Evangelizzatore

 

L’EVANGELIZZATORE SOLERTE

Mi pare quanto mai opportuno e soprattutto doveroso accompagnare la presentazione del quarto e conclusivo volume dei «Manoscritti» di Don Roscelli con una delucidazione storico-critica riguardante le circostanze socio-politiche ed ambientali da cui è maturato, a cui si è ispirato ed in cui è stato svolto il ministero della predicazione del Ven.le Sacerdote, onde poterlo giudicare ed apprezzare nella sua giusta luce e nel suo autentico valore.

L’Ottocento ed il primo Novecento sono stati, per la Diocesi genovese, periodi di grandi difficoltà interne ed esterne, di divisioni profonde sul piano teologico-dottrinale e di contrasti politici particolarmente incidenti su di una parte del clero, clamorosamente trascinato e coinvolto da fazioni ribelli all’ortodossia, nonché sulla popolazione cittadina, al tempo in gran parte analfabeta o semianalfabeta e, pertanto, facilmente influenzabile dal sibilo di ogni soffio di fronda, qualunque ne fosse la provenienza.

In tale contesto, ovviamente, la predicazione veniva ad assumere un’importanza primaria nell’ambito delle attività del ministero sacerdotale, costituendo la «predica» l’unico ed efficace mezzo diretto per incidere, assai più che la stampa accessibile a pochissimi, sulla pubblica opinione e per far giungere la Parola di Dio a persone incapaci di leggere le Sacre Scritture, ponendole così al riparo dai negativi influssi della diffamazione religiosa e del diffondersi delle eresie, prima tra le quali il «giansenismo», vastamente penetrato in Genova fin dal tempo della dominazione napoleonica.

Per tale importantissimo ed allarmante motivo, fra le molte preoccupazioni degli Arcivescovi della città viene a rivestire un particolare rilievo quella inerente la severissima custodia dell’ortodossia della predicazione, come possiamo ampiamente desumere dai due Sinodi Diocesani svoltisi a Genova nel XIX secolo, e precisamente quello del 1838presieduto da S.E. l’Arcivescovo Placido Maria Tadini e quello del 1896, condotto da S.E. Mons. Tommaso Reggio.

Entrambi i Sinodi affrontano tutti gli aspetti della vita religiosa e tutti i gradi della vita ecclesiastica; qui, però, ci limiteremo a sottolineare soltanto i punti, del resto perfettamente in sintonia tra loro, che riguardano espressamente la predicazione della parola di Dio, tenuto conto che tra i due Sinodi intercorrono soltanto cinquantotto anni e che in tale periodo non si sono verificati grandi mutamenti nell’ambito della Diocesi genovese.

Entrambi i Pastori sono concordi nel sottolineare la fondamentale importanza della Parola di Dio, che non deve essere in alcun caso tralasciata, affinché i fedeli possano essere nutriti e confermati da una sana ed integra dottrina, come sostentamento ed orientamento di vita e sono altresì concordi nel decretare che, come già a suo tempo stabilito nel Concilio di Trento e nelle Costituzioni dei Sommi Pontefici, almeno nei giorni di domenica e nelle Solennità debba essere tenuto, da parte di coloro che hanno cura delle anime, un sermone per il popolo: sermone che, però, non deve essere confuso con l’istruzione catechistica.

Vengono inoltre rigorosamente stabilite, in entrambe le Assemblee sinodali, severe norme sulle modalità di impostare il sermone:

a) L’argomento deve sempre essere ispirato al Vangelo del giorno e adatto, soprattutto, a condurre le anime alla salvezza eterna.

b) Deve essere tenuto coscienzioso conto delle capacità di comprensione, del genere di vita e dello stato sociale degli uditori, in modo da non dire alcunché di inadeguato alle circostanze, o con tono negligente o con linguaggio dettato più dalla sapienza umana che dallo zelo missionario, evitando ogni termine con valenze ambigue, che potrebbe non essere compreso da tutti, o sembrare volto a colpire il modo di agire privato di qualcuno.

e) Devono essere evitati i racconti di episodi inventati, ingenui ed inopportuni e di fatti miracolosi non approvati dalla Chiesa.

d) Deve infine essere impiegata la massima cura affinché quanto è affermato nel discorso sia accessibile a tutti ed a ciascuno e soprattutto idoneo ad esortare alla pratica delle virtù e a fuggire i vizi, onde venga raggiunto il fine primario di ogni predicatore, cioè che le anime a lui affidate paventino la pena eterna e tendano a conseguire la gloria del Paradiso.

