S. GIUSEPPE: CUSTODE FEDELE DI GESÙ E MARIA
E’ dovere di ogni sacerdote, che predichi nei giorni della santa Quaresima la divina parola, celebrare le lodi del patriarca S. Giuseppe, perché in questo tempo liturgico ne cade la festa. Parliamo, dunque, oggi di S. Giuseppe.
A lui, fatta la debita proporzione, si addice quanto si trova scritto nelle divine scritture della sua Vergine Sposa. Quindi se io volessi dire che il patriarca Giuseppe, dopo Maria, è il più degno di essere celebrato fra tutte le creature, perché è un santo che non ha pari, chi me lo potrebbe contestare? Tuttavia non voglio entrare in confronti, perché facilmente si deduce che non c’è alcun santo che possa stargli a confronto. La Chiesa canta nei suoi inni che egli rispetto alla sua Sposa, è pari a Lei senza pari. A lumeggiare pertanto le sue lodi, poiché le devo con giubilo celebrare, io non voglio attingere ad altra fonte diversa dal Vangelo, dove si dice che Giuseppe fu sposo di Maria e padre putativo di Gesù Cristo: Iacob autem genuit Ioseph virum Mariae de qua natus est Jesus . Con ciò mi si fa conoscere che riguardo a virtù, a meriti, a ministeri, non v’è creatura di cui tanto si siano fidati Maria e Gesù e che se ne siano dati a ragione. Per la qual cosa io dico che S. Giuseppe fu il custode fedele di quanto avevano di più caro i primi personaggi del cielo, cioè Gesù e Maria. Si può dir meglio, ma non si può dir di più.
Incominciamo da Maria e dividiamo l’argomento: Maria gli affidò la sua purità ed egli gliela custodì con amore; Gesù gli affidò la propria vita ed egli gliela conservò con scrupolosità. Poteva darsi da una parte maggior fiducia e d’altra parte poteva corrispondere più fedelmente Giuseppe?
Un grande rispetto richiedeva da Giuseppe la purità della SS. Vergine, ma egli ne mostrò sommo, perché il Signore l’aveva già fatto degno d’esserne il casto depositario, ed egli stesso vi si era già disposto. Lo sposalizio di lui con Maria, come pure la maternità di Lei, fu opera delle tre divine Persone, perché matrimonio e verginità feconda era a quei tempi un mistero superiore ad ogni umana ed angelica intelligenza.
In questo fortunato connubio vi aveva particolare impegno il Padre per dare una protezione degna a questa sua figlia; il divin Verbo per accompagnare decorosamente la sua Madre; lo Spirito Santo per avere con chi condividere l’ufficio e l’amore di sposo. In S. Giuseppe vi era la stirpe regale e sacerdotale come era in Maria, ma ciò non bastò. Per poter dare a Maria un compagno simile a Lei, fu necessario arricchirlo degli stessi doni di cui era arricchita la sua Sposa per i quali, al dire di Ruperto abate, uno solo era lo spirito ed una sola era la fede di Maria e di Giuseppe. La straordinaria abbondanza di doni che Dio pose in S. Giuseppe, mirò soprattutto ad affinare in lui l’illibatezza e l’umiltà, perché il Verbo Incarnato potesse avere un padre putativo perfettamente simile a Maria. L’illibatezza e l’umiltà, infatti, furono le due segnala-tissime prerogative per cui il Figlio di Dio si compiacque di avere Maria per sua madre. Perciò, se possiamo dire che Maria con queste due virtù meritò sommamente il dono che fece in Lei il divin Padre del proprio Figlio, secondo il detto di S. Bernardo: « Piacque per la sua verginità, concepì per la sua umiltà »; altrettanto possiamo dire che Giuseppe rispettò ugualmente, per queste due virtù il deposito che in lui aveva fatto Maria della sua purezza verginale.
Quale fu dunque, mie figlie, il candore di Giuseppe? Egli fu, per comune asserzione dei santi padri, santificato nel seno materno; in lui fu spento, fin da bambino, il fomite del peccato e fu egli il primo a consacrare a Dio sin da fanciullo la sua purezza con voto espresso, senza mai averla sfiorata con una sola colpa veniale. Il suo candore, infatti, fu nuovo tra gli uomini e nuovo talmente che poté sinceramente preludere a quello, non solo della sua Sposa, ma anche a quello del Dio fatto uomo. Né diminuì il suo stato di candore con l’aderire alle nozze con Maria, anzi divenne da allora più bello, più risplendente. Infatti vi aderì perché, per sovrumana intuizione si persuase che la verginità sarebbe stata in lui in certo modo sacramentale, avrebbe cioè operato in lui una specie di candore non mai veduto; e insieme si persuase, dice Gersone, che egli e Maria sarebbero state due verginità contraenti: Virginitas nupsit , onde, con stranissimo paradosso, il frutto delle loro nozze sarebbe stata una ammirabile, scambievole verginità.
