La carita 1

 

LA CARITÀ

La carità è la virtù più nobile, più sublime e più eccellente di tutte le altre. Come le virtù teologali, poiché riguardano Dio immediatamente, s’innalzano sopra tutte le virtù morali, che hanno per oggetto l’onesto, così fra le virtù teologali, gode il primato la carità. Essa, dice S. Paolo, è maggiore della fede e della speranza, perché la fede riguarda Dio solo in quanto alle verità da Lui rivelate, e la speranza riguarda Dio solo come oggetto della sua beatitudine che spera di possedere. La carità invece riguarda Dio così immediatamente che in Lui si ferma e si appaga: nel cielo cesseranno la fede e la speranza, perché lassù si vedranno apertamente le verità che ora crediamo e si godrà quell’infinito Bene che ora speriamo, ma non cesserà la carità, che anzi diverrà più fiammeggiante e perfetta. Non è da meravigliarsi: infatti tutte le virtù traggono origine e si alimentano ai tralci dell’albero della carità, e di tutti i meriti essa è principio e forma. In essa consiste tutta la legge; e tutti i precetti della legge si assommano in questo solo: amore! Questa è la veste nuziale dei figli di Dio; veste che nessuno può indossare se prima non depone quella di schiavo delle passioni e del peccato; veste preziosa che copre la moltitudine dei peccati; veste preziosa di cui, parlando l’Apostolo nella sua I lettera ai Corinzi, tesse tanti splendidi elogi.

Di questa santa carità, seguendo l’ordine delle nostre istruzioni, io devo parlarvi stasera, mie figlie, ma, purtroppo non saprò farlo degnamente.

Mi sarebbero necessarie, in questa materia, le espressioni, non solo, ma i concetti e le fiamme di un serafino, tanto essa è sublime e divina! Ma poiché non mi è dato di attingere tanto in alto, m’ingegnerò di parlarne alla meglio, lasciando che suppliscano i miei desideri, dove non arrivano le mie capacità. Poiché si tratta di carità, voi usatela con me nell’udirmi con pazienza: vi mostrerò che cosa sia la virtù della santa carità, come ci sia raccomandata e come debba adempirsi un tale comandamento.

La carità è una virtù teologale, un dono infuso da Dio nell’anima nostra quando abbiamo ricevuto il santo Battesimo, dono che ci porta ad amare Dio per se stesso sopra tutte le cose, ed il prossimo come noi stessi per amore di Dio. Da ciò si vede che due sono gli oggetti della carità: Dio e il prossimo; Dio come oggetto primario; il prossimo come oggetto secondario. Questa sera parleremo solo della carità verso Dio.

Questa, dunque, è una virtù teologale, ma di tutte la più eccellente, perché, come abbiamo detto, riguarda immediatamente Dio. Si dice infusa da Dio perché, essendo un dono soprannaturale, Dio solo può produrlo nelle anime nostre. Secondo il detto di San Paolo: « La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo, che è dato a noi ». La carità perfetta ama Dio per se stesso, e non perché è buono con noi e può farci eternamente felici; questo sarebbe un amore interessato e nasce dalla speranza, ma se lo amiamo perché è buono in se stesso e per la sua infinita amabilità, questo è un amore prestantissimo di benevolenza e di amicizia. Per mezzo di questo, l’anima riposa nel suo Signore, gode e si compiace ch’Egli sia infinitamente grande, buono, santo. Si compiace e gode di tutte le sue infinite perfezioni e specialmente della sua gloria. Non basta: brama, inoltre, efficacemente e procura che da tutte le creature del mondo questo buon Dio sia riconosciuto, stimato, lodato, perfettamente amato e glorificato. Ma v’è forse, dirà qualcuno, qualche comandamento che ci obblighi ad amare il nostro Dio con quest’amore così perfetto di benevolenza e di amicizia? La natura stessa non ci insegna forse che si deve amare il Creatore supremo di tutte le cose? Le Sante Scritture non gridano tutte che il divino Rimuneratore, Glorificatore e Redentore è degno d’essere amato da noi con tutto il cuore e con tutte le forze? Questo amore è principio e fine di tutta la religione cristiana, pertanto, chi nega quest’obbligo di amare Dio, distrugge, con un sol colpo, tutta la religione cristiana. Difatti noi vediamo che non c’è cosa che sia più frequentemente inculcata dalle divine Scritture, quanto questo grandissimo, e primo fra tutti, comandamento. « Ascolta, Israele, disse Mosè a tutto il popolo eletto, il Signore Dio nostro è il Signore Dio tuo: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze. Queste mie parole saranno sempre impresse nel tuo cuore ». « Qual è il più grande comando della legge? ». Disse a Cristo quel dottore fariseo. E Cristo gli rispondeva: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua: questo è il massimo e il primo comandamento».

