Il silenzio

 

IL SILENZIO

Il silenzio fu sempre stimato dai maestri di spirito un grande mezzo per divenire anime di orazione, e per disporci al tratto intimo con Dio. E la ragione è, dice il profeta Isaia, che il Signore, ordinariamente, mai parla alle sue creature e mai comunica loro i suoi arcani misteri nel frastuono e nel tumulto: non in commotione Dominus. Infatti, ogni qualvolta Iddio volle comunicare agli uomini i suoi sovrani consigli, i suoi distinti favori, lo fece sempre nel silenzio e nella quiete della solitudine. Parlò a Mosè e gli manifestò ciò che doveva dire da parte sua al potente Faraone, ma lo fece sulla cima del Monte Oreb; diede allo stesso Mosè la sua legge da dare al suo popolo, ma sulla vetta del Sinai. Gesù parlava alle turbe e le ammaestrava con una dottrina di Paradiso, ma prima le conduceva con sé nel deserto. Volle dare un saggio della sua divinità e della sua gloria agli amati discepoli, affinché l’amassero sinceramente e costantemente lo seguissero, ma sulla cima del Tabor. E per venire a tempi più vicini a noi, ditemi, sorelle mie, vi è forse qualche santo, che abbia ricevuto segnalati favori tra i rumori e la dissipazione? Leggete la vita di questi campioni della Fede e vedrete che tutte le grazie più distinte, che ebbero dal Signore, le ricevettero sempre o nel silenzio della notte, o nella quiete dell’orazione, o nella solitudine di un romitaggio. E tutto per la ragione già addotta e che Dio stesso manifestò ad Isaia, cioè che Egli non parla al cuore delle sue creature nel frastuono e negli svaghi del mondo. Per questo l’angelo, inviato da Dio a S. Arsenio per insegnargli ciò che doveva fare per salvarsi, gli disse: Se vuoi salvarti, ritirati nella solitudine, osserva il silenzio, riposa in Dio, tenendoti sempre alla sua presenza divina. Si vis salvus esse, fuge, tace, quiesce. Seguendo questo divino insegnamento, tutte le anime, desiderose di farsi sante, hanno sempre cercato di ritirarsi sui monti, nelle caverne e nei deserti, per trovar quivi quel silenzio che non potevano avere in mezzo al mondo e che, d’altra parte, era tanto necessario a conseguire la loro santificazione.

Parliamo, dunque, oggi di questo silenzio, tanto importante per il nostro spirituale profitto e vediamo i grandi beni che si hanno nell’osservarlo e i danni che vengono dal trasgredirlo. Quel ch’io dirò sarà, se non tutto, almeno in parte, di S. Alfonso de’ Liguori, tratto dalla sua celebre opera: La sposa di Gesù Cristo. E lo feci per due ragioni:

– sia perché io non avrei mai potuto né saputo trattar meglio una tale materia di come la trattò un tanto uomo;

– sia perché, essendo dottrina di un sì gran santo, voi tutte ne farete gran conto, vi studierete di metterla in pratica e non vi lascerete ingannare dal demonio, il quale essendo nemico acerrimo del nostro bene, cercherà di distogliervi dall’osservanza del silenzio con pretesti molteplici, sicché la divina parola resterà infruttuosa. Se farete attenzione, vedrete che, nonostante le prediche che si sentono, e sono chiare e lampanti, nonostante gli esercizi spirituali che si fanno, si va sempre innanzi sulla medesima strada: chi è dissipata continua nella sua dissipazione, chi è ciarlie-ra continua a chiacchierare; chi pecca di vana curiosità, continua a mostrarsi curiosa e vana; chi è arrogante e piena di pretese, continua in questi difetti; chi è negligente e trascurata nelle osservanze della comunità, continua ad essere tale. E che segno è questo? Che la parola di Dio non si cura e non se ne fa alcun conto. E sapete perché? Perché il diavolo, a cui preme che non ci emendiamo dei nostri difetti, ci fa pensare che il predicatore abbia parlato per questa o per l’altra. Che illusione! Ammettete anche che ciò fosse; vi pare che sia motivo ragionevole per non approfittare della parola di Dio? Che direste d’un malato a cui il medico, conoscendo bene il suo male, prescrivesse l’opportuno rimedio, ed egli non volesse applicarlo, perché il medico era stato avvisato dall’infermiera? Voi lo direste pazzo, perché se fosse di mente sana e desiderasse guarire, prenderebbe il rimedio adatto al suo male senza curarsi del come gli sia stato ordinato. Lo stesso si dica di chi non approfitta della predica o degli esercizi, per la sciocca idea che il predicatore parli per essere stato informato. Ma, Dio buono, io vorrei dire a queste, se qui fossero ad udirmi, è vero o non è vero quello che ha detto il predicatore? Se è vero, per qualunque fine l’abbia detto,

