GIUDIZIO PARTICOLARE DEI RELIGIOSI
Com’è certo che tutti dobbiamo morire una volta sola, altrettanto è certo che subito dopo la morte dobbiamo tutti comparire dinanzi al tribunale di Cristo Giudice, e rendere stretto conto di quanto abbiamo fatto, detto, pensato nella nostra vita. Da questo severo giudizio, che Dio ci farà dopo la morte, nessuno potrà esimersi; anche le persone religiose sono comprese nel decreto universale. Anzi, il divino giudizio sarà, per noi persone religiose, più terribile e rigoroso, perché noi dobbiamo rendere al Giudice Divino un conto maggiore e più stretto di quello che devono rendere i semplici fedeli. E questo è ciò che io, ora, voglio considerare con voi.
A convincerci che il giudizio di Dio, dopo la morte, sarà per noi più rigoroso di quello che sarà fatto ai semplici fedeli, basti osservare che i divini giudizi, nella Sacra Scrittura, sono paragonati ad una bilancia, ad una stadera giustissima. A seconda della misura e del peso di quanto abbiamo ricevuto, ciascuno dovrà render conto del suo operato. Di conseguenza, chi dal Signore ha ricevuto maggiori doni, maggiori grazie e favori, deve render maggior conto della sua corrispondenza e della sua vita; «a chi è stato dato molto, molto sarà chiesto», così dice Gesù in S. Luca, al cap. XII.
Posto ciò, considerate ora con me, mie figlie, quanto abbiamo noi ricevuto da Dio di doni e di grazie, per la vita religiosa che abbiamo abbracciato. Ditemi, potete voi enumerare i favori che vi ha elargito il Signore col rendervi religiose? Vi ha elevato alla dignità di sue spose predilette, vi ha comunicato beni speciali, vi ha reso partecipi dei tesori del suo amore, vi ha colmate di tutti i beni di cui è ricco il vostro stato. E quanta abbondanza vi viene prodigata di Sacramenti, d’ispirazioni, di buoni esempi, di letture spirituali, di Parola di Dio e di altri mezzi per operare la vostra santificazione!
Quale sarà il conto che dovrete rendere, voi religiose, che dovrò io, Sacerdote, rendere a Dio per una ricchezza spirituale così copiosa? Quale responsabilità sarà la vostra, sarà la mia, per un cumulo sì grande di doni e di favori ricevuti? Che ne dite voi? Crediamo sì o no a queste verità? Se le crediamo, come possiamo rimanere tranquilli sotto il peso di tanti debiti, senza darci premura di regolare adesso i nostri conti con la divina giustizia; di valutare ora debiti e crediti, prima di essere citati in giudizio, poiché allora non ci sarà più tempo di porvi rimedio? Applichiamoci a considerare, da una parte, quello che abbiamo ricevuto da Dio e, dall’altra, quello che abbiamo fatto noi per Dio.
Pesiamo bene le cose: se, alla bilancia del nostro stesso parere, ci troviamo mancanti o scarsi, che sarà alla bilancia del rettissimo giudizio di Dio? Attenti, dunque, dice S. Gregorio; stiamo attenti soprattutto noi, affinché l’aver noi ricevuto da Dio doni maggiori, questo non abbia a servire ad altro che a rendere più rigoroso il nostro giudizio alla fine della nostra vita.
Procuriamo di corrispondere ai doni e alle grazie del Signore, perché «quantum crescunt dona, tantum etiam sunt rationes donorum». Dio non procederà con noi sommariamente, come noi forse immaginiamo, ma terrà, per noi, conto anche delle minuzie, dei difettucci che appena compaiono alla vista degli uomini, e di ciascuno di essi dovremo rendere conto al Giudice eterno, nel giorno del nostro giudizio particolare.
Alcuni contemplativi e devoti scrittori dicono che la vita dei secolari sarà pesata sulla stadera grande o bilancione, dove la scarsezza del peso appena si scorge; la vita, invece, dei Religiosi, al tribunale di Dio sarà pesata sul bilancino dell’oro, il quale denota anche la scarsezza d’un grammo. Questa verità il Signore volle manifestare quando disse, per mezzo del Profeta Sofonia, che accenderà la lucerna nel fare il giudizio della mistica Gerusalemme, che è l’anima di una Religiosa, d’un Religioso o Sacerdote. Osservazione che fa inorridire chiunque ha un po’ di fede. Miseri noi, che facciamo sì poco conto delle piccole cose! Che sarà dell’anima nostra in quel tremendo giudizio? Quale sarà l’esito della nostra causa, se la discussione è così minuta ed esatta? Se noi esaminiamo bene tutte le azioni virtuose e sante della nostra vita, troviamo in ciascuna di esse dei difetti e delle mancanze.
