Suore dell'Immacolata

Gesu rovina e salvezza

 

Presentazione di Gesù al Tempio e profezia di Simeone

Dal brano del Vangelo di S. Luca: 2, 25-27-34

25 …Et ecce homo erat in Jerusalem, cui nomen Simeon, et homo iste iustus et timoratus, expectans consolationem Israel, et Spiritus Sanctus erat super eum…

27 …Et venit in Spiritu in templum. Et cum inducerent puerum Iesum parentes eius…

34 …benedixit illis Simeon et dixit ad Mariam matrem eius: «Ecce positus est hic in ruinam et resurrectionem multorum in Israel et in signum, cui contradicetur…

GESÙ, CAUSA DI ROVINA E SALVEZZA PER GLI UOMINI

La legge di Mosè comandava che qualunque donna avesse dato alla luce un figlio il quarantesimo giorno dopo il parto si presentasse al tempio per purificarsi ed offrire, consacrandolo al Signore, il frutto del suo grembo. A questa legge non era certamente tenuta la SS. Vergine, non avendo Ella concepito e partorito il Bambino Gesù per via ordinaria e naturale come le altre donne, bensì per puro intervento ed amore dello Spirito Santo e senza alcuna lesione della sua integrità verginale. Sull’esempio di suo Figlio, il quale si era già sottomesso alla legge della circoncisione sebbene non vi fosse obbligato essendo Egli vero Figlio di Dio e perciò la stessa santità per essenza e non peccatore come i figli di Adamo, volle anche Lei, dopo i quaranta giorni, presentarsi al tempio di Gerusalemme e compiere quanto prescriveva la legge per insegnare a noi che non dobbiamo mai sottrarci all’adempimento del nostro dovere, ma anzi mostrarci sempre pronti a fare più di quanto siamo tenuti a fare.

Quando Maria e Giuseppe presentarono il fanciullo Gesù al tempio, vi incontrarono un santo vecchio, chiamato Simeone, che in quell’ora stessa vi si era trovato per divina ispirazione.

Quest’uomo, giusto e timorato, ricevuto che ebbe tra le sue braccia il Bambino, dopo aver benedetto Maria e Giuseppe ed aver ringraziato ambedue affettuosamente per avergli finalmente presentato Colui che da tanti secoli costituiva il desiderio e l’attesa di tutte le genti e che egli stesso desiderava vedere, mosso dallo Spirito di Dio profferì questa terribile sentenza: «Ecco che Costui è posto a risurrezione e a rovina di molti».

Come, o santo vecchio, come Gesù sarà per alcuni causa di risurrezione e di vita e per altri occasione di rovina e di morte?

Non è Egli il nostro Salvatore, la nostra luce, la nostra vita? Non è Egli venuto sulla terra principalmente per liberarci dalla morte del peccato, dall’inferno e condurci tutti con lui nella gloria del Cielo? Come, dunque, può essere motivo di nostra rovina?

Gesù è posto a rovina ed a risurrezione di molti: questa sentenza, profferita per bocca di Simeone dallo Spirito Santo, non può venir meno.

Osserviamo dunque, mie Suore, coloro per i quali Gesù è causa di risurrezione e di salvezza e quali, invece, quelli per cui Egli è occasione di rovina; da ciò conosceremo a quale categoria noi apparteniamo.

Gesù sarà causa di risurrezione e di salvezza per tutti coloro che: 1) credono veramente in Lui, 2) adempiono i suoi precetti, 3) debitamente ricevono i suoi Sacramenti.

Al contrario, Egli sarà occasione di rovina e di morte per coloro che: 1 ) non credono in Lui o hanno una fede apparente e bugiarda, 2) non osservano i suoi comandamenti, 3) con poca devozione si accostano a i suoi Sacramenti. Consideriamo ora la cosa dettagliatamente.

La vera fede in Gesù Cristo è la sola che ci salva: soltanto in virtù di questa fede si salvarono quanti sono in Paradiso.

Cominciamo dall’inizio del mondo, cioè da quando, dopo la caduta dei nostri progenitori, venne loro promesso un Liberatore.