voi dovete approfittarne se volete salvarvi, se poi non è vero vi deve servire come di avviso a preservarvi dal cadere in ciò che egli ha detestato e riprovato. Ma poi è falsissimo che il predicatore, il confessore d’ordinario parli per altrui informazione. Ma come dunque, direte voi, può sapere le cose che succedono? Iddio dà i lumi secondo i bisogni e il predicatore, il confessore sanno bene come sogliono andare le cose nel mondo e nelle comunità religiose. Udite, dunque, con desiderio di approfittare, e lasciate i sospetti ed i giudizi che non fanno altro che impedirvi i frutti della santa parola, e vi faranno piangere quando non sarete più in tempo a rimediarvi.

Quanti beni porta con sé il silenzio! Il silenzio, la quiete dai rumori, dice S. Bernardo, concentrano i pensieri della mente e gli affetti del cuore, sollevano l’anima sopra se stessa e dolcemente la conducono a stabilirsi in Dio nella contemplazione dei beni eterni. Il silenzio, soggiunge il profeta Isaia, è la virtù che coltiva la giustizia nell’anima, perché da una parte, togliendo la radice alle contese, ai litigi, alle mormorazioni, ai risentimenti, alle curiosità ci libera da molti peccati, ci difende dalle tentazioni, conserva la devozione e favorisce l’orazione; dall’altra parte ci apre la via alla pratica di molte virtù cristiane. Quanto bene, infatti, esercita l’umiltà quella religiosa che, mentre le altre parlano, ella modestamente ascolta e tace! Quanto bene esercita la mortificazione quella religiosa che, mentre vorrebbe narrar qualche fatto o dire qualche cosa di umoristico che verrebbe a proposito nella conversazione, se ne astiene! Come esercita bene

la mansuetudine la suora che, nel sentirsi riprendere o ingiuriare a torto, accetta in silenzio! Quanto è vero ciò che disse lo stesso profeta. Nel silenzio e nella speranza sta la nostra fortezza!

Col silenzio noi evitiamo le occasioni di peccare e, dando agio alla mente di concepire buoni e santi pensieri, ci rendiamo quasi inespugnabili ad ogni assalto o tentazione.

E’ per questo che tutte le persone di spirito furono sempre amanti del silenzio e si studiavano di osservarlo con ogni scrupolosità, anche quando pareva necessario parlare.

Al contrario, chi può numerare i danni immensi che causa il parlar troppo? Come il silenzio conserva e fomenta la devozione ed il fervore, così il molto parlare la distrugge e la estingue. Anche se l’anima è stata raccolta nell’orazione, ma dopo questa si diffonde nel parlare, si ritroverà subito distratta e dissipata, come se non avesse fatto orazione. Perciò guardati, dice S. Doroteo, dal soverchio parlare, perché questo fa svanire dalla mente i santi pensieri e il raccoglimento con Dio. Ed è proprio così, perché è regola certa che la persona che parla molto con gli uomini, parla poco con Dio, e Dio, d’altra parte, parla poco con lei; mentre Egli dice che prima di parlare all’anima, la conduce in solitudine, ma questa solitudine non si troverà in chi non ama il silenzio. Se taceremo, diceva Suor Margherita della Croce, avremo solitudine, al contrario non avremo solitudine se non taceremo.

