I funesti effetti

 

I FUNESTI EFFETTI DELL’AMOR PROPRIO, GRANDE NEMICO DELL’AMOR DI DIO

Il Padre S. Agostino nel libro decimo della Città di Dio, ci presenta una elegante allegoria in cui, sotto il nome di Gerusalemme e Babilonia parla di due amori; uno buono che è l’amor di Dio, l’altro malvagio, che è l’amore disordinato di noi stessi. I due amori, dice egli, hanno fabbricato due città: l’amor proprio fino al disprezzo di Dio, ha fabbricata la città terrena, che è Babilonia; l’amor di Dio, fino al disprezzo di sé, edificò la città celeste, che è Gerusalemme. Quella si gloria in se stessa, questa nel Signore.

Babilonia infelice, terra di maledizione e di morte, tu sei l’opera del malvagio amor proprio! Celeste Gerusalemme, terra beata dei viventi, tu sei l’opera del santo, divino amore. Anime sventurate che, amando voi stesse fino al disprezzo di Dio, cercate unicamente la vostra gloria e non bramate che di soddisfare i vostri capricci, voi dimorate in questa infelice Babilonia, ch’è la città dei reprobi.

Voi per contrario, anime sante e buone che, amando Dio fino al disprezzo di voi stesse, cercate soltanto la sua maggior gloria e il suo maggior beneplacito, voi abitate la Gerusalemme celeste che è la città degli eletti. Quella danna le anime che vi dimorano, questa le salva. Quale di queste due città vogliamo noi scegliere per nostra dimora? Non certo quella dell’amor proprio, perché questo, non solamente ci impedisce di amare Dio con tutto il cuore, di seguire Gesù Cristo e quindi di salvarci, ma c’impegna di più in una infinità di peccati, che ne sono la pessima conseguenza.

E persuaderci che l’amor proprio è una vera sorgente inesausta d’imperfezioni e di peccati, basta considerare la causa che spinse Adamo a peccare nel Paradiso terrestre, e il superbo Lucifero lassù nell’empireo. La funesta causa di questi due tremendi peccati fu la superbia e l’amore disordinato di noi stessi; in una parola fu l’amor proprio. Volete vederlo? Iddio crea Adamo, lo costituisce Signore e padrone di tutte le creature che si trovano sopra la terra, lo ricolma di sapienza e grazia e finalmente l’arricchisce della santità originale con tutte quelle prerogative ed immunità che le sono annesse. Per così grandi be-nefici, Dio non chiede ad Adamo altro obbligo che quello di astenersi dal mangiare del frutto dell’albero della scienza del bene e del male, posto in mezzo a quel delizioso giardino, minacciandolo, in caso di trasgressione, della perdita di tutti i suaccennati privilegi. Chi non avrebbe detto che Adamo si sarebbe mantenuto fedele al suo Creatore ed insigne Benefattore, osservando un così facile comandamento? Eppure non fu così. Eva, sedotta dall’infernale serpente, colse il frutto vietato, ne mangiò essa per prima e ne portò al compagno. Adamo pure ne gusta e, gustandone viola il divino precetto, cade dall’originale giustizia, perde tutti i suoi pregi e diventa nemico di Dio, soggetto alla morte ed alla schiavitù del demonio. Progenitori infelici, chi mai vi spinse a trasgredire un comando così leggero e quindi a perdere uno stato così felice? L’amor proprio, la vostra propria volontà, che, voleva rendersi e conservarsi indipendente, fu la miseranda causa di tanta disgrazia. Disse ad Eva il demonio mascherato da serpente: « Mangiando di quel frutto vi si apriranno gli occhi e sarete come dei. Per questo Dio vi ha proibito di mangiarne, perché vuol godere Egli solo di questa prerogativa. Eritis sicut Dei ». Ecco la vera causa della caduta di Adamo. Sì, volle, dice S. Agostino, rendersi indipendente da Dio e si alzò contro di Lui: perciò precipitò nella colpa. Tentazione funesta, ma troppo comune in cui soccombono tante persone d’ogni stato e condizione! Quanti seguono gli impulsi dell’amor proprio, si stimano, si pavo-neggiano, e senza voler più conoscere né autorità, né legge alcuna, cercano di vivere a loro capriccio!

