GIUDIZIO UNIVERSALE
Che il giorno del giudizio universale debba essere giorno di terrore e di pianto: – dies irae et amara valde – ben lo comprendo, perché il S. Vangelo al cap. 12 di S. Luca ci fa sapere che in quel terribile giorno succederanno nel sole, nella, luna, nelle stelle e su tutta la terra così portentosi fenomeni che, scosse tutte le forze dei cieli e sconvolti da orribili terremoti gli abissi del mare, recheranno tale spavento e tale terrore che gli uomini resteranno, per timore, così pallidi e smunti che sembreranno vivi scheletri. Ma che in questo giorno debbano gli idolatri e i depravati abitatori di Ninive levarsi contro il popolo eletto di Dio, contro quei cristiani, contro quelle anime religiose che avranno speso malamente il tempo della loro vita e non avranno servito Dio come dovevano, questo è ciò ch’io non so intendere né capire.
Ma pure anche questo è certo, ed è una verità inconfutabile; ce ne assicura l’evangelista S. Matteo al cap. 12. Sapete perché il Signore vorrà che nel giorno del giudizio i Niniviti con tutti gl’idolatri insorgano a condannare i cattivi cristiani e molto più i religiosi e le religiose che saranno vissute trascurate nei loro doveri? Per svergognare queste anime disgraziate in faccia a tutto il mondo e rendere a tutti manifesto che, dinanzi alla sua divina giustizia, esse sono più colpevoli degli stessi gentili, per l’enorme abuso che fecero dei molteplici mezzi di salvezza, che la divina misericordia aveva loro accordato con sommo amore.
Che vergogna, che smacco dovremmo noi subire in quel terribilissimo giorno se, abusando ora della divina misericordia e facendo i sordi agli inviti della grazia, non approfittassimo del tempo propizio, dei mezzi e delle comodità che abbiamo, per divina bontà, di operare il bene! Sì, mie carissime, se noi, per somma nostra disgrazia, nonostante tanti mezzi e comodità che abbiamo di salvarci, venissimo a perderci, saremmo nel giudizio divino condannati più rigorosamente e più severamente puniti da Cristo, di un infedele e anche di un cristiano, che avesse ricevuto meno grazie e meno lumi di noi. Questa verità meditiamola seriamente affinché, compresi da salutare timore nel vedere la grande differenza che si farà da Dio nel giudicare un infedele e noi cristiani e molto più le persone religiose, possiamo, in tempo, premunirci in modo da schivare uno smacco così vergognoso. La differenza grandissima che farà il divin Giudice nel giudicare gli infedeli dai cristiani, risulterà principalmente da tre casi:
1) dal chiedere conto dei peccati commessi;
2) dal domandare conto dei suoi benefici;
3) dall’esigere conto degli esempi di Gesù Cristo.
Primo. Quanto a chiedere conto dei peccati commessi, chi sa dire con qual rigore si valuteranno i peccati che avran commesso i miseri infedeli? Quanti infelici dovranno rendere strettissimo conto di tutte le loro oscenità e bestemmie, della loro barbarie e crudeltà, delle loro superstizioni e pregiudizi! Né serviranno a giustificarli le false loro leggi che lo permettevano loro, poiché la legge naturale, scritta nel cuore di ognuno, apertamente condanna tali ribalderie, per cui i colpevoli, convinti dal Giudice supremo della loro malvagità, saranno condannati a pagare i loro peccati col fuoco eterno.
Ma se noi avessimo tradito la nostra fede con una cattiva vita, quanto saremmo più sfortunati di loro! La nostra iniquità, le nostre colpe, se non maggiori nel numero, sarebbero certo sempre più gravi nel loro peso, per i maggiori lumi con cui le abbiamo commesse. «La fede – ci direbbe il divino Giudice – vi insegnò che il nostro corpo era tempio dello Spirito Santo, il quale vi voleva puri come angeli, per abitare in voi e fare in voi la sua dimora; voi stessi confessate che io, Figlio di Dio sono morto su una croce, fra tormenti ed obbrobri mai uditi, per distruggere e togliere dal mondo il peccato». Sapeste pure chiaramente che v’era un inferno aperto per chi non osservava i miei divini comandamenti e un paradiso preparato per chi li osservava, eppure voi li trasgrediste innumerevoli volte, vi serviste talora persino della confessione e della mia divina misericordia per peccare più francamente, dicendo tra voi: «Poi andremo a confessarci, Dio è buono, basta confessarcene».