Adamo ed Eva penitenti, Abele innocente, Seth timoroso di Dio, il giusto Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giobbe, Tobia, Davide, in una parola tutti i Patriarchi ed i Profeti e tutti quei personaggi santissimi, i cui nomi sono scritti nel libro della vita e nell’antico Testamento, si sono salvati per la fede che avevano in Gesù Cristo, accompagnata dalle più eccellenti virtù, poiché non c’è altro Nome fuori di Lui, per testimonianza dell’Apostolo S. Pietro, in cui si possa sperare salvezza. E come noi ci salviamo per la fede in Cristo già venuto, così essi si salvarono per questa vera fede in Cristo venturo.

Qual è mai, però, questa vera fede in Gesù Cristo, necessaria per salvarci?

È quella fede a cui non solo si sottomette l’intelletto, ma si arrende anche il cuore; è quella fede che non sta solamente nella mente, ma passa anche alla mano, cioè è accompagnata dalle buone opere e va unita al virtuoso operare. Si dirà che uno ha la vera fede in Gesù Cristo solo quando metterà in pratica quello che egli crede con la mente e con l’intelletto. Solo per coloro che praticano con le opere ciò che credono con la mente Gesù Cristo ha detto: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se fosse morto per il peccato, risorgerà a nuova vita di grazia e vivrà in eterno». Ecco quindi coloro per i quali Gesù è causa di risurrezione e di salvezza.

Di quegli sconsiderati che, al contrario, non credono tutte le verità della fede, o si accontentano di una fede speculativa, cioè riposta nell’intelletto, senza darsi alcuna premura di operare in conformità dei suoi insegnamenti, potrà dirsi che abbiano la vera fede in Gesù Cristo?

E noi? Pratichiamo noi ciò che diciamo di credere? La fede ci insegna che tutto viene da Dio ad eccezione del peccato che viene dalla pura volontà o, meglio, dalla malizia dell’uomo. Vengono da Dio tanto le prosperità come le avversità, tanto le consolazioni quanto le tribolazioni; tanto la morte quanto la vita.

Noi, sì, crediamo in queste verità che troviamo nelle Divine Scritture, ma come le pratichiamo? Quale pazienza, quale rassegnazione al divino Volere usiamo nelle contrarietà e nelle tribolazioni con cui piace al Signore talvolta di visitarci? Non saremo, per disavventura, di quei tali che, ad ogni piccolo inconveniente si risentono fortemente nel loro cuore, diventano di malumore, muovono lamentele, si rattristano e non si danno più pace?

Se fosse così, Gesù diverrebbe, in tal caso, occasione di rovina.

La fede insegna che bisogna essere umili e mansueti di cuore, poveri di spirito, distaccati, almeno con l’affetto, da tutti i beni del mondo, caritatevoli con i bisognosi, pazienti con gli infermi, compassionevoli e misericordiosi nel tollerare e nascondere i difetti e le debolezze dei nostri prossimi; che bisogna mortificare l’amor proprio, negare la propria volontà, portare la croce e seguire Gesù Cristo. «Beati i miti, beati i poveri di spirito, beati i misericordiosi». «Rivestitevi di carità»

«Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso e mi segua». Queste sono tutte verità di fede registrate nel Vangelo, ma come le pratichiamo noi? Siamo umili e mansueti, o pieni di presunzione, di orgoglio, di vanità? Siamo poveri di spirito e distaccati dalle cose del mondo? Amiamo noi la povertà, amiamo di patire qualche privazione, oppure cerchiamo in tutto la nostra propria soddisfazione, lamentandoci se non siamo accontentati in ciò che vorremmo? Se ciò fosse, pare a voi che si potrebbe dire di avere noi la vera fede in Colui che da Signore si fece servo, da ricchissimo si fece poverissimo e di continuo ci inculca di seguire il suo esempio: «Vi ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io facciate anche voi»?

Con quale carità ci sopportiamo noi a vicenda nelle nostre debolezze? Quale mortificazione usiamo nei nostri sensi, quale abnegazione nella volontà, con quale trasporto abbracciamo noi il patire e la croce e seguiamo Gesù che ci precede? Se fossimo anche noi di quei tali che non sanno trattare con i loro simili se non con impazienza ed asprezza, che si risentono ad ogni sgarbo, che interpretano sempre male le azioni del prossimo, che non si muovono a pietà per l’altrui indigenza, che vogliono appagare in tutto le proprie brame ed in nulla mortificarsi, allora dovremmo temere che Gesù, per noi, sia occasione di rovina.