Potrebbe il Signore degnarsi di parlare a quella

persona, la quale, cercando sempre la conversazione delle creature, dimostra che la conversazione divina non basta a renderla contenta? Poi ci lamentiamo che nell’orazione siamo distratte, aride, tanto che non possiamo concepire un buon pensiero! La causa è che non osserviamo il dovuto silenzio. Oltre a ciò lo Spirito Santo ci avverte che nel troppo parlare vi è sempre qualche colpa. Sembrerà a colei che tira a lungo il discorso senza necessità, di non commettere alcun difetto, ma esaminando bene la cosa, troverà che il difetto c’è sempre: o di mormorazione, di curiosità, di vanagloria, o almeno di parole inutili, vane ed oziose. E qui notate che le parole sono vane e inutili tutte le volte che il nostro parlare non ha di mira la gloria di Dio, della Vergine, dei Santi, o almeno qualche utilità nostra o del prossimo. Secondo l’affermazione di Gesù Cristo stesso, che si legge in S. Matteo al capitolo 12°, i cristiani dovranno rendere conto al tribunale divino di ogni parola oziosa che sarà loro sfuggita di bocca. Non dovranno poi, di queste parole oziose, rendere conto in quel giorno tremendo le persone religiose che sono tenute per il loro stato, a vivere con più perfezione dei secolari? Se noi credessimo davvero di dover dar conto a Dio di ogni parola oziosa ed inutile, (ed è verità incontrastabile del Vangelo) credete voi, sorelle mie, che avremmo la bocca sempre pronta a chiacchierare, e la lingua così spesso in moto? No, certamente, poiché i giudizi di Dio sono rigorosi e il fuoco del Purgatorio, con cui dovremo scontare queste inutili parole, come ogni altra venialità, è troppo doloroso. Ma forse crediamo di godere qualche privilegio per essere persone religiose? O mie dilettissime, per questo appunto, perché siamo persone religiose, dovremo subire al divin tribunale un esame più rigoroso. Ora di tutto si scherza e si ride, non si fa conto degli avvisi e delle ammonizioni che ci vengono fatte dai confessori, dai predicatori e dai Superiori, si continua a diportarsi come se questi rappresentanti di Dio non parlassero a noi, ma al tribunale di Gesù Cristo, il grande libro della vita ci si aprirà dinanzi! Vedremo allora che furono pretesti ed astuzie del diavolo quelle che ci persuadevano a non dar retta a chi ci avvisava per nostro bene. Vedremo quanto è vero quel detto di S. Giacomo apostolo, che cioè la lingua è una universalità di mali, perché appunto la maggior parte dei peccati viene dal parlare o dal sentir parlare.

Quante religiose, dice S. Alfonso de’ Liguori, si vedranno perdute nel giorno del giudizio, per non aver tenuto conto del silenzio! Ma il peggio è, continua lo stesso santo, che la religiosa, la quale si dissipa, parlando con le creature e nel parlare assai, non saprà neppure vedere i suoi difetti e quindi non si ravvedrà mai; andrà di male in peggio, farà mille errori e non le sembrerà di aver mancato. Alcune religiose, è sempre lo stesso santo che parla, pare che non sappiano vivere senza parlare sempre, or con questa, or con quella, vogliono sapere tutto quanto succede dentro e fuori della casa, si assumono i pensieri di tutte le altre e poi dicono: « Che male faccio io? ». Che male fate voi? Togliete le chiacchiere, procurate di raccogliervi in voi stesse, mettetevi nello stato in cui sarete in punto di morte e vedrete quanti difetti avete commessi col vostro soverchio parlare. S. Giuseppe Calasanzio diceva che una religiosa dissipata è l’allegrezza del demonio, perché con la sua dissipazione non solo non fa bene per sé, ma col girare nelle stanze dell’una e dell’altra, o per i vari luoghi cercando con chi chiacchierare, col suo parlare a voce alta, non portando rispetto neppure alla chiesa, impedisce il bene delle altre. Perciò con molta ragione queste religiose chiacchierone, vengono chiamate da un dotto e pio scrittore, demoni familiari dei monasteri, che fanno un gran danno. E i santi, di questa verità, pare ne fossero più che persuasi, poiché dicono concordemente che siccome una casa religiosa, ove si osservi il silenzio, è quasi un paradiso in terra e muove a devozione non solo chi vi abita ma anche chi sta fuori, così al contrario una comunità, un monastero, dove sempre si parla, è figura dell’inferno, perché non essendovi il silenzio, vi saranno continue contese, mormorazioni, lamenti, amicizie particolari, fazioni e tumulti.

