Suore dell'Immacolata

Amore di Gesu verso il Padre 2

 

AMORE DI GESÙ VERSO IL PADRE NELLA SUA OBBEDIENZA

(Seconda Istruzione)

S. Ignazio di Loiola, prima di proporre quella sua ammirabile contemplazione sull’amore di Dio, da’ questo avvertimento: «L’amore consiste più nelle opere, che nelle parole o in altre simili dimostrazioni». È dunque chiaro, che certi fervori sensibili, certi slanci interiori, se sovente sono l’effetto e la prova di un grande amore di Dio, non ne sono però mai la sostanza e la verità.

Dunque, è vero amore quello di operare per Dio, e soprattutto quello di obbedirGli in tutto ciò che vuole da noi. «Chi ama i miei comandamenti e li osserva, costui mi ama; al contrario non mi ama, colui il quale non osserva i miei insegnamenti». «Se voi osserverete i miei comandamenti – continua il divino Salvatore -sarete sicure di perseverare nell’amore di Dio fino alla morte». E qui Gesù cita come esemplare Se stesso, dicendo che, per avere Egli sempre osservato i precetti del Suo divin Padre, ha pure sempre perseverato nell’amore di Lui.

Grande parola, sorelle mie, è questa; parola di cui non è facile comprendere il senso profondo. Gesù Cristo poteva dire di perseverare sempre nell’amore del Padre, perché, in quanto Dio, Egli era una cosa sola con Lui, e, in quanto uomo, vedendoLo sempre svelatamente, non poteva mai lasciare di amarLo. Dice, invece, che Lo ama proprio per questo: perché Gli obbedisce; tanto Gli stava a cuore di persuadere noi che senza una fattiva obbedienza, che eseguisca quanto Dio vuole da noi, non può esservi vero amore.

Del resto, se è vero che Cristo ama il Padre, perché Gli obbedisce, è vero altresì che Gli obbedisce perché Lo ama. L’amore, dunque, non solo è premio ed effetto della perfetta obbedienza, ma ne è anche la causa e il principio; perciò, se noi dobbiamo perfettamente obbedire per giungere al vero amore, dobbiamo pure amare, per poter obbedire perfettamente.

Avviciniamoci ancora, Sorelle mie, al nostro Maestro, e, dopo aver osservato in Lui come il grande amore che portava al Suo celeste Padre Lo mosse ad obbedire con prontezza ad ogni Suo cenno, vediamo ora, come questo amore Lo indusse ad eseguire con esattezza ogni volere, benché minimo, e a compiere con generosità ogni comando, anche difficile, per poter noi, pure, imparare una buona volta ad obbedire come si conviene.

Non è raro il caso che, talvolta, uno è pronto nell’obbedire, ma non sia poi esatto nell’eseguire. Trasportato sovente dal suo stesso zelo ad abbracciare quanto gli sembra essere volontà di Dio, tutto vorrebbe fare, dappertutto vorrebbe essere, e così non fa bene nessuna cosa, non dandosi totalmente a nessuna e tralasciandone molte che egli non stima di uguale importanza.

Non così, però, fece il nostro divino Maestro Gesù Cristo. Egli, per obbedire al celeste Suo Padre, come già abbiamo considerato altra volta, si fermò tre giorni nel Tempio e disse che doveva essere tutto nelle cose del Padre Suo. « In his quae Patris mei sunt, oportet me esse ».

Notate quella parola «oportet» la quale significa necessità, e vuol dire che l’eseguire tutto ciò che è Volere divino, veniva da Lui considerato come un obbligo e un preciso dovere.

Notate ancora quella parola «esse», con cui Cristo ci insegna a non fare in qualche modo ciò che Dio vuole, ma ad applicarvisi con tutte le nostre forze, sia di spirito che di corpo, fino a poter dire di esservi interamente occupati: «oportet me esse».

Così faceva il divino Maestro, e potrà essere per noi soggetto di utilissima meditazione percorrerne una per una le azioni, e considerare come Egli si applichi in tutte con attenzione, e non ne trascuri alcuna per piccola che sia. SeguiamoLo dunque e osserviamo bene.

Battezzato da Giovanni nel Giordano, Egli asserisce che conveniva adempiere ogni rito di giustificazione, sebbene fosse puramente esteriore.

Attendendo alla conversione della Samaritana, rifiuta di prendere cibo, sebbene fosse stanco e sul far del mezzogiorno; perché – diceva – Suo cibo era fare la Volontà del Padre Suo, fino al perfetto compimento della Sua opera.

Ogni anno si reca a Gerusalemme per le consuete solennità; né tralascia di andarvi a celebrare l’ultima Pasqua, benché sappia che in quella circostanza sarebbe preso e ucciso, anzi, proprio per questo, desidera maggiormente fare quel viaggio e dice ai suoi discepoli: «Andiamo a Gerusalemme, dove deve adempiersi tutto ciò che hanno scritto di me i Profeti».

Quando S. Pietro, col suo fervore intempestivo, vuole difenderLo dalla soldataglia che è venuta per catturarLo: «Rimetti – gli dice – rimetti la spada nel fodero, poiché altrimenti come si adempirebbero le Scritture, secondo le quali Io devo essere preso ed ucciso?».

O mio Gesù, obbedientissimo e interamente occupato nell’eseguire i Voleri del Vostro divin Padre! Con tutta ragione, Voi poteste, nell’ultima cena rivolgervi al Padre e dirGli: «Io, o Padre, Vi ho glorificato sopra la terra; ho compiuto l’opera che Voi mi avete dato da fare: ed ora Voi pure, Padre, glorificate Me, chiamandomi a Voi e comunicando alla mia umanità quella gloria che, come Vostro Figlio, ho sempre avuto, prima ancora che il mondo esistesse».

Ma potrò io dire altrettanto, o mio Gesù, quando verrà l’ora della mia morte? Potrò dire anch’io con Voi, che tutto è consumato; che ho adempiuto esattamente tutto quanto Dio richiedeva da me?

Potrete voi pure, Sorelle mie, dire in punto di morte di aver fatto quanto esigeva la santità del vostro stato, di essere vissute sempre da buone religiose, animate da quello spirito di umiltà, di pazienza, di vicendevole amore, di orazione che è il vero spirito di Gesù Cristo, senza del quale non potremo ottenere la vita eterna?

La divina Scrittura dice che chi teme Dio (e molto più chi Lo ama in modo particolare, perché a Lui consacrato) nulla trascura; come potrò io, dunque, nell’ora della morte, dire di aver compiuto con esattezza ogni mio dovere, se trascuro tante cose nel divino servizio? Come potrete dirlo voi, se non vi sforzate di vivere con quella perfezione che si richiede da persone religiose? Cerchiamo, dunque, di imitare Gesù nella Sua esatta obbedienza nell’eseguire il Volere del Padre e allora, adempiendo sempre il divino beneplacito, potremo in vita dire, come Lui, di fare sempre come a Dio piace; e in morte potremo con Lui consolarci di averlo sempre fatto. « Consummatum est ».

Ma Gesù non fu sollecito soltanto nell’obbedire al Suo Padre celeste, perché, con la medesima premura ed esattezza, si assoggettava anche ad ogni uomo in cui riconoscesse l’autorità del Padre e ne adempiva i voleri con uguale scrupolosità. Egli non faceva come i servi che obbediscono per forza ai comandi dei loro padroni, ma, come amoroso figlio, vedeva in tutti coloro di cui il Padre si serviva per indicarGli la