La carita 6

 

LA CARITÀ: AMORE DEL PROSSIMO

Due sono i precetti della carità cristiana: l’uno ci obbliga ad amare Dio sopra tutte le cose, con tutte le potenze dell’anima nostra, e a schivare quei vizi e peccati che direttamente si oppongono ed impediscono questo divino amore; l’altro ci obbliga ad amare il prossimo come noi stessi per amore di Dio. Il primo è detto da Gesù Cristo stesso il massimo dei comandamenti della legge: primum et maximum man-datum.

Il secondo viene dallo stesso divin Salvatore assomigliato a questo: secundum autem simile est huic. In questi due comandamenti dell’amor di Dio e dell’amore del prossimo, è compendiata tutta la legge e i profeti. Sono parole di Cristo e chi osserva questi due soli comandamenti può dire giustamente di aver adempiuto tutti i divini precetti. Dunque dopo aver parlato precedentemente dell’amore dovuto a Dio, dopo aver esposto e spiegato i principali motivi che ci devono spingere a questo divino amore; dopo aver mostrato quale dev’essere il nostro amore verso Dio, come dobbiamo praticarlo, quali mezzi si devono adoperare per acquistarlo come conviene; dopo aver an che parlato dell’amore che si deve a Gesù Cristo, del modo di esercitarlo in pratica e dopo aver mostrato infine i principali ostacoli che c’impediscono di amare Dio, quali sono il nostro amor proprio, la dimenticanza di Dio, il lagnarsi, è bene che incominciamo finalmente a parlare dell’amore che dobbiamo al nostro prossimo.

Io vi confesso, sorelle mie, che non posso far a meno di perdermi d’animo, quando rifletto all’estrema importanza di questo precetto di amare il prossimo, poiché vedo che questo comandamento divino è forse il più trascurato, essendo oggi la carità fraterna quasi spenta del tutto, non solo fra gli uomini in generale, ma persino nelle stesse famiglie religiose. Quello però che ancor più mi sgomenta è che l’amore del prossimo è più arduo e difficile che l’amor di Dio. Ad amare Dio infatti ci sprona la sua infinita bontà e le belle sue perfezioni, gli innumerevoli benefici che ci ha dato, i beni immensi che da Lui speriamo. Cose tutte che, quali dolci e forti catene, ci tirano quasi a forza ad amarlo. Il prossimo, invece, non solo non ha qualità che lo rendono amabile, ma tante volte ha dei difetti che lo rendono odioso; invece di farci del bene ci ha fatto e ci fa tante volte del male. Eppure, nonostante queste cattive qualità, nonostante i cattivi tratti che ci usa o ci ha usato, Dio vuole che lo amiamo; ce ne dà un precetto così vigoroso, che lo mette alla pari di quello di amar Lui stesso. Quanta dunque è la difficoltà, altrettanto maggiore è l’importanza di questo precetto, e di conseguenza maggiore è la necessità di parlarne. Vediamo, dunque, l’origine della carità verso il prossimo, poi vedremo i motivi da cui dedurremo l’indispensabile necessità. Sembrerà, forse, cosa strana ed incredibile che quel Dio, il quale ci comanda di amarlo con tutto il cuore, sopra ogni cosa, voglia poi nel suo amore ammettere compagni, voglio dire il nostro prossimo, mentre si sa che gli uomini stessi vogliono esser soli nell’amare le cose a loro care. Ma bisogna sapere che l’amor di Dio e l’amor del prossimo sono due germogli, dice S. Gregorio, che vengono fuori tutti e due da una medesima nobilissima radice ch’è la carità; son due fratelli nati da una stessa madre; due anelli che formano una stessa catena; uno non può stare senza l’altro. L’amor di Dio produce l’amor del prossimo; nell’amor del prossimo si alimenta e fermenta l’amor di Dio.

Cosicché, dice S. Doroteo, come le linee, tirate dalla circonferenza del circolo, quanto più s’avvicinano al centro tanto più s’avvicinano fra loro, e tanto più fra loro si spostano quanto più s’allontanano dal centro; così noi quanto più saremo uniti a Dio, tanto più saremo uniti, per la carità, tra noi, e tanto meno saremo uniti tra noi, quanto meno lo saremo con Dio. Adunque, questi due amori debbono andar sempre uniti. Amate Dio? Amate anche il prossimo. Non amate il prossimo? Dunque non è vero che amate Dio. Se tu dicessi, dice S. Giovanni Evangelista, che ami Dio, ma intanto hai dell’avversione o della ribellione verso qualcuno dei tuoi prossimi, tu sei un mentitore e bugiardo. E la ragione è, prosegue il santo, perché è espresso comando del Signore che chi ama Dio, ami anche il prossimo suo. Se tu dunque, ragiona l’Apostolo, non ami tuo fratello, disprezzi il comando di Dio e, disprezzando il suo divino comandamento, come puoi dire di amarlo? Non è l’osservanza dei divini precetti che testimonia il nostro amore per Dio? Chi tiene impresso nel proprio cuore e nella propria mente i miei comandamenti, dice Gesù Cristo, e li osserva appuntino, questi mi ama; chi invece non cura i miei precetti è segno che non mi ama. Non è dunque possibile amar Dio senza amare il nostro prossimo, perché, come già dissi, l’amor di Dio produce l’amore del prossimo, il quale, perciò, cresce o diminuisce secondo che cresce o si raffredda l’amore verso Dio. Difatti vediamo che i santi, perché ardevano di grande amor di Dio, erano anche accesi di grande carità verso il prossimo, e quanto più amavano il sommo Bene, tanto più erano portati ad amare i fratelli, porgendo loro aiuto e sollievo in tutti i bisogni sia di corpo, sia di spirito. Per quanto, dunque, un cristiano o anche una persona religiosa, si creda penetrata da sentimenti teneri e vivi di amor divino, non sarebbe che una pia illusione, anzi un manifesto inganno del demonio, se in pari tempo fosse dura ed insensibile verso il prossimo: tale è l’origine e la condizione della carità fraterna.