L’esperienza conferma questo sentimento dei santi, perché fa vedere che in quel monastero, in quella comunità ove si ama e si osserva il silenzio, si mantiene in vigore l’osservanza ed ogni virtù vi fiorisce, dove invece si fa poco conto del silenzio e non vi si osserva, regna poco spirito e ben poca virtù. E’ per questo che i Santi Fondatori di comunità religiose hanno sempre, con grande premura, raccomandato il silenzio ai loro religiosi, perché sapevano quanto importa osservarlo per conservare lo spirito, tanto che un grand’uomo diceva che, per riformare una comunità religiosa, bastava piantarvi l’osservanza del silenzio, perché stando allora ognuno raccolto, avrebbe, quasi di necessità, atteso al suo profitto spirituale. Se volete saper la ragione, dice S. Alfonso de’ Liguori, per cui poche religiose si fanno sante, è perché, dice il santo, poche sono quelle che osservano il dovuto silenzio, poiché senza speciali lumi ed aiuti di Dio non si può giungere a praticare la virtù con perfezione: questi lumi ed aiuti speciali Dio non li dà, come abbiam visto fin da principio, se non nella quiete e nel raccoglimento.

Ma già mi accorgo che qui voi mi volete fare un mondo di opposizioni, dite pure schiettamente. « Padre, voi direte, noi non siamo monache da dover osservare un silenzio così rigoroso; qui non c’è mai stato uso di fare silenzio, ognuna ha sempre parlato alto e forte nei corridoi, in chiesa, in refettorio a suo piacimento; e poi, se non parliamo, ci prenderebbe la malinconia, per cui parliamo a bella posta per distenderci un poco, tanto più che, non avendo ricreazione in comune, come si usa in altre case religiose, se non ci fosse lecito parlare in quei luoghi dove ci troviamo assieme, non potremmo parlare quasi mai ». « Basta così, ho inteso, rispondiamo a tutto. Voi dite che non siete monache da dover far silenzio. Ma ditemi: si devono salvare solo le monache? Voi dunque siete venute qui in comunità per vivere una vita assai più dissipata di quella di tante persone nel mondo? E poiché non siete monache non dovrete dar conto a Dio delle parole oziose, conto che d’altra parte Egli esige non solo dalle religiose, ma da qualunque per sona ragionevole? I peccati veniali, come sono tutte le ciarle inutili, le piccole disobbedienze, le vane curiosità di sapere, di interrogare sul perché e sul come, non saranno per voi mancanze ma buone disposizioni per frequentare la Comunione? Voi dite che qui non ci fu mai l’uso di osservare il silenzio; e questa vi pare una ragione che dinanzi a Dio vi possa scusare dal non osservarlo? In questo caso, nessun peccatore si convertirebbe mai, perché qual è quel peccatore che prima di convertirsi, fosse abituato a fare il bene e a praticare la virtù? Anzi sono appunto peccatori perché, essendo abituati al vizio, non sono avvezzi a ben fare; e poi, perché un difetto vi è sempre stato, non lo si deve togliere mai? Ci dovrebbe, invece, colmare di maggior confusione e far mettere più presto mano all’opera per sradicarlo una buona volta. Persuadiamoci, dice S. Alfonso, che quando siamo afflitti, tutte le creature della terra e del Cielo non possono consolarci. Dio solo consola, ma come può consolarci Dio nello stesso tempo in cui l’offendiamo?