La santa legge di Dio è legge eterna: col passare dei tempi acquistò sempre in vigore, ma non variò mai nella sostanza. Come è sempre lo stesso uomo quello che vagisce in culla bambino, quello che diviene giovane ed adulto e quello che, poi, nella virilità, arriva ad essere uomo perfetto, così la legge di natura, scritta da Dio nel nostro cuore, fu una legge bambina, passò ad essere legge adulta quando da Dio fu scritta sulle tavole date a Mosè e, finalmente, fu legge perfetta quando uscì dalla bocca dell’incarnata Sapienza, Gesù Cristo, che la promulgò nel suo Santo Vangelo. Essa è sempre la stessa legge nel suo principio, nel suo progresso e nella sua perfezione, onde Gesù Cristo assicurò che Egli non è venuto per annullare la legge, ma per perfezionarla.

Ora, in questa legge divina e nell’esatta sua osservanza è riposta la salvezza e la virtù tanto che, per salvarci, non basta credere semplicemente in Gesù Cristo come dicono gli eretici, ma bisogna soprattutto osservare i suoi precetti. A quel giovane, infatti, che domandò al Redentore in persona con quale mezzo potesse egli conseguire la vita eterna, venne risposto: «Osserva i comandamenti».

Questi divini precetti voi li sapete fin dalla vostra infanzia: adora e ama Dio, non nominare invano il suo Nome, impiega santamente il giorno della preghiera, rispetta ed ubbidisci i tuoi genitori e superiori, non togliere ai tuoi simili né roba, né onore, non far male ad alcuno, astieniti dal vizio impuro, dalle bugie e dal desiderio, persino, di tutto ciò che non è tuo, ma del tuo prossimo. Ecco la legge ed ecco pure la via per essere salvi. Nella fedele osservanza di questa legge sta – ripete S. Paolo – la nostra giustificazione e la nostra salvezza.

Ora ditemi, Sorelle mie: questa legge così santa e salutare viene osservata dai cristiani di oggi? Quanti, se noi volessimo riferirci a quelli che sono nel mondo, quanti ne vivono dimentichi! Quanti non riconoscono altra legge che quella delle passioni, della colpa, dell’amor proprio che consiglia e comanda l’odio ai nemici, la vendetta degli affronti, l’oppressione degli umili e il disprezzo dei superiori; che fa prevalere l’inganno sulla giustizia, la finzione sulla verità, il capriccio sull’obbedienza, il proprio interesse ed il proprio gusto su quello di Dio e dell’anima. Noi vediamo il disprezzo universale della santa legge divina e possiamo quindi, a buona ragione, ripetere, col Profeta Davide: «Pare proprio, o Signore, che questo sia il tempo in cui per le umane azioni non vi sia più né regola e né freno ed in cui la vostra legge sia calpestata e disprezzata». Quale meraviglia, poi, se Gesù sarà per molti occasione di rovina e di morte?

Ma veniamo a noi, mie Suore, poiché per questi profanatori della legge divina non possiamo fare altro che pregare. Come osserviamo noi questa santa legge di Dio? Quale spirito di adorazione e di amore nutriamo per il nostro Dio? Con quale venerazione e devozione nominiamo il Suo santo Nome? Come impieghiamo il santo giorno della preghiera? Quale rispetto e obbedienza abbiamo verso i nostri Superiori? Con che amore trattiamo il nostro prossimo? Quale stima abbiamo di esso? Come di esso parliamo e pensiamo? Quale amore portiamo a quella virtù che, facendoci dimenticare di essere uomini, ci rende simili agli angeli del cielo? Quale schiettezza e sincerità usiamo nel nostro operare e quale diligenza nel tenere a freno i nostri sregolati desideri? In una parola: possiamo dire di osservare fedelmente i divini comandamenti? Se è così, stiamo pure di buon animo, giacché Gesù sarà per noi causa di risurrezione e di salvezza.