Questo stesso amor proprio fu il peccato di Lucifero che, da primo angelo dell’empireo, divenne il capo di tutti i demoni dell’Inferno. Creato dal Signore fra le delizie del Paradiso, pieno di sapienza, ornato di bellezza, s’invaghì di tante sue prerogative, pretese d’innalzare il suo trono sopra le nubi e di farsi simile all’Altissimo. Ed eccolo, in un baleno, precipitare dal Paradiso a sprofondare negli eterni abissi. Ma quale fu la causa del suo castigo? Fu la stessa del suo peccato: vale a dire la vana compiacenza ch’egli ebbe di se stesso, della sua bellezza e della sua scienza. Volle, dice S. Agostino, imitare Dio in ciò che non si può né si deve imitare. Siccome Dio è indipendente da tutti e per Sé e per la sua gloria opera il tutto, Lucifero, con spirito d’indipendenza, volle attribuire a sé tutta la sua gloria e farsi simile all’Altissimo: questo fu il grande peccato che lo precipitò dal cielo nell’Inferno. Anime amanti di voi stesse, vane e superbe, che tanto v’insuperbite se Dio vi ha favorite di qualche particolare qualità, perché ve ne compiacete e vi stimate d’essere qualche cosa più delle altre, tanto che volete sovrastare a tutti e vivere nell’indipendenza, se non proprio da Dio, almeno dai superiori che Lo rappresentano qui sulla terra? Riflettete a quale dolorosa fine condusse Lucifero l’amor di se stesso e delle sue vere eccellenze. Ricordate che siccome l’amor di Dio viene dallo Spirito Santo che lo diffonde nei nostri cuori, così l’amor proprio viene dal demonio, che l’ispira ai suoi seguaci. Quando noi, dunque, ne seguiamo gli impulsi, ci facciamo figli del diavolo e adempiamo i perversi desideri di questo diabolico padre.

Secondo la dottrina dei santi padri e dei teologi, i sette peccati che si chiamano capitali, se si mira bene, tutti si possono ridurre al maledetto amor proprio. Che cos’è infatti la superbia, se non un disordinato desiderio della propria eccellenza? Che cos’è l’avarizia, se non una smoderata affezione ai beni terreni? La lussuria, se non una esagerata brama di piaceri carnali? L’invidia, se non un amor proprio che si rattrista del bene del prossimo? La gola, se non un appetito disordinato di cibi e bevande? L’ira, se non un amor proprio che cerca di vendicarsi? L’accidia, se non un amor proprio che si annoia dei beni spirituali, che riguardano Dio e l’anima? Disse bene S. Paolo, quando,

scrivendo a Timoteo, dichiarò pericolosi quei tempi in cui vi sarebbero stati uomini tanto amanti di se stessi, che sarebbero stati, nello stesso tempo, avidi di beni temporali, superbi, disubbidienti ai loro superiori, ingrati, senza carità e senza pace, detrattori, gonfi e protervi, amando più i loro piaceri che Dio stesso. Può dirsi di peggio? Eppure tutti questi grandi mali, dice S. Agostino, provengono tutti, come da una pestifera fonte, cioè da uomini amanti di se stessi. Quando noi amiamo esageratamente noi stessi, siamo capaci di commettere ogni delitto. Anzi, lo credereste? Poco o nulla ci gioverebbe astenerci da molti altri vizi e peccati, quando conservassimo l’amor proprio che di tutti i vizi è la fonte e la radice. Poco o nulla ci gioverebbe la pratica delle più eroiche e sante virtù, quando regnasse in noi l’amor proprio, perché l’amor proprio, secondo la dotta osservazione dello stesso S. Padre Agostino, è come quel verme che si attaccò all’edera di Giona, che la fece inaridire ad un tratto; così restano guaste e corrotte le opere più sante e buone, qualora vi si attaccasse l’amor proprio. Non lo credete? Udite. « Noi digiuniamo – dicono con lacrime a Dio gli Israeliti per bocca del profeta Isaia – perché Voi, o Signore, non avete riguardo al nostro digiuno? Noi ci siamo umiliati davanti a Voi, e Voi perché non ne faceste alcun conto, come se l’ignoraste? ». Sapete come ha risposto loro il Signore? « Io non faccio caso al vostro digiuno, né alle vostre umiliazioni, perché in questo si trova il vostro amor proprio ».

