IL GRANDE BENEFICIO DELL’INCARNAZIONE
Il Mistero dell’Incarnazione del Divin Verbo è il fondamento e la base su cui poggia tutto l’edificio della nostra religione cattolica ed è anche un beneficio ineffabile che Dio fece agli uomini, per un eccesso della Sua infinita bontà.
Per ben conoscere la grandezza del beneficio che Dio ci fece nella divina Incarnazione del Verbo, conviene considerarla da tre punti di vista, cioè:
1°) dal profondo dei mali da cui Dio ci ha sollevati;
2°) dall’altezza a cui ci ha innalzati;
3°) dai mezzi di cui si è servito il Signore per farci un tanto bene.
Avete mai visto, o Sorelle, quello che avviene ad una pietra che si stacchi dalla cima di un’alta montagna? Essa viene giù rotolando con gran fracasso e, saltando – di rupe in rupe, cade impetuosa nella sottostante valle e qui se ne starebbe eternamente, senza sperare di ritornare sull’alto monte, se una mano compassionevole ed amica non ve la portasse. Tale era il nostro stato prima della venuta al mondo del nostro Signore Gesù Cristo.
Caduto Adamo dalla giustizia originale, a causa del peccato, rimase privo nell’anima e nel corpo di tutti quei doni e privilegi che gli erano stati concessi da Dio nella sua creazione. Il suo intelletto, pieno di sapienza, rimase offuscato e accecato dalle tenebre dell’ignoranza; la sua volontà, che come regina governava, senza difficoltà, tutti i movimenti della parte sensibile, divenne come schiava della passione e dei sensi, e sentì una forte inclinazione al male e una grandissima ripugnanza al bene.
Come l’uomo si ribellò contro Dio, così la carne si ribellò in lui contro lo spirito, e l’istinto che prima stava interamente soggetto, si ribellò contro la ragione. L’uomo, allora, cominciò ad essere turbato dall’inquietudine e dal timore e a provare quegli interni fastidiosissimi combattimenti, nei quali la legge dello spirito, opponendosi a quella della carne, pone l’uomo in contrasto con se stesso.
Non basta! A questi effetti funesti, causati dalla colpa nell’anima, seguirono gravissimi mali riguardo al corpo. Mentre Adamo prima godeva di una salute perfetta e si cibava senza fatica di frutti che spontaneamente germogliavano dalla terra e non era soggetto alla morte, in pena della sua trasgressione fu condannato, con tutti i suoi discendenti, a tutte le miserie che si vedono sulla terra: fame, sete, caldo, freddo, malattie, stenti e morte. Siccome quel luogo di delizie, dove Dio lo aveva collocato, era fatto per l’uomo innocente, così, resosi egli colpevole, venne subito scacciato dal Paradiso terrestre insieme con la sua compagna, senza speranza di tornarvi.
Non basta ancora. Trasgredendo il divino comandamento e commettendo il peccato, Adamo perse la grazia e l’amicizia di Dio, incorse nella pena di morte non solo temporale ma anche eterna e, mentre prima Dio trattava familiarmente con lui e con lui si deliziava, dopo la colpa lo riguardò come ribelle e lo ritenne indegno di godere una vita beata nel Cielo a cui l’aveva destinato, anzi lo condannò ad ardere eternamente nell’Inferno.
Così facendo, Dio manifestò che quanto più è liberale nel beneficare i Suoi servi, altrettanto è giusto e severo nel castigare i Suoi nemici. Tutti questi gravi danni e questi numerosi castighi non si fermarono solamente in Adamo, ma si tramandarono a tutti i suoi figli: in tutti i suoi discendenti, infatti, si trasmise il suo peccato. Così tutti gli uomini nascono, come anche noi siamo nati, privi della grazia e della innocenza, e spogli di tutti quei doni e privilegi che, con la santità originale, Dio ci aveva concesso.
Se Dio ci avesse liberato dalla dannazione eterna, come fa un principe quando dona la vita ad un colpevole condannato dalle sue leggi a morire, questo sarebbe stato un beneficio incomprensibile. Ma il Signore, nella Sua ineffabile bontà, non si è accontentato di rialzarci solamente dall’abisso di tutti i mali, ma volle di più sollevarci, per mezzo della Sua grazia santificante, ad uno stato divino.
L’ottimo Iddio ha fatto con noi come quell’amorevolissimo pastore di cui si parla nel S. Vangelo, il quale, andato in cerca per balze e per dirupi della pecora smarrita, trovatala, non si contentò di scioglierla e districarla dal groviglio di spine in cui si era impigliata, ma accarezzandola ripetutamente, la portò all’ovile da cui si era allontanata.
Per l’incarnazione del Divin Verbo, il Signore, non solo è venuto in cerca di noi, perduti per il peccato, ma di più, rivestendoci della Sua grazia, ci ha sollevati alla grande dignità di Suoi figli; ci ha fatti partecipi di tutti i Suoi beni e ci ha costituiti eredi della beatitudine eterna in Paradiso.
Chi potrà misurare la distanza infinita, che intercorre tra quel profondo abisso da cui ci tolse e quell’altezza a cui ci sublimò? Tra lo stato di un peccatore condannato alle fiamme infernali, e lo stato di un giusto destinato alla gloria del Cielo? I Serafini stessi nel misurare questi due estremi, cadono in una estasi di dolcissima meraviglia.
