LA CARITÀ
I MOTIVI DI AMAR DIO
Quantunque sia connaturale al fuoco ardere, tuttavia, quando non vi si appressa legna od altro alimento, o quando venga a mancare il soffio benefico che lo scuota e lo agiti, s’estingue e vien meno, così noi, sebbene dobbiamo, per nostro dovere, amare Dio di tutto cuore, con amore intero, operativo, costante, essendo questo il fine principalissimo per cui fummo creati, non riusciremo mai a riaccendere e mantenere vivo nel nostro cuore il fuoco di questa santa carità, se non adoperiamo i mezzi necessari a portargli il dovuto alimento che, come mantice, lo ravvivi nell’animo nostro. Perciò, dopo aver io mostrato, nell’ultima istruzione, l’obbligo strettissimo che tutti abbiamo di amar Dio con tale amore che s’innalzi sopra tutte le cose e ci porti a soffrire ogni male piuttosto che offenderlo e disgustarlo anche menomamente, ora desidero additarvi e sottoporre all’attenta vostra considerazione, per quanto già forse li sappiate, i motivi che ci spingono e spronano a questo divino amore. Questi motivi sono molti ed innumerevoli, ma io per non dilungarmi troppo, li restringo a tre principali e cioè:
I) che noi siamo tenuti ad amar Dio, perché Egli, come supremo Signore ce lo comanda;
II) perché è in Se stesso infinitamente amabile, essendo infinitamente bello ed infinitamente buono;
III) perché, finalmente, Egli ci ha tanto amato, ricolmandoci d’infiniti favori.
Faccia il Signore che con la pochezza del mio spirito, possa io svolgere, e voi possiate bene intendere, questi principali motivi dell’amor suo e vediate quanto è giusto, ragionevole, necessario il precetto della divina carità.
Dio, dice il reale profeta, è il Signore, il supremo Signore, grande sopra tutti gli dei: Egli è il nostro Signore e padrone, noi siamo il suo popolo, le sue pecorelle, le sue creature ch’Egli ha formato con le sue mani, che per Lui sussistiamo, per Lui unicamente siamo fatti; di Lui sono tutti i beni che noi godiamo nella vita presente e che speriamo in quella avvenire. E’ evidente che può comandarci quello che vuole, darci più uno che l’altro precetto; tra tutti i suoi comandamenti, questo: che noi l’amiamo con tutto il cuore e con tutto lo spirito, è il primo ed il massimo. Nessuno quindi può sottrarsi a questo divino amore; tutti siamo tenuti a questo rigoroso precetto! Ma grande Iddio! Che è mai l’uomo che voi lo magnifichiate tanto che, non solo siete contento ch’egli vi serva, vi adori, ma volete perfino che egli vi ami e vi compiacete del suo amore come di cosa a voi graditissima? Che siamo noi agli occhi vostri che desideriate il nostro amore, e lo volete così assolutamente che ce ne fate un espresso comando e riprovate chi non vi ama? Che degnazione! Che effetto di infinita bontà! Noi ci stimiamo talvolta felici, se possiamo servire i grandi del mondo e se una semplice creatura si compiace d’essere da noi amata: come dunque potremo non amare Dio che, pur avendo Egli solo il merito d’essere amato, ce lo comanda e, se non lo facciamo, ci minaccia e ci sgrida? E’ forse duro e difficile questo comandamento dell’amore? Se i divini precetti, come dice l’apostolo S. Giovanni, non sono affatto gravosi: mandata eius gravia non sunt, questo di amarlo è certamente fra tutti il più dolce e soave: « Gustate – dunque, vi dirò col profeta – gustate et videte, quoniam suavis est Dominus »; provate amar Dio sinceramente, e vedrete quanto è dolce e dilettevole.
Il santo divino amore è la vera felicità dell’anima, è la vera sua vita che, cominciando su questa terra, durerà poi eternamente nel cielo. Non sia dunque, da qui innanzi, se non per Dio il nostro amore: Egli ce lo comanda. Che necessità c’è mai ch’Egli ce lo imponga con un espresso comando? Non è in Se stesso infinitamente amabile? Egli ha tutte quelle qualità che fra gli uomini rendono amabile una persona e rapiscono i cuori ad amarla, come la bellezza e la bontà. Una persona tanto più diviene amabile quanto più ha in sé attrattiva e merito per essere amata. Ora vi è bellezza, v’è bontà che si possa mettere a confronto con la bellezza e bontà di Dio? Se noi consideriamo le bellezze di cui fanno pompa le creature, come: lo splendore del sole, la vaghezza dei pianeti, lo scintillio delle stelle, il grazioso aspetto che ha la terra rivestita di tante erbe e variopinta da tanti fiori; la varietà degli alberi, dei frutti, degli uccelli dell’aria e dei pesci del mare e di tanti altri animali, delle perle preziose, ecc, ci sentiamo prese da meraviglia e attratti dall’affetto verso di essi.