Non c’è dunque da dubitare: l’amor di Dio ci è strettissimamente comandato ed è un precetto inerente alla stessa ragione naturale. Dio, essendo infinitamente amabile per Se stesso, e essendo nostro ultimo fine, come dicono i teologi, secondo le leggi della sua infinita sapienza, non poteva non comandare d’essere, per Se stesso e sopra tutte le cose, amato dalla creatura ragionevole e capace d’amore. Ma quale dev’essere questo amore perché giunga all’adempimento di così grave comandamento? Dev’essere intero, operativo, costante. Dobbiamo amar Dio con tutto il cuore, adempiendo con esattezza tutti i suoi divini comandamenti e mantenerci a Lui fedeli fino alla morte, nonostante le difficoltà e gli ostacoli.

La prima condizione dell’amor nostro verso Dio è che sia totale ed intero. Così ci viene chiaramente specificato dalle stesse parole con cui è formulato questo gran comandamento, già accennate sopra: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Ciò vuol dire che tutti i pensieri della nostra mente, tutti gli affetti e i movimenti del nostro cuore, gli stessi nostri sensi e desideri devono essere indirizzati a Dio né mai colpevolmente occupati in altri oggetti che non siano Dio. Ma se è così, dirà forse taluno, bisognerà abbandonare amici e parenti, cure, occupazioni, traffici, lavori ed ogni cosa terrena e star sempre in chiesa ai piedi degli altari, od in altro luogo ai piè del Crocifisso, in continua contemplazione? Beate voi se bramaste di far ciò, per non attendere ad altro che a Dio! Ma non è necessario questo. In due maniere, dice S. Bonaventura, si può amar Dio sopra ogni cosa con tutto il cuore:

a) in un modo tutto singolare e perfetto, che escluda ogni affetto che non sia per Dio, talmente che il cuore non abbia moti, la mente pensieri che non tendano a Dio e di null’altro si viva se non del suo santo amore; b) l’altra maniera non così singolare e perfetta, è quando si amano anche le creature, ma in modo tale che nel nostro cuore il primo posto l’occupi sempre Dio.

La prima maniera è quella con cui amano Dio gli Angeli e i Beati nel cielo, e aspirano ad amarlo le anime più innamorate e più accese d’amore per Lui. Perché non siamo anche noi in questa sì invidiabile necessità di amare il nostro buon Dio in tal modo? Perché il nostro cuore non si sente rapire da quella fiamma divina, da cui sono accesi gli Angeli e i Beati nel Cielo, e non ci fa, noi pure, ritrovare quiete, centro e riposo nel solo amor divino? Perché, almeno, non avvampa il nostro cuore tra quei beati incendi fra cui ardevano i Santi? Ma per amar Dio con amore d’integrità sì perfetta, bisognerebbe essere in Paradiso in compagnia degli Angeli e dei Beati, oppure aver lo spirito così illuminato e il cuore così acceso come l’avevano i Santi. Dio però, vedendo che ciò riuscirebbe molto difficile alla nostra fragilità e freddezza, non ha voluto che questo amore così perfetto fosse oggetto di precetto; si è contentato di essere amato dalle sue creature con amore d’integrità tale che, innalzandosi sopra tutte le cose, non ammette con esse divisione colpevole, cioè Iddio vuole essere amato in modo che Lo si preferisca a ogni creatura e che si affronti ogni cosa piuttosto che perdere, disgustare, offendere Lui, Bene infinito. Questo solo ha voluto che cada sotto precetto, e a questo solo intende obbligarci. Non vieta dunque di attendere anche alle faccende e ad affari terreni; non vieta di amare i parenti, gli amici, i congiunti e altre cose di questo mondo; vieta solo di amarli al di sopra di Lui e, per causa di essi, o di qualunque altra creatura, indulgere a disgustarlo ed offenderlo in qualsiasi modo: « Chi ama il padre, la madre, il fratello, la sorella più di me (lo stesso disse di ogni altra cosa) non è degno di me » dice Gesù in S. Matteo.

Ma ditemi, mie figlie, pare a voi che si ami oggi Dio da tutte le anime cristiane con quest’amore d’integrità, che non ammetta divisione di sorta? Vi pare che amino Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la loro mente quelle anime che sono piene di amor proprio e di vanità, quelle anime che cercano sempre la loro soddisfazione, che corrono dietro con tanta passione ad un misero oggetto passeggero e caduco, quasi che questo fosse il fine di ogni loro azione? Vi pare che amino Dio con amore d’integrità quelle anime che vivono col cuore diviso in mille e mille oggetti terreni, che hanno la mente occupata in tutt’altro che in Dio; e che in tutt’altro che in Dio trova gusto e piacere il loro cuore; tutt’altro che Dio venerano e rispettano, e sono così attaccate alla loro volontà che guai a chi le contraddica in qualche cosa? Dio d’infinita bontà, d’infinita bellezza, quanto male v’incontraste con i figli degli uomini! Voi venite posposto allo sfogo di una vile passione, d’un puntiglio, d’una vanità, d’un falso piacere. Per non negarsi una minima voglia, per non soffrire una piccola contrarietà, per non incontrare un minimo travaglio, per ordinario si preferisce la vostra offesa. Questo è l’amor divino che regna oggi giorno tra le anime cristiane? Guai a chi non ama il Signore! Egli è reo di morte eterna: chi non ama rimane nella morte, dice S. Giovanni.