Andate, che siete condannati: vi condanna non solo la mia divina Giustizia, ma vi condannano questi infedeli stessi che sono qui con voi: «Viri Ninivites surgunt in iudicio cum generatione ista et condemnabunt eam». Vi condanna lo stesso demonio che non è stato tanto ingrato come foste voi, poiché egli non ha mai ricevuto il perdono, né mai è stato ricomprato col mio sangue divino, mentre voi avete tanto abusato del perdono e della redenzione, che meritate d’essere più severamente puniti, come disse il mio Apostolo S. Matteo con quelle parole: «La popolazione dei Sodomiti sarà trattata, in quel giorno, con più mitezza di te».
Che dite, mie figlie? Non vi pare che tutto questo ci dovrebbe dire l’eterno Giudice se, abusando della divina misericordia, ci perdessimo? Non vi pare che i demoni, gridando vittoria, ci trascinerebbero giù nell’abisso di tutti i mali, sotto i piedi di tutti gli infedeli, in mezzo a tormenti incomparabilmente maggiori? Non vi pare che per essere stati noi figli della S. Chiesa cattolica e persone religiose sarà per noi materia di eterno pianto il ricordarci di essere affondati non in alto mare, ma nel porto stesso per nostra colpa e di essere periti, per nostra malizia, non nel diluvio dei pericoli del mondo, ma dentro l’arca stessa della religione? Che sventura! Che rammarico sarebbe allora il nostro!
Secondo. Ma v’è di più. Questa differenza risulterà anche meglio evidente quando Iddio chiederà conto dei suoi benefici. Sì, mie dilettissime, il peccatore non è solamente debitore a Dio per le proprie colpe, ma anche per le grazie ricevute da lui con tanta liberalità. Ecco, pertanto, che a quei miseri infedeli, che sarebbero giudicati con noi, si chiede conto, dal divin Giudice, dei tanti beni di natura, che hanno goduto in tutto il tempo della loro vita. «Rendete conto, si dirà loro, della salute che vi fu data, della robustezza delle vostre forze, dell’avervi io creato a preferenza di innumerevoli altri lasciati nel loro nulla, dell’avervi conservato fino a questo punto, dell’avervi difeso in tanti rischi e in tanti pericoli.
Perché, vivendo a spese del vostro Signore e godendo di tanti miei favori, non avete alzato il capo a vedere chi ve li donava? Sapete pure che la coscienza vi stimolava più volte a riconoscenza, ma voi vi rendevate insensibili a questi stimoli e, benché essa tacitamente vi riprendesse, voi voleste continuare a usare, come strumenti della vostra iniquità, i miei stessi benefici. Maledetti! Al fuoco, dunque, al fuoco!». Quei meschini, confusi e ammutoliti, vedendo che sono condannati giustissimamente, non potranno fare a meno di esclamare: «Sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio».
Nel tempo stesso, però, gli infedeli alzerebbero la voce contro di noi, se fossimo dalla loro parte, e ci condannerebbero con più ragione; perché come scompaiono le stelle in faccia al sole, così scompaiono i benefici concessi a loro in confronto a quelli di grazia concessi sì largamente a noi. Un grado solo di grazia santificante vale più di mille mondi con tutte le loro perfezioni naturali, e sapete perché? Perché la grazia è una partecipazione dell’Essere increato, di Dio; un riverbero della sua faccia divina, una vera amicizia fra Dio e l’uomo; in una parola, è il più ricco regalo che qui possa farci l’immensa liberalità del Signore. Un tesoro così grande ci è stato concesso nel santo Battesimo, senza che noi lo chiedessimo, anzi, senza che neppure capissimo quello che ci si dava. Questo tesoro è poi grandemente accresciuto tutte le volte che ci siamo accostati ai santi Sacraménti, ed ogni volta che, mantenendo la divina amicizia, abbiamo fatto qualche opera buona. Ora, se noi, peccando gravemente venissimo a gettar via queste ricchezze di paradiso, non vi pare che al giudizio divino dovremmo essere trattati assai peggio degl’infedeli?
E se il Signore, per vincere con la sua Bontà la nostra malizia, ci avesse ridonato più volte queste stesse ricchezze nella Confessione e nella Penitenza, e noi, con nuovi peccati, le avessimo nuovamente perse, che sarebbe di noi in quel terribile giorno? Miseri noi! Chi può capire il rigoroso giudizio che ci aspetterebbe? Si leverebbero in piedi tutti gl’infedeli e i demoni stessi come nostri accusatori, dicendo al divino Giudice che se una volta sola essi avessero goduto di un tanto bene, l’avrebbero conservato più della loro vita. Mie dilettissime, che diremmo noi a nostra scusa? Altro scampo non ci rimane che condurre una vita penitente ed esemplare: penitente, affinché si paghino i debiti, forse già contratti con la divina giustizia; esemplare, per non aggiungerne di nuovi, ricadendo in nuove colpe.