Quante persone cristiane sono compassionevoli con i poveri e li soccorrono con larghe elemosine nella loro necessità! Sono zelanti per la salute delle anime per ricondurle a Dio con buoni esempi, con fraterne ammonizioni e con assidue preghiere; sono continenti e caste, fanno lunghe orazioni, digiunano spesso, portano cilizi, si macerano, si flagellano. Quale grande capitale di meriti si acquisterebbero, se tutto facessero con retta intenzione di piacere a Dio, e Lui solo glorificare. Ma perché in queste opere buone esse hanno per fine il loro genio, il loro gusto, la loro soddisfazione e mirano ad acquistarsi gloria, lode e stima presso gli uomini, tutto è perduto. Come l’amor di Dio santifica le azioni, anche più piccole ed umili, le nobilita e le rende meritevoli di vita eterna, così l’amor proprio guasta e corrompe le azioni più virtuose e più sante, e le rende non solo infruttuose e vane, ma meritevoli di eterna dannazione.

Io non aggiungo altro per farvi conoscere con quanta premura dobbiamo fuggire l’amor proprio, perché credo che basti il già detto. Esso ci impedisce di attuare il grandissimo e primo dei precetti, che è quello di amar Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze, perché immediatamente s’oppone all’amor santo di Dio. Esso c’impedisce di seguir Gesù Cristo e di aver parte con Lui nella gloria, non potendo operare senza rinunziare a noi stessi e sacrificargli la nostra volontà. No, finché amiamo noi stessi e cerchiamo le nostre soddisfazioni, non siamo animati dallo spirito di Dio, non siamo suoi figli, non siamo seguaci di Gesù Cristo, ma siamo animati dallo spirito del demonio, di cui diveniamo seguaci e figli e ne adempiamo i malvagi desideri. L’amor proprio ci fa colpevoli di grandi eccessi, e anche se avessimo più zelo per la salute delle anime, di quella che non ebbero gli Apostoli; anche se sopportassimo più persecuzioni e maltrattamenti per la giustizia e per la fede di quelli che ne soffrirono i martiri; anche se facessimo più penitenze ed austerità di quelle che fecero tutti gli anacoreti; se invece d’indirizzarle a Dio e cercar con esse la sola sua gloria, cercassimo noi stessi, la nostra stima, il nostro gusto, il nostro piacere: tutto sarebbe perduto. Questo è quel verme pestifero, quella velenosa radice che corrode, guasta, infetta, distrugge tutti i meriti della nostra virtù e ci toglie il frutto di tutte le nostre buone opere.

E dopo tutto ciò, continueremo noi ancora a seguire un nemico così pestifero e nocivo, un perfido che lusigandoci, ci avvelena? Un traditore che, fingendo di amarci, ci ferisce mortalmente e uccide? No, mio Signore: non vogliamo più compiacerci di noi stessi, né vogliamo più nutrire questo perverso amor proprio. Voi ci avete fatto per Voi, perché a Voi solo tendiamo come a nostro ultimo fine. Voi solo dunque vogliamo amare con tutto il cuore, odiando santamente noi stessi; a Voi solo e alla vostra gloria vogliamo indirizzare tutte le nostre azioni, disprezzando ed annientando il nostro amor proprio. Somministrateci Voi, o Gesù, per pietà, vigorosi aiuti e grazie efficaci per reprimere, anzi per sradicare del tutto questa perfida passione che tanto a Voi ed al vostro santo amore è contraria. Fate che unicamente regni in noi il vostro divino amore, che, rendendoci a Voi cari nella vita presente, ci renderà poi con Voi beati nell’altra. Amen.