Che sarà, quando queste stesse azioni verranno osservate non al poco lume della nostra conoscenza, ma a quella chiarissima dell’infinita sapienza di Dio? In verità, se noi conducessimo una vita esemplarissima, più da angeli del paradiso che da persone terrene, dovremmo ugualmente aver timore, pensando che dobbiamo essere giudicati da quel Signore che trova imperfezioni negli angeli stessi. Che sarà dunque di noi, mentre siamo così trascurati, sì negligenti, sì accidiosi nell’operare il bene e nel mortificare le nostre passioni?
Io temo e tremo al solo pensiero del minutissimo conto che devo rendere a Dio di tutte le mie azioni. «Perdonatemi, o Signore, prima che venga questo giorno tremendo. La vostra misericordia venga applicata all’anima mia per mezzo del vostro preziosissimo Sangue, nel quale io confido: donum fac remissionis ante diem rationis. Signore misericordiosissimo, chiedo la remissione di tutti i miei peccati, mancanze e difetti, prima che giunga il giorno rigoroso della resa dei conti; mantenete, poi, sempre vivo in me il ricordo del severo conto che devo rendere a Voi della mia vita, così che io possa regolare sempre le mie azioni secondo la Vostra S. Volontà».
Chi non sa, dice S. Bernardo, che la colpa è degna di maggior rigore in un angelo che in un uomo? Dunque, conclude lo stesso dottore, con grande spavento bisogna pur dire che necessariamente le colpe delle persone religiose saranno giudicate da Dio con maggior strettezza che non quelle delle persone del secolo. Infatti, noi vediamo che agli angeli peccatori Dio non diede spazio alcuno di penitenza, ma subito, dopo il loro peccato, li scacciò dal paradiso e li precipitò nell’inferno. Ad Adamo peccatore, invece, nel paradiso terrestre usò più compassione: lo scacciò subito da quel luogo di delizie, come aveva fatto con gli angeli in cielo, ma lo chiamò, lo interrogò e, tenendo conto della sua fragilità, lo mandò a fare penitenza.
Anche la ragione naturale ci persuade del maggior rigore che userà Dio nel giudizio verso i religiosi. Perché, se i peccati che si commettono da noi religiosi sono, per moltissimi motivi, più gravi e più ingiuriosi alla bontà di Dio, ne viene per conseguenza che al divino tribunale siano anche giudicati con maggior severità.
Non dobbiamo dunque presumere, mie figlie, perché Iddio ci abbia, ora, così favorito chiamandoci a servirlo, a preferenza di tanti altri, nello stato religioso, nella sua casa, nel suo santuario, perché, se noi non ci diportiamo bene in questo stato, voi da buone religiose ed io da buon Sacerdote, questo stesso servirà per essere più rigorosamente giudicati e più severamente puniti dal Giudice eterno.
Sì, è vero che il Signore ama moltissimo le dilette sue spose, che sono le anime religiose, ma fino a quando? Fino a che la giustizia non sia citata in giudizio. E questo chiaramente lo si deduce dal giudizio che Dio fece di quei sette vescovi dell’Asia Minore, mentre ancora vivevano e avevano ancora da sopravvivere, dei quali si parla nell’Apocalisse di S. Giovanni, al capo II.
Erano, questi vescovi, quasi tutti in concetto di rara virtù, essendo tra di essi S. Timoteo, S. Policarpo, S. Quadrato, S. Sagrio, dei quali correva fama di gran santità; nonostante ciò, al giudizio di Dio furono tutti trovati degni di riprensione e di rimproveri e vi fu anche uno, tra quei sette, che fu giudicato reo di colpa grave. Ora, se Dio giudicò tanto severamente, già in questa vita, persone distinte per santità ed esemplarità, che sarà di noi miseri, dopo la morte? Non vi pare che si debba temere il giudizio di Dio? Eppure, noi viviamo sicuri come se per noi non dovesse venire quel giorno tremendo, come se avessimo vissuto santamente al pari di un sant’Ilarione che, tuttavia, tremava al pensiero di dover comparire al giudizio di Dio.
Crediamo noi forse di doverci salvare solo perché indossiamo l’abito religioso? Non è la dignità dello stato che salva, dice S. Girolamo, ma è il condurre una vita conforme alla santità dello stato.
Su, dunque, mie figlie, non perdiamoci in cose da nulla e prendiamo qualche santa risoluzione: mettiamoci ai piedi del Crocifisso, umiliati e compunti; domandiamo a Dio perdono delle negligenze passate, supplichiamolo umilmente e di cuore a non volerci essere giudice, ma Salvatore; a darci la grazia di poter intraprendere una vita quale a noi conviene, tutta diligenza e tutta fervore nell’adempiere i nostri doveri, perché i suoi giudizi, severi per tutti, saranno più severi per noi. Amen.