quindi il superbo se la prende con Dio, gli ruba la sua gloria, si attribuisce i suoi beni, attacca le sue perfezioni e vuol vivere nell’indipendenza. Tutti i vizi, dice S. Tommaso, fuggono da Dio, ma la superbia gli tiene testa, gli si oppone, o disperatamente combatte contro di Lui. Per questo ebbe a dire l’Apostolo S. Giacomo: «Dio resiste ai superbi», come se dicesse: «Dio si difende contro il superbo che gli fa guerra e gli resiste per difesa del suo onore e del suo regno».
La seconda ragione, per cui la superbia è il peccato più enorme, è che essa fa guerra a tutte le virtù e infetta ogni sorta di persone. Gli altri vizi, dice S. Gregorio, attaccano quelle sole virtù alle quali si oppongono, come per esempio l’ira si oppone alla pazienza, la gola all’astinenza, la lussuria alla castità; la superbia, invece, a somiglianza delle malattie contagiose che guastano tutte le membra del corpo, distrugge e corrompe tutte le virtù.
Attacca poi ed infetta ogni sorta di persone perché, essendo la superbia considerata come un vizio che ha un non so che di splendido e di nobile, poco manca che non la si creda una virtù e perciò quasi nessuno ne va esente: quegli stessi che, per condizione del loro stato, ne dovrebbero stare più lontani, sono spesse volte i più dominati da questo vizio. La superbia regna nei nobili come nel popolo, nei ricchi come nei poveri, nei dotti come negli ignoranti, e voi vedete che spesso chi ne sa meno vuol mostrare di saperne più degli altri, sia negli uomini come nelle donne, sia nelle persone religiose come nei secolari.
O vizio esecrando, che intacca ogni virtù e contamina ogni genere di persone, anche le più ragguardevoli!
La terza ragione, finalmente, che più ancora ci mostra quanto noi dobbiamo aborrire il vizio sciagurato della superbia, è che esso è il nemico più grande della nostra eterna salvezza. «Come l’umiltà- dice S. Gregorio – è uno dei segni più certi di predestinazione, così la superbia è il contrassegno evidente di eterna riprovazione». Ma perché, direte voi, la superbia è segno di riprovazione e l’umiltà di predestinazione? Perché, avendo Dio una particolare compiacenza della santa umiltà, ha in orrore, più degli altri vizi, quello della superbia.
Questa, dunque, toccando Dio in una cosa a lui sì cara, quale è l’umiltà, viene condannato nel più profondo degli abissi. Inoltre è certissimo che nessuno può salvarsi senza la grazia di Dio, ma a chi si dà la grazia? Non ai superbi, a cui Dio resiste, dice l’Apostolo S. Pietro, bensì agli umili, risponde S. Giacomo: Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam. Ecco, dunque, com’è vero che la superbia è segno evidentissimo di riprovazione. Avreste mai immaginato, sorelle mie, che un peccato sì enorme come la superbia, fonte ed origine di tutti gli altri peccati e segno più evidente di eterna riprovazione, fosse divenuto così comune da contagiare quasi ogni stato e condizione di persone, sicché pochissimi ne sono esenti? Eppure è così, e quello ch’è ancor più lacrimevole è che pochissimi sono quelli che si riconoscono affetti da questo brutto vizio e, mentre sono solleciti di confessarsi di tanti altri falli, raramente si confessano della loro vanità e superbia.
Ma dunque, direte voi, non vi sarà un rimedio per potersi liberare dalla maledetta superbia? Sì che vi è, Sorelle mie, ed è la santa umiltà. Per eccitarci alla pratica di questa bella virtù e sradicare da noi la superbia, facciamo una breve riflessione su noi stessi.
Che cosa è questo corpo, di cui tanto ci pavoneggiamo? Un sacco di miserie e di fango, che andrà, in breve, a marcire in un sepolcro. L’anima nostra è un’opera bella e stupenda della mano di Dio, ma per causa del peccato a quanti errori non va essa soggetta! Da quante perverse inclinazioni e passioni è predominata! In quanti difetti cadiamo continuamente tutto il giorno e le stesse opere buone che facciamo, da quante imperfezioni restano macchiate! E poi, anche se facessimo le opere più sante e più perfette, chi ci assicura che siano accolte da Dio? Chi è di noi che possa sapere di certo se sia in grazia o in peccato? Se sia degno di odio o di amore presso Dio? Speriamo d’esser in grazia di Dio e che Dio accetti le nostre opere buone, ma queste le abbiamo forse fatte con le nostre forze? Certamente no, tutto è dono di Dio, come insegna la fede. Se dunque nulla è nostro, se noi non abbiamo che miseria e difetti, di che ci vanagloriamo? Ecco, Sorelle mie, il grande rimedio per riparare i mali causati in noi dalla superbia e il mezzo più adatto a sradicarla da noi.
Fissandoci su queste riflessioni, verremo a conoscere bene noi stessi, la nostra miseria, il nostro nulla e questo basterà a tenerci sottomesse in tutto: prima a Dio e poi, per amore di Lui, anche ai suoi rappresentanti, cioè ai nostri Superiori. Gesù Cristo, poi, che nei prossimi giorni del Santo Natale contempleremo Bambino nella stalla di Betlemme, sarà ancora l’esempio più efficace a stimolarci alla pratica della grande virtù della santa umiltà. Vedremo il Monarca del cielo e della terra, l’onnipotente Iddio vestito di umana carne, stretto in piccole fasce, appunto per insegnare a noi ad essere umili e mansueti di cuore. Abbiamolo, dunque, sempre dinanzi agli occhi questo Divin Salvatore, figuriamocelo presente in ogni nostra azione e vedrete che la superbia starà lontana da noi. Amen!