Che dire poi della bellezza del volto umano? Eppure tutti questi splendori che ci affascinano nelle creature, non sono che stille di quel mare immenso della bellezza infinita che è Dio; non sono che piccolissimi raggi di quel sole divino che splende nella Gerusalemme celeste. Egli solo è veramente bello, perché contiene e racchiude in sé in grado sublime, cioè in modo infinito, tutte le bellezze e le soavità di tutte le creature insieme. La sua faccia, secondo quanto c’insegna la fede, appare lassù nel cielo così avvenente ed attraente, che forma il più vago oggetto del paradiso, anzi la beatitudine stessa del regno celeste. Milioni e milioni di angeli e di spiriti beati, di anime sante la contemplano, con loro inesplicabile gaudio e contentezza, per tutta un’eternità, senza mai saziarsi, né curarsi d’altro che di sempre più contemplarla a loro piacere. « Figli degli uomini, non posso fare a meno di gridare col profeta – "Figli degli uomini, perché tenete sempre i vostri occhi e il vostro cuore rivolti alla terra e non li alzate mai a contemplare il nostro Dio, bellezza essenziale, tanto antica e sempre nuova? Perché non amate voi il Signore? Perché seguite invece la vanità, correte dietro le false e bugiarde bellezze delle creature? Non vi fermate più, come forse faceste finora, a mirar le caduche bellezze che si scorgono in questo mondo; non fissate più in esse il vostro cuore, ma se ancora vi sentite spinti a volgere loro lo sguardo, fatelo solo per farne quell’uso benedetto che ne facevano i santi, per servirvene, cioè, come di scala per salire più facilmente a contemplare l’infinita bellezza dell’Essere perfettissimo di Dio. Stabilite, dunque, di volere da qui innanzi amar Dio solamente con quell’amore intero, operativo e costante che ben merita ». Così faceva il grande patriarca S. Francesco di Assisi, il quale, come scrisse S. Bonaventura, nel mirare quelle stesse creature che a molti servono di distrazione, più facilmente si sollevava a Dio, e maggiormente s’accendeva del suo amore. La bellezza del sole, il brillare delle stelle, la fragranza e la bellezza dei fiori lo portavano immediatamente a fissarsi nella bellezza di quel Signore, da cui esse, come da fonte loro propria, discendono. Dall’armonia, che pareva udisse sempre dai cieli, dal canto degli uccelli, dal moto dei pesci si sentiva eccitato a lodare il suo Dio. Ogni cosa, insomma, in cui vedeva impressa le vestigia del suo diletto, era per lui una nuova fiamma e un nuovo incendio di amore.
Che se la bellezza dell’Esser divino non basta di per sé a rapirci il cuore e gli affetti, a farci amare davvero il Signore, passiamo ora a considerare la sua infinita bontà. Quanto questa ce Lo rende amabile e degno di essere amato! Se la bontà è la seconda dote che spinge ad amare una persona, e quanto più ella è buona tanto più ci si rende amabile, perciò meritevole di essere amata, con quale amore dobbiamo noi amare Dio, essendo Egli infinitamente amabile, perché infinitamente buono?
Nel mondo ci furono e ci sono anime sante e buone, di un cuore così ben fatto, di indole così soave,
di volto sì dolce che si rendono così care ed amabili, che rapiscono il cuore di tutti: trattare con tali persone è una delizia. Esse esprimono con tanta grazia i loro concetti, specialmente quando parlano di cose spirituali e di Dio, che, benché a volte non siano persone di gran talento, né di grande scienza, né adorne di quelle luminose qualità che tanto attirano le simpatie del mondo, tuttavia, fanno tutti a gara per trattenersi con loro e per meritarsi la loro amicizia. Chi avesse avuto la sorte di trattare familiarmente con S. Giuseppe e con la Santa Vergine, quando dimoravano qui in terra, chi avesse potuto osservare la loro verginale modestia, le loro belle azioni, udire i loro santi discorsi, sarebbe rimasto estasiato. Ma che era ciò che rendeva sì amabili quelle anime sante e che rendono amabili anche oggi quelle anime che tendono alla perfezione cristiana? Una piccola particella, un’ombra di quella immensa bontà che si trova in Dio e che la sua misericordia ha donato ad esse; una scintilla, un raggio di quell’amore, che Dio si è degnato di comunicare a queste anime sue, care e dilette, è quello che le rende sì amabili e sì gradite. Quanto, dunque, ci deve essere caro e amabile il nostro Dio, buono in se stesso, fonte e sorgente di ogni vera bontà e d’ogni amore!
Quello, però, che più ci manifesta la divina bontà ed è, per conseguenza, un più forte motivo per amare Iddio, è ciò ch’Egli ha fatto per noi: l’amore che ci ha portato colmandoci di tanti benefici e di così segnalati favori. Questo era uno degli argomenti principali che adduceva il diletto Giovanni per stimolare gli uomini all’amore divino. « Amiamo Dio, fratelli, diceva il santo apostolo, perché Egli prima ci ha tanto amati ».