Sia dal testo del 1838, sia da quello del 1896, emerge in modo pregnante un comune denominatore:

La persona incaricata della predicazione ai fedeli deve godere di grande stima, essere idonea a tale ministero e, soprattutto, degna di svolgere un compito tanto delicato, dai cui doveri non ritenga di poter mai essere esonerata «o per diversa consuetudine o a causa dell’esiguo numero degli uditori».

Si raccomanda inoltre che:

Il predicatore abbia almeno raggiunto il diaconato, ma si ritiene preferibile scegliere un Sacerdote fornito di un più vasto bagaglio culturale e di una più consumata esperienza: requisiti confermati dai Superiori della Curia, incaricati di scegliere, per il delicato ruolo in questione, i migliori elementi a loro disposizione, fornendoli dei regolari permessi richiesti per svolgere il ministero della predicazione, soprattutto nei Monasteri e nei Conventi femminili.

Da tutto ciò risulta più che evidente quanto gli Arcivescovi genovesi del XIX secolo si siano adoperati al fine di instaurare un ferreo controllo o, per meglio dire, una stretta vigilanza intorno a coloro che, tramite l’efficace mezzo della «predica», avrebbero potuto condizionare o, quanto meno, influenzare le coscienze dei fedeli.

Va infine segnalato che nel Sinodo del 1838 viene stabilito come particolare momento forte dell’anno liturgico, per quanto riguarda l’obbligo della predicazione, il periodo compreso tra la seconda domenica dopo Pasqua e la festa dell’Assunzione, mentre in quello del 1896 sono fissati i periodi che intercorrono tra la prima domenica dopo l’Epifania e la Quaresima, durante la quale viene particolarmente sollecitato lo zelo dei Predicatori.

Quanto siamo venuti notificando mi sembra estremamente illuminante alfine di porre nel giusto risalto tutti i pregi della predicazione di Don Roscelli, che potrebbero risultare un po’ adombrati, sotto qualche aspetto, se considerati al di fuori del contesto storico ed etico-religioso che abbiamo testé analizzato.

La perfetta aderenza ai Sacri Testi, il frequente ricorso ad esempi tratti esclusivamente da episodi biblici (dei quali il nostro si rivela sempre raffinato e profondo conoscitore), l’assillante insistenza sui temi riguardanti il peccato (sia mortale, sia veniale), la forza negativa delle grandi e piccole passioni non tempestivamente soggiogate, il richiamo severo alle pene del purgatorio e dell’inferno (per indurre a paventare la dannazione eterna) e alla beatitudine del Paradiso (per incitare a meritarla) trovano la loro spiegazione nella totale adeguazione di Agostino Roscelli ai Canoni inderogabili allora imposti dalla Curia Arcivescovile genovese.

Anche il periodare, innegabilmente ridondante e prolisso secondo lo stile del tempo, rispecchia però sempre una estrema semplicità di livello culturale, accessibile ad ogni grado di comprensione, senza inutili digressioni e sempre in sintonia con l’argomento enunciato inizialmente, che risulta pertanto logicamente ed esaurientemente ribadito e svolto dall’inizio alla fine, sia quando il discorso è rivolto ad un vasto ed eterogeneo uditorio nelle pubbliche Chiese cittadine, sia quando è indirizzato, in tono più intimo e paterno, alle Suore di cui ha assunto l’impegno della direzione spirituale.

Ne emerge, infine, pienamente giustificata, la quasi primaria importanza conferita agli argomenti di ispirazione quaresimale, quali la Passione di N.S. Gesù Cristo e i Dolori della Beata Vergine Maria.

Possiamo, a questo punto, evidenziare con intimo ed indicibile orgoglio filiale una nuova e fondamentale qualifica del nostro incomparabile Padre Fondatore: quella, cioè, dell’Evangelizzatore solerte.

Qualifica che, aggiunta alle molte altre già note: il Confessore Santo, il Catechista degli artigianelli, l’Apostolo dell’Infanzia abbandonata e il Fondatore delle Suore dell’Immacolata, contribuisce, in modo attualmente eclatante, ad imprimere l’ultimo colpo di scalpello alla sua granitica figura di sacerdote autentico Ministro di Dio e, a maggior ragione, degno di essere proposto quale esempio stimolante e modello illuminante al Clero e alla società contemporanea.

Sr. MARIA MATILDE