Dite che non avete ricreazione in comune per comunicare una parola. E chi vi impedisce che dopo la refezione, sia del giorno che della sera, vi tratteniate per un po’ di tempo in qualche sala a santamente ricrearvi? Certo che, se venendo su dal refettorio, una si chiude in una stanza, l’altra in un’altra, due vanno di qui, tre di là, non avrete mai più ricreazione in comune, ma il non averla, come vedete, dipende da voi. Mi direte che non c’è uso, ma io vi ho già detto che se fosse buona ragione dinanzi a Dio, questo: « Non c’è uso », nessuno si riformerebbe mai né dal male al bene, né dal bene al meglio; eppure tutte siamo tenute a far queste riforme fino a giungere alla perfezione che Dio richiede da noi. Lasciate, dunque, da parte tanti pretesti che, come vedete, non sono altro che inganni del maligno, con cui egli si sforza di impedirvi la pratica di un mezzo tanto importante per la vostra eterna salute, e stabilite di voler perseverare costantemente, se già avete intrapreso a farlo, come spero, secondo quello che vi dissi di questa materia altra volta, o iniziare da questo punto almeno ad osservare il silenzio dei tempi e luoghi stabiliti, nei quali tempi e luoghi non vi permetterete mai di parlare senza un vero bisogno ed a voce bassa in modo da non essere intese da altre per non disturbare nessuno. E notate che il silenzio si rompe non solo col parlare, ma anche col fare frastuoni e rumori: perciò in tali tempi e luoghi abbiate cura di fare ogni cosa con somma pacatezza e quiete, e tenere intanto la mente a Dio, usando frequenti e devote giaculatorie. In altri tempi e luoghi, ove è permesso parlare, parlate sì, ma non con voce alta come fa la gente di strada, perché anche questo si oppone al santo raccoglimento e silenzio, e denota gran dissipazione. Non amate poi tanto il parlatorio: andate sì quando non ne potete fare a meno, ma non mai in tempo di orazione né dell’ufficio, e quando vi andate procurate di sbrigarvi il più presto possibile perché nel molto parlare si viene sempre a mancare in qualche cosa. Guardatevi, soprattutto, di parlare di cose inutili, di domandare notizie e faccende del mondo, perché queste cose sono la peste dello spirito; se non fosse altro vi porteranno poi molta distrazione nel tempo dell’orazione.

Obbligato un giorno il demonio da una gran serva di Dio a dire in qual luogo del monastero egli guadagnasse di più, rispose: « Io guadagno nel coro, ossia in chiesa, nel refettorio, nel dormitorio; in questi luoghi però parte guadagno e parte perdo; nel parlatorio invece guadagno tutto, perché quello è il luogo tutto mio ». Dio voglia che non sia veramente così! Fuggite, dunque, il parlatorio più che potete e non temete di comparire scortesi con le persone del mondo cercando di abbreviare il discorso, anzi esse rimarranno edificate della vostra esattezza. La cortesia della religiosa, diceva la venerabile Giacinta Marescotti, consiste nell’essere scortese, nel troncare, in parlatorio, ogni discorso troppo lungo. Quella religiosa, dice S. Teresa, che vuol essere molto amica di Dio, bisogna che sia nemica delle grate, le quali sono porte del cielo quando stan chiuse; sono invece fonte di pericolo quando stanno aperte. Un monastero, o conservatorio di donne, continua la santa, dove c’è libertà di parlare, di andare e venire dalla grata o dal parlatorio a piacimento, serve più a condurle all’inferno, che per tutela della loro debolezza. Amate, dunque, il silenzio, e amandolo, amerete anche la solitudine; vi asterrete dal parlatorio più che potrete; vi darete più all’orazione mentale perché più sentirete le consolazioni dello spirito. E’ impossibile, dice S. Maria Maddalena de’ Pazzi, che trovi gusto nelle cose divine la religiosa che non ama il silenzio; se lo amerete, sarete più puntuali alle osservanze della casa, più esatte nell’obbedienza, più affezionate alla lettura spirituale e a tutte le pratiche di pietà. Come si rende cara a Dio una religiosa che ama il silenzio!

Non vi lasciate attirare dalle altre Consorelle che volessero parlare o violare il silenzio, perché questa condiscendenza non vi scuserà certamente dal difetto. Fatevi forza allora, allontanatevi da loro, o tacete, indicando col dito alla bocca che è ora di silenzio.

In questo modo vi manterrete raccolte in Dio e lontane dalle imperfezioni. Tacendo, per quanto si può, anche fuori del tempo di silenzio, voi verrete a schivare i tanti difetti che si commettono con il parlare; e schivando i peccati di lingua, avrete fatto un gran passo nella perfezione; anzi già sarete giunte alla cima di essa, perché l’apostolo S. Giacomo dice che chi non pecca con la lingua è uomo perfetto.

Che Dio ve lo conceda!