Veniamo ora ai motivi che abbiamo di amare il nostro prossimo. Il primo, il principale, il più efficace è perché il nostro divin Redentore non solamente ce ne fa un comando, che, come abbiamo detto, uguaglia quello di amare Lui stesso, ma ce lo inculca con tanta premura che protesta esser questo un comando suo proprio, un nuovo precetto non perché non siano suoi tutti gli altri precetti, o perché questo dell’amor fraterno non sia antico quanto il mondo, ma per farci conoscere che per questo precetto ha una premura maggiore e poiché ora è quasi spenta la pratica, Egli ce ne rinnova il comando e la forza come se fosse la prima volta che lo intimasse agli uomini: hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem. Quello però che dovrebbe più intenerirci e muoverci all’osservanza di questo divino comandamento è che il divin Salvatore, dopo avercelo inculcato come un comando tutto suo particolare e nuovo, ce lo raccomandò in modo speciale in quell’ultimo suo discorso, tanto tenero ed affettuoso, che tenne agli apostoli nell’ultima cena. Allora il buon Gesù ci raccomandò e ci lasciò come suo testamento ed espressione della sua ultima volontà, che ci amiamo l’un l’altro con lo stesso amore, con cui Egli amò noi. In quel modo che un buon padre di famiglia avendo raccomandato in vita ai suoi figli ed eredi qualche cosa che gli stava a cuore, trovandosi vicino alla morte, gliela raccomanda con maggior efficacia, affinché resti loro più impressa e la eseguiscano a perfezione, così il divin Redentore, dopo averci raccomandato più volte, nel corso della sua vita che ci amiamo l’un l’altro, di questo comando ce ne fece poi come la sua ultima volontà e il suo testamento, raccomandandocelo con più vigore in quel momento, in cui, per la nostra eterna salute, stava per dare la vita e versare il suo sangue su d’una croce. Che ve ne pare, sorelle mie, poteva Dio con più forza e premura raccomandarci la carità vicendevole, l’amor fraterno? Egli non lo chiamò soltanto comando suo particolare, comando tutto nuovo, ma volle rinnovarcelo, lascian docelo, come per testamento quando andava a morire per amor nostro! Ora cosa di cui i bravi figlioli si fanno debito e legge da osservare con maggior premura, è quanto viene richiesto loro in punto di morte dal loro buon padre; chi dunque potrà addurre ancora scuse per non amare il suo prossimo? Chi se ne potrà dispensare?

Ma padre, dirà taluna, noi siamo ben persuase che dobbiamo amare il nostro prossimo vorremmo limitarci solamente a quelle persone che ci fanno del bene, che hanno belle qualità e che sono secondo il nostro genio; come volete che amiamo quelle che non hanno alcuna attrattiva, né garbo? Quelle che sono sempre di malumore e di carattere così molesto che non si può trattare con loro; quelle che sono piene d’imperfezioni e di difetti? Come è possibile amare quella consorella che vuol fare a suo modo; quella Superiora che non ce ne vuol dare una vinta; quella stizzosa che non è mai contenta, che trova da dire su tutto, che brontola sempre e per la quale tutto va male se non vi mette le mani lei? Orsù, tacete, tutte queste sono mormorazioni manifeste; non è certo sempre vero tutto ciò che andate dicendo, ciò infatti non ha luogo tra noi, ma se anche ci fosse, voi dovete amare queste persone malgrado le loro cattive qualità. Dovete avere un cuore dolce ed amoroso con tutte, anche con le persone che vi sono di peso e di disgusto, poiché anche, se non trovate in loro qualche cosa che le renda amabili, basta il rispetto che dovete avere verso il divin Salvatore, che vi comanda di amare anche quelli che vi fanno del male e di beneficare anche quelli che vi odiano. Lo so che questa è una pillola molto amara al nostro vendicativo amor proprio, ma pure Gesù ci ha insegnato così e così ha fatto Egli stesso pendente dalla croce, dove pregò per tutti quelli che l’avevano crocifisso.