Fu questo, infatti, tale portento d’illibatezza che Maria, volendo affidare la sua purezza ad alcuno che, con la massima sicurezza, la salvaguardasse, non trovò altri che S. Giuseppe. Maria, così delicata, non sdegna la vicinanza di S. Giuseppe, accetta di essere a lui promessa e, in modo indissolubile, ne diviene con gioia la Sposa. Che segno è questo? E’ segno che fra tutti gli uomini, in Giuseppe solo ha trovato di chi fidarsi. Aggiungete che la purità di Giuseppe, a contatto della purezza di Maria, quasi al riverbero di nuova luce, si fece più luminosa nello stesso modo che un pianeta minore si ammanterebbe di nuovo splendore se si tuffasse nel sole.
L’umiltà è la seconda prerogativa per la quale Maria meritò il deposito in Lei fatto dal divin Padre di tanto Figlio: meritò cioè, al dire di Bernardo, la divina maternità. Giuseppe la imita e, vedendo incinta la sua Sposa, essendo santo, non formula giudizi negativi, non si lamenta; soltanto sospetta di qualche sovrano mistero. Si stima indegno di rimanere in compagnia di una vergine feconda per opera dello Spirito Santo; pensa di abbandonarla per umiltà e venerazione insieme. Per questo l’Angelo lo salutò dicendogli: « Noli timere accipere Mariam coniugem tuam », quasi per incoraggiarlo a starsene in compagnia della Vergine. Maria anche se incinta del divin Verbo, è ancora tua Sposa e lo sarà sempre. « Noli timere accipere Mariam coniugem tuam ».
Ma Giuseppe non fu meno fedele nel custodire anche il deposito che nelle sue mani fece Gesù della sua propria vita. Gesù fin dalla sua nascita fu povero e perseguitato, Giuseppe perciò dovette difenderlo dai disagi e dai pericoli. Ben intende Giuseppe questi suoi uffici di sostenitore e di difensore che egli deve compiere verso Gesù; quindi che cosa non fa egli per sostenere la vita da cui doveva dipendere ogni nostra felicità? Chi sa dire le industrie, le veglie, i sudori, le fatiche che sostenne per questo? Che se nella sua nascita, per quanto si adoperasse, non poté fornire un alloggio meno incomodo e meno incivile di una rustica capanna, ciò nondimeno non tralasciò di fabbricargli con le sue mani la culla, di difenderlo dai rigori dell’aria aperta e cruda; Lo avvolse nei propri panni, e da allora in poi, dice S. Girolamo, rimandava alla notte le sue occupazioni spirituali per dedicare ogni momento della giornata a procurare il necessario al suo Gesù. I vostri sudori, o Giuseppe, si converti-ranno un giorno in sangue di redenzione per noi. Vedete questo adorabile Fanciullo tendere a voi le mani e domandarvi il pane? Egli è quel Signore a cui alzano lo sguardo le creature tutte e da Lui aspettano aiuto: ora però lo chiede Egli a voi perché non vuole avere sulla terra altra fonte a cui cibarsi che le vostre cure, la vostra carità, le vostre sollecitudini. Parlava con Davide, con Salomone, con gli altri re, ma non con voi quando diceva: « Se avrò fame non lo dirò a te, se avrò sete non dicam tibi! « Che più, sorelle? Gesù guarda Giuseppe con confidenza quando ha bisogno di alcun ristoro, benché Giuseppe non aspetti mai di essere prevenuto dalle domande: egli gli procurava il necessario con il lavoro delle sue mani, dice S. Antonino. Ma almeno avesse potuto l’amorevolissimo santo mantenere il suo Gesù in pace, lontano da ogni contrasto, ma non fu così. Senza ricordare gli affanni quando Lo smarrì nel tempio, chi non conosce i disegni dell’empio Erode, dal quale fu necessario a Giuseppe difenderlo con attenzione di custode? Non mancavano, è vero, a Dio altri mezzi più onorevoli e poderosi per sottrarre Gesù dalle insidie di quel perfido principe, ma Iddio vuole il più umiliante per il suo Figlio e per Giuseppe il più glorioso: gli ordina la fuga. I luoghi sacri non sarebbero asili sicuri dall’empio re. « Lo siano, dunque, dice Dio, le vostre braccia, o Giuseppe, e sotto la vostra custodia lo siano le braccia di sua Madre. Su, presto, prendete il Fanciullo e andate in Egitto ».