Questi benefici sono di due sorta, alcuni appartengono all’ordine di natura e sono: la vocazione, la sanità, le forze, la roba, tutte le prerogative del corpo, tutte le doti dell’animo e tanti altri beni naturali che Dio ci comparte continuamente. Il cielo e la terra, il sole, la luna, le stelle, i pianeti, i pesci, gli uccelli e tanti altri animali, Dio li ha creati per nostro amore, perché servano a noi. Gli angeli stessi e quei principi celesti che assistono sempre al suo divin trono, li ha destinati a nostri custodi e compagni.
Altri benefici appartengono all’ordine della grazia e sono: la redenzione, per cui a costo di ferite, di sangue e di una morte dolorosissima ci ha liberati dalle pene dell’inferno, meritate per i nostri peccati; i SS. Sacramenti; il dono ineffabile del suo Sacratissimo Corpo nell’Eucaristia; la grazia santificante che eleva le nostre anime allo stato soprannaturale; gli aiuti della grazia attuale che giornalmente ci dona, con tante ispirazioni, tanti lumi, tante mozioni con cui ci sprona al bene, e tanti mezzi che ci offre per il conseguimento della nostra eterna salvezza.
Tutto questo, che la ristrettezza del tempo non mi permette di trattare degnamente, non basterà ad accendere i nostri cuori di fiamme di carità per questo nostro sommo benefattore? « Dio ha così amato il mondo, dice S. Giovanni, che ha voluto donarci il suo unigenito figlio » e, mentre poteva salvarci con tanti altri mezzi quanti gliene suggeriva la sua onnipotenza e sapienza infinita, ha voluto servirsi del mezzo più sublime, mandando in terra, come redentore, lo stesso suo Figlio, perché Egli stesso ci liberasse dalla schiavitù dell’inferno e ci donasse la vita di grazia in terra, e la gloria eterna in cielo. Saremo noi così freddi e indifferenti? Ma chi potrà mai comprendere la finezza e l’eccesso di questo divino amore che spinse il divin Padre, a dare il suo divin Figlio generato da Lui « ab aeterno » negli splendori dei santi, per liberare dalla morte noi miserabili peccatori ed ingrati? Chi potrà comprendere la finezza e l’eccesso di quest’amore che spinse il divin Figlio, consustanziale al Padre, a venire Egli stesso in persona a pagare con la propria vita il grossissimo debito del nostro riscatto? Eppure è così; ce ne assicura la fede, non si può dubitare. Dopo ciò, non ameremo noi l’amatissimo Iddio? Avremo cuore ed affetti per altri e non per questo amante divino? Se già gli dobbiamo dare tutto il nostro cuore e tutti i nostri affetti perché ci ha creati, che cosa gli dobbiamo poi, perché ci ha redenti in modo sì generoso e amoroso? Non vi siete mai fermate a considerare l’eccessivo amore di Gesù Cristo nell’operare la nostra salvezza? Venendo in questo mondo poteva nascere tra le grandezze, le delizie e gli agi, invece volle nascere tra la povertà e l’abbiezione e volle condurre in una carne passibile la vita più stentata e povera. Poteva con un solo sospiro, con una lacrima sola, con una sola goccia del suo preziosissimo sangue, perché d’infinito valore, ricomprare tutto il mondo, invece volle esporre il suo Sacratissimo corpo ai più barbari supplizi, alle percosse e alle piaghe più crudeli; la sua innocentissima anima ai tedi, alle agonie più dolorose, volle spargere il suo sangue a gocce nell’orto, a rivi nel pretorio e tutto, morendo su una croce.
Ma perché, amantissimo mio Salvatore e mio Dio, voleste assoggettarvi a tanti e sì acerbi patimenti, se senza di questi, ma con poco, potevate salvarci? Se senza morire, con una sola goccia del vostro preziosissimo sangue potevate riscattare il mondo, perché voleste versarlo tutto su di una croce, morendo? Non per altro, risponde S. Bernardo con i santi padri, che per farci intendere che ciò che bastava alla redenzione, non bastava all’amore. Infatti, se con poco potevate redimerci, essendo tutte le vostre azioni d’infinito valore, non potevate, però, con poco mostrarci l’infinita grandezza dell’amor vostro!
E noi non vi ameremo ancora, e vorremo ancora dividere tra le creature quel cuore e quell’affetto che, per tanti titoli, è tutto dovuto a voi? Vorremo noi continuare ad essere con voi, come facemmo per tanto tempo, sì ingrati sino ad offendervi indegnamente, anziché amarvi?
No, mio Signore, mio Dio, finché avremo vita, questa riflessione renderà il nostro dolore inconsolabile e il nostro pentimento più amaro, perché, invece di amarvi per tanti vostri benefici e per così segnalati favori vi abbiamo tanto offeso. Noi vogliamo amarvi, bontà e bellezza infinita, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze. Voi ce lo comandate, come supremo Signore e padrone di tutte le cose; lo meritate, come bellezza e bontà infinita; lo esigete, come sommo nostro benefattore; noi ve lo dobbiamo con tutta ragione. Ma, poiché questo amore è vostro dono, datecelo Voi, infondetelo Voi in tutte le potenze dell’anima nostra, affinché con un amore più fervoroso e più acceso, possiamo supplire alle passate mancanze. Amen.