L’amare quelli che ci amano, è cosa che fanno anche gli infedeli, noi cristiani dobbiamo essere più perfetti, amare anche chi ci odia, anzi dobbiamo amare quegli stessi per i quali sentiamo maggior avversione, non perché ci piacciono i loro vizi e difetti, ma perché sono creature di Dio come noi; come noi formati ad immagine di Dio, e perché, finalmente, Gesù Cristo, come già dissi, nostro Salvatore e nostro Dio, ce ne fa un particolare comando. L’apostolo S. Giovanni, portato sulle braccia dei suoi discepoli alla chiesa perché non poteva più, per la cadente e grave età, formulare lunghe prediche e discorsi, ripeteva sempre queste parole: figlioli miei, amatevi l’un l’altro. I discepoli, stanchi di udir sempre la stessa canzone: « Maestro, gli dissero, perché ci dite sempre lo stesso? ». E S. Giovanni rispose: « Perché questo è il precetto del nostro Signore e se questo solo s’adempie, basta per tutto ». Così dobbiamo dir noi, mie dilette figlie, per impegnarci ad amare il nostro prossimo quantunque difettoso e a noi avverso. Quella persona non ha alcuna buona qualità, non ha alcuna dote né di natura né di grazia per essere amata, anzi ha tutti i difetti che la rendono invisa e sgarbata; non importa: è nostro prossimo, è nostra sorella in Gesù Cristo, dobbiamo amarla perché Dio lo comanda. Quell’altra è capricciosa, vuole le cose tutte a modo suo; questa tratta con asprezza, si mostra altera e superba, quella è fastidiosa, incontentabile; questa è rozza e fa sempre le cose a rovescio; non importa: bisogna amarla, perché Dio lo comanda. Quella Superiora ci comanda con alterigia, talvolta ci maltratta e strapazza senza ragione; quell’altra ha detto male di noi e ci ha beffato, non importa, è nostro prossimo: Dio ci comanda che l’amiamo nonostante questi maltrattamenti: quia praeceptum Domini est. Qui sta la vera umiltà: vedere, sentire, onorare e trattenersi, se occorre, con quelle persone che sappiamo essere a noi contrarie. Senza di questo, tutto è niente.

La carità del prossimo è il vero contrassegno dell’essere cristiano e seguace di Gesù Cristo. Fate quanto di perfetto e di grande potete immaginarvi; state tutto il giorno e la notte in orazione; digiunate, comunicatevi ogni giorno, se non amate il vostro prossimo, se avete con la vostra consorella un qualche risentimento o qualche rancore, se nutrite verso di lei qualche malevolenza ed invidia, voi non avete il vero carattere dei discepoli di Gesù Cristo. Gesù non si cura di voi, né vi conosce per sue spose. Le frequenti e lunghe orazioni, i continui e rigorosi digiuni, le austerità e le penitenze, la frequenza degli stessi sacramenti, possono essere accompagnati da illusioni e da inganni, ma l’amor del prossimo è il contrassegno infallibile dei discepoli di Cristo. « In questo conosceranno che siete miei discepoli, dice Cristo di sua bocca, se vi amerete l’un l’altro ».

Ma poi, perché non amare il nostro prossimo? Non è un’opera e una creatura di Dio, come siamo noi? Nella sua anima non è stampata la viva immagine di Dio e di tutta la Trinità sacrosanta? Per la salute di quest’anima, l’eterno Padre non ha mandato qui in terra il suo unigenito Figlio? E questo Figlio di Dio, venuto in terra e fatto uomo nel seno purissimo di Maria, non ha faticato per tanti anni ed è morto su di una croce in mezzo ai più spietati tormenti, per salvare quest’anima? Se dunque il nostro prossimo ha un’anima per cui Gesù Cristo ha speso tutto il suo sangue, come possiamo noi non amarla? Considerate quanto costa al buon Gesù quella persona di cui voi non fate forse alcun conto. Mettete un po’ da un lato, dice S. Agostino, questa persona da noi non amata, anzi schivata, e dall’altra tutti i patimenti, le ignominie, la dolorosissima morte che il Figlio di Dio ha sofferto per salvarla, e poi giudicate qual conto ne dovete fare. Sarà mai possibile che arriviate ad odiare chi è un’immagine viva di Dio, e che al divin Salvatore costò la vita ed il sangue?

Gesù mio caro, no, non è possibile che non amiamo il nostro prossimo da Voi tanto amato. Voi ce lo comandate, noi ci faremo scrupolo di ubbidirvi. Voi protestate che questo comando è tutto vostro; che dall’amarsi l’un l’altro volete che si conoscano i vostri veri seguaci. Dunque, per amor vostro e per godere di sì bel contrassegno di vostri discepoli, noi ci ameremo a vicenda; siccome i nostri simili costano a Voi il sangue e la vita, così per questi saranno ancora i nostri affetti. Mirando in essi Voi solo, li ameremo nonostante tutte le loro cattive qualità e difetti e faremo

loro ogni bene possibile. Deh! fate, o buon Gesù, per la divina vostra misericordia, che siamo sempre animate di fraterno amore su questa terra, per essere poi partecipi della vostra gloria nel cielo. Così sia.