Ma non basta amar Dio con amore intero che s’innalzi sopra tutte le cose; bisogna amarlo ancora con amore operativo: occorre che si adempiano i precetti della sua legge: « Se voi mi amate – dice Cristo in S. Giovanni, parlando ai suoi discepoli – osservate i miei comandamenti ». Sapete chi è colui che più mi ama? Colui che tiene conto dei miei precetti e tutti esattamente li osserva. Questa è la pietra di paragone con cui si deve provare l’amore verso Dio. Chi osserva scrupolosamente i suoi comandamenti, ama Dio; chi questi trasgredisce ha un amore molto povero. Vi sarà chi si flagella fino a sangue, chi porta il cilizio, chi spesso digiuna, chi si trattiene a lungo in orazione, ma come si pratica la legge di Dio? A questo si deve guardare, per conoscere se veramente amiamo Dio. Dio comanda nella sua legge di adorare Lui solo, di invocare il suo santissimo nome, d’impiegare santamente i giorni a Lui consacrati, di amare il prossimo come noi stessi. Comanda che riconosciamo i nostri Superiori come rappresentanti di Lui stesso, che ascoltiamo la loro voce come la sua voce stessa; che si neghi la propria volontà e si prenda la propria croce, se si desidera seguirlo. Ma come si osservano questi santi comandamenti dalle stesse persone religiose, oggi? Invece di serbare il nostro cuore a Dio solo, lo si lascia occupare dalle creature, dagli affetti mondani; il divin nome si nomina con poco rispetto e devozione; i santi giorni di festa sono destinati a fare ed a ricevere visite e più degli altri si consumano in tante chiacchiere ed oziose parole e fors’anche in mormorazioni; insomma sono i giorni di maggior dissipazione. Il prossimo si ama quando ci va genio e ci accarezza, altrimenti si guarda bieco, si avversa, si disprezza. I Superiori si rispettano quando la pensano come noi; si ubbidiscono quando comandano cose confacenti al nostro gusto; si amano e si portano in palma di mano quando ci accontentano in tutto; ma se ci contraddicono in qualche nostro desiderio, se ci negano qualcosa o se ci fanno qualche giusta correzione o ci comandano qualcosa a noi spiacevole, allora si brontola con le consorelle, si aborriscono o si avversano, almeno nell’interno, e si giunge talvolta ad augurare loro del male. La volontà propria non la si vuol mai contraddire; la croce, la tribolazione si guardano con diffidenza; si soffre con impazienza; ci si riempie di malumore per un nonnulla. Vi pare questo il modo di osservare con esattezza i divini comandamenti? Vi pare di amar Dio con tale amore operativo che adempia tutta la divina legge? Eppure è certo che per essere privi dell’amor di Dio, non è necessario che si trasgrediscano tutti i precetti della legge: basta che se ne violi uno solo. Dio priva della sua grazia tanto colui che trasgredisce un solo comando, come colui che trasgredisce tutte e due le tavole della legge: sia l’uno che l’altro Egli priva del Paradiso e condanna all’Inferno.

Per ultimo l’amor divino dev’essere costante, col rendersi superiore ad ogni tentazione ed assalto con cui il demonio, il mondo e la carne cercassero di allontanare il nostro amore da Dio e farci cadere in peccato. L’amor di Dio non consiste in dolci parole o dolci aspirazioni, bisogna che venga alla pratica, che resista ad ogni difficoltà anche penosa e dura. Se nei pericoli cediamo, se le tentazioni ci vincono, se le tribolazioni di spirito o di corpo ci abbattono, se una offesa suscita risentimento contro l’offensore, il nostro amore verso Dio è falso, come l’oro che non regge al fuoco. Perché l’amore di Dio sia costante non basta resistere a qualche tentazione, sopportare qualche travaglio, tollerare in pace qualche affronto per qualche tempo: bisogna resistere a tutte le tentazioni, a tutte le contrarietà con pazienza, sempre fino alla morte. Dobbiamo essere risoluti di amare il nostro buon Dio in modo che nulla ci possa staccare da Lui: né tribolazione, né angustia, né fame, né persecuzione né spada, né la morte stessa. Questo è l’amore intero e co stante, che deve regnare nei nostri cuori, se vogliamo compiere quel precetto che Dio ci ha dato quando ha detto: « Ama il Signore, Dio tuo, con tutta l’anima tua, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze ». Amen.