Questa è la vera prudenza: correre ai ripari prima che venga una sciagura così formidabile e non aspettare che non vi sia più tempo di riparare al malfatto; ma ora, poiché il Signore ci dà tempo di provvedere al bisogno, dobbiamo procurare di non perdere questo tempo di misericordia tanto prezioso, ma approfittarne con diligenza e fare almeno tanto da salvare l’anima dalla morte eterna, quanto faremmo per salvare il corpo dalla morte temporale. Guardate un poco quanto si soffre in tempo di infermità pericolose per avere la salute del corpo. Diete rigorose, astinenze prolungate, privazioni continue, medicamenti amari, bevande stomachevoli, tagli dolorosi e via discorrendo. Perché non fare altrettanto per la salute dell’anima? Perché ci dovrà sembrar troppo una negazione di volontà, un’ubbidienza ai Superiori, un atto di umiltà, di pazienza, di carità?
Terzo. Mie dilettissime, ricordate che non è ancor finito il giudizio, vi resta forse ancora il più ed è il conto, che vi chiederà Iddio, degli esempi di Gesù Cristo. Ma qui i gentili, nostri compagni nel Giudizio, finiranno presto il loro esame, perché di Gesù essi o non seppero niente affatto, o, tutt’al più, seppero ch’Egli era un grande Profeta e non altro. Noi, al contrario, sappiamo ch’Egli è il nostro Dio, il nostro Redentore e che è disceso dal cielo in terra e s’è rivestito della nostra carne mortale per guidarci alla salvezza. Come resteremo atterriti in quel giorno tremendo se, invece di seguire questa Guida divina, avessimo voluto seguire le nostre sregolate passioni, i nostri capricci, il nostro gran nemico che è l’amor proprio! Che cosa credete voi che sia un cristiano, una religiosa, se non un seguace di Gesù Cristo?
Possiamo dire di averlo fin qui seguito il nostro divin Redentore, o l’abbiamo invece sempre fuggito?
Per qual motivo pensate voi che Gesù sia nato in una povera stalla, sia vissuto trent’anni in una povera bottega, sia morto nudo sopra una croce? Invano, dunque, si è umiliato per noi l’Incarnato Verbo del Padre, fino a lasciarsi sputacchiare in faccia, vestire da pazzo, posporre ad un ladrone, conficcare ad un legno coi malfattori? Qual conto ci chiederebbe, se non avessimo voluto imparare a vivere dai suoi esempi! Dunque, griderebbe anche l’Apostolo Paolo: Christus nihil vobis proderit? Niente giovò a voi l’esemplarissima vita di Gesù Cristo? Una spesa sì grande, per cui si vuotò l’erario del paradiso, rimase per vostra colpa inutile? Voi lasciaste ozioso non un talento di natura, ma un abisso di grazia e, non facendo maggior conto dei consigli e delle azioni dell’incarnata Sapienza di quel che avreste fatto dei consigli e delle azioni di un vostro nemico poco vi siete distinti nel vivere dagl’infedeli. Vengano dunque, questi e vi condannino essi stessi. Via, via, sciagurati, griderebbero anch’essi insieme a Cristo, via, via sciagurati: «discedite maledicti in ignem aeternurn. Giù, precipitate al basso con noi, piombate giù nel baratro insieme a noi, nel fuoco eterno. Giù, miserabili, «discedite, maledicti», alle fiamme eterne; là, sfortunati, è la vostra stanza per tutti i secoli, giacché non voleste guadagnarvi il paradiso che voi mirate lassù e che, perciò, non è più per voi: «discedite, discedite». Così direbbero essi, né mai cesserebbero dalle grida, con improperi e con irrisioni, e dal perseguitarci giù negli abissi, dicendoci: Come? voi nati in grembo alla religione, fra tanti oracoli di Scritture, fra tante dottrine di S. Padri, fra tanti esempi di Santi, fra tanti lumi della grazia, trovarvi qui in questo luogo con noi barbari, con noi infedeli? O miseri, o ingannati!
Non vi par dunque meglio, mie figlie, che noi impariamo, a spese d’altri, a viver bene, e procuriamo con una vita santa di schivare questi grandi mali, questa confusione, questo scorno? Sì, approfittiamo ora della divina misericordia, corrispondiamo ora alla grazia come si deve, perché allora non sarà più tempo di burlare col nostro Giudice; e guai a chi non avrà saputo rimarginare, con la penitenza, le ferite della colpa ed imitare, con la pratica della virtù, l’Esemplare di tutti i predestinati: Gesù Cristo. Amen.