E noi, non ci sentiremo toccare nemmeno legger-mente il cuore per un favore così stupendo e per un beneficio così smisurato?
Aggiungete che, il Signore, prevedendo la nostra insipienza nel perdere l’acquistato tesoro e nel precipitare di nuovo dalla sommità della grazia nel baratro della colpa, ci ha lasciato anche la maniera di riparare tale perdita con la penitenza e con i Sacramenti. Non esclameremo noi: o amore ineffabile, o carità senza confine! Dove potremmo noi trovare tra gli uomini una ombra di simile amore?
Se noi ci riteniamo tanto obbligati per ogni piccola dimostrazione affettuosa delle creature verso di noi, non saremo noi degni di riprovazione e di biasimo, se ci dimenticassimo del nostro sommo Benefattore, se rifiutassimo di servirLo davvero e se tornassimo ad offenderLo con nuove colpe? Non vi sembra che questa sarebbe ingratitudine tale, da non trovarne una simile nemmeno tra i demoni nell’inferno, i quali, benché fossero angeli sublimi, non hanno tuttavia ricevuto dalla divina Bontà favori di questa sorte? Infatti, caduti una volta, sono stati abbandonati per sempre nella loro rovina dalla Misericordia Divina.
Lontano da noi tale ingratitudine! Proponiamo, piuttosto di dare tutto per quel Signore che ci ha favoriti con tanti modi ineffabili, e che dopo aver usato con gli angeli ribelli tanto rigore, si è poi tanto intenerito verso di noi: Egli conosceva la nostra miseria. Se le nostre forze sono deboli, raccomandiamoci a Lui, il cui amore per noi non può venire spento dai nostri peccati, perché ci conceda la grazia che la nostra corrispondenza al Suo amore sia totale e generosa.
L’Incarnazione è un grande beneficio, non solo per l’abisso profondo da cui ci tolse e per l’altezza del posto a cui ci elevò, come abbiamo detto, ma più ancora per il mezzo ineffabile di cui si è servito il Signore per farci tanto bene. Questo mezzo fu il mandare sulla terra lo stesso Suo Divin Figlio, per farsi, secondo la frase di S. Paolo, in tutto simile a noi e per patire e morire per noi. In questa natura assunta, il Figlio di Dio, fatto uomo, non solo si privava della gloria e della felicità che Gli era dovuta, ma volle abbracciare: fatiche, povertà, obbrobri, tormenti e morte di croce, fino a tollerare molto più di quello che abbia mai patito altro uomo, sia esternamente da parte dei Suoi nemici; sia internamente nel Suo cuore, per altri dolori incomparabilmente più grandi, che il Suo amore per noi Gli aggiunse.
Se la minima umiliazione di quella eccelsa Maestà, se la minima Sua pena superava infinitamente quanto potevano fare e patire tutti gli uomini insieme, quale beneficio sarà mai un abisso di ignominie e di tormenti che per noi ha subito il Dio umanato.
Certo, se il Figlio di Dio avesse pronunciato una sola parola a nostro favore presso il Suo Padre Celeste, non vi sarebbe né affetto né gratitudine sufficienti per poterLo degnamente ringraziare. Egli invece ha voluto pagare i nostri debiti col Suo stesso sangue; ha voluto liberarci dalla tirannide dell’inferno col sottoporsi Egli stesso alla potestà di Satana; ha voluto che noi vivessimo in eterno, col morire Lui in vece nostra.
Quand’anche si fosse trattato di assicurarsi, per così dire, la Sua stessa divinità, il Verbo incarnato non avrebbe potuto fare più di quello che fece per meritare ed assicurare a noi la beatitudine eterna. E noi, non vorremmo fare per Lui quello che faremmo per uno schiavo, se avesse esposto a pericolo la sua vita per difendere la nostra? Vi pare, forse, che ci domandi troppo il Signore col chiederci che, in contraccambio del Suo amore, osserviamo la Sua legge, seguiamo i Suoi esempi, imitiamo le Sue virtù, nella quale osservanza ed imitazione solamente consiste ogni nostro bene?
Che ne direbbe Gesù Cristo al punto della nostra morte, quando giungeremo al Suo divino tribunale per il giudizio?
Confondiamoci, dunque, se per il passato invece di contraccambiare, con amore sincero, gli eccessi della divina carità verso di noi, Lo abbiamo contraccambiato con gravi offese.
Ringraziamo il Signore di quanto ha sopportato per noi e da noi.
Riconosciamo, che se fosse nostra la vita di tutte le creature e se tutte fossero da noi impiegate in ossequio del nostro Divino Redentore, non pagheremmo neppure una minima parte del debito immenso che abbiamo verso di Lui.
Offriamo, perciò, quel poco che siamo alla Sua divina volontà, affinché Egli disponga di noi come crede, come cosa già doppiamente Sua, cioè: per averci amato con tanta veemenza e per averci ricomprato a così caro prezzo.
Finalmente preghiamoLo, questo buon Gesù, perché, col fuoco inestinguibile del Suo amore, consumi in noi tutte le nostre ingratitudini e ci trasformi completamente, da quello che fummo finora, in anime generose, affinché da qui innanzi non solamente non L’offendiamo più, ma Lo amiamo e serviamo di vero cuore, come si conviene. Amen.