Gesù è inoltre causa di vita per chi riceve debitamente i suoi Sacramenti ed occasione di morte a chi li usa malamente. Limitiamoci, per essere brevi, ai due più frequentati: la Penitenza e l’Eucarestia. In rapporto al primo, voi ben sapete che le disposizioni per riceverlo degnamente sono: spirito di umiltà e di contrizione, sincerità e schiettezza nell’accusarsi, volontà efficace di lasciare la colpa e di emendarsi. Se noi ci accostiamo al tribunale della Penitenza con tali disposizioni, ne usciremo risanati. Gesù Cristo, per mezzo del suo ministro, sarà il pietoso samaritano che, col vino della sapienza e l’olio della misericordia, medicherà le nostre ferite e, anche se fossimo morti alla grazia, ci meriterà la risurrezione. Se però, al contrario, intendiamo presentarci ai piedi del ministro divino senza esame, senza dolore, senza sincerità nelle accuse e più per abitudine che con vera intenzione di purificare l’anima, correggerci ed emendarci per l’avvenire, il Signore non ci perdonerà e il Suo sangue adorabile che, con la sacramentale assoluzione, si applica all’anima nostra per purificarla, si cambierà per noi in materia di condanna.

Ecco là nella prigione d’Egitto il giovane Giuseppe in mezzo a due carcerati: uno è il coppiere del re e l’altro il panettiere. Tutti e due hanno fatto un sogno e ne domandano a Giuseppe l’interpretazione. «Io – dice il primo – premevo a due mani un grappolo d’uva nella coppa del mio sovrano» «Buon presagio – risponde il savio interprete – tu sarai rimesso in grazia del tuo Signore e ristabilito nel tuo impiego».

«A me – soggiunge l’altro – pareva di portare un canestro pieno di pani e di ciambelle, ma mi venne sul capo uno stormo di corvi e di altri uccelli rapaci, che mi lasciarono la cesta vuota». «Cattivo prognostico – rispose Giuseppe – tu sarai sospeso ad un legno e i corvi e gli altri avvoltoi divoreranno le tue carni». Così disse e così avvenne.

Applichiamo l’esempio a noi, mie Suore. Noi siamo nel sacro tribunale davanti al sacerdote, interprete della volontà di Dio e giudice da Lui costituito: se noi portiamo ai suoi piedi un cuore premuto dal dolore che sarà mutato in vino come il grappolo del coppiere, consoliamoci che otterremo il perdono e cresceremo in grazia ed amicizia con Dio.

Se, invece, accostandoci al sacro ministro porteremo le nostre colpe come il canestro sul capo del panettiere, tanto da farne al confessore una fedele narrazione ma senza il dolore di averle commesse e senza la volontà di emendarcene, guai a noi: ci sarà data una giusta, ma funesta risposta. Anche se riceveremo l’assoluzione sacramentale, ci aggraveremo di un nuovo peccato perché avremo abusato della confessione sacramentale, istituita da nostro Signore Gesù Cristo per salvarci, come mezzo per perderci, trasformando Gesù Cristo in nostro nemico ed in nostra rovina.

Lo stesso avviene nel Sacramento dell’Eucarestia: ogni fedele che si nutre delle carni immacolate del divino Agnello con cuore puro e l’anima monda, riceve conforto, ristoro, aumento di grazia santificante e vita spirituale ed eterna da Gesù, che è pane di vita.

Se però qualcuno ardisse mangiare questo pane di vita con la coscienza macchiata di colpa grave, costui mangerebbe – dice l’Apostolo – il suo giudizio e la sua condanna. Ed ecco – soggiunge l’Angelico – che lo stesso pane celeste, fatto cibo di vita per le anime giuste, è cibo di morte per le malvage.

Gesù Cristo, quindi, come è posto a rovina di tutti quelli che non credono veramente in Lui con una fede viva e operosa, che non osservano i suoi Comandamenti e che indegnamente ricevono i suoi Sacramenti, così sarà mezzo di risurrezione per tutti coloro che praticano ciò che credono, osservano i suoi precetti e debitamente si accostano ai suoi Sacramenti.

Procuriamo, o mie Suore, di mantenerci sempre nel bel numero di questi ultimi. Gesù sarà allora per noi causa di risurrezione e di vita, seme di immortalità e pegno della pura gloria del cielo, che per tutte voi di vero cuore desidero.

Amen.