Io mi figuro, mie figlie, che gli Angeli, protesi davanti al trono divino, si offrano essi a portare Gesù in salvo sulle loro ali in quelle remote contrade. Potrebbe forse alcuno di loro sperare sorte così beata, se Gesù fosse solamente un profeta o un apostolo? Ma essendo Egli il divin Verbo fatto uomo, quest’onore è riservato tutto a Giuseppe. Gesù vuole essere debitore a Giuseppe della sua vita, affinché se il mondo riconosce al suo celeste Padre la sua venuta su questa terra, se da Maria riconosce la sua umanità santa, riconosca anche la conservazione della sua vita da chi è creduto suo padre terreno. Intanto chi può dire quali travagli, quante veglie, quali fatiche, quali angosce, quali timori di schiavitù ed anche di morte dovette soffrire Giuseppe, tra le spade di un re crudele e tra i rischi di un popolo idolatra? Chi può immaginare l’abisso di grazie ineffabili, con cui Gesù, così servito e beneficato, si degna ora di esaudire le richieste di S. Giuseppe? Lascio a voi, mie figlie, che andiate ripensando le innumerevoli premure che egli usò verso Gesù nel corso di trent’anni: a me riesce dolce e mi rapisce la considerazione dell’ultimo passo della sua vita.
Il Salvatore, dice il profeta reale, verrà in soccorso al moribondo, né si contenterà soltanto di visitarlo con carità, di accostarglisi e di consolarlo con i suoi favori, ma con quelle stesse mani con cui prepara in Cielo il soglio ai predestinati, si degnerà di servirlo, apprestandogli il cibo, rassettando il letticciolo con piacere e tenerezza così sensibile, che a quel felice agonizzante sarà più caro il letto di morte che non sarebbe una culla di nuova vita. Così è infatti: Giuseppe cominciò a servire Gesù da quando nacque e Gesù continua a servire Giuseppe anche quando muore. Giuseppe non si è mai allontanato da Gesù mentre riposava in Betlemme e dovunque; e Gesù sta accanto a Giuseppe, sul letto di morte a Nazareth. Io credo che egli sia morto realmente « nel bacio del Signore » perché sulle labbra, o almeno nelle mani con cui Gesù stringe la sua, Giuseppe abbandona la propria vita, dopo aver con tanta fedeltà custodito la vita di Gesù.
Circa questa felicissima morte io non posso non riportare un pensiero, il cui oggetto quanto fu di merito a Giuseppe, altrettanto potrebbe essere di vantaggio a noi, suoi devoti. Iddio suole concedere all’intercessione dei santi quei beni dai quali essi furono privi morendo. Così concede la vista per intercessione di Santa Lucia; libera dal mal di denti per intercessione di Santa Apollonia; libera dai pericoli della ruota, dai precipizi, dai naufragi per l’intercessione di Santa Caterina della ruota, di un San Venanzio, di un San Clemente, ecc. Ora di qual bene fu privo Giuseppe nella sua morte? Fu privo della speranza di incontrare subito dopo la sua morte, Gesù e Maria. Era costretto il grande santo a separarsi da questi cari oggetti del suo amore e ben sapeva che per qualche tempo ne sarebbe rimasto lontano. Che dolore! Quale eroica conformità ai divini voleri! Per intercessione di S. Giuseppe, pertanto, Iddio è solito dare ai suoi devoti la grazia di vedere presto, dopo la morte, Gesù e Maria.
Mie dilettissime, può darsi grazia più segnalata di questa? Grazia che sia più degna del patrocinio di S. Giuseppe? Non possiamo certo ottenere favore più grande! Questo, dunque, a lui chiediamo con insistenza; questo procuriamo di meritare con una devozione sincera e quotidiana verso di lui. O potentissimo santo, impetrateci da Gesù e da Maria questa grazia! Essi vi affidarono quanto avevano di più caro; voi lo conservaste loro con fedelissima cura, dunque voi avete una specie di diritto ad ottenerci da loro quanto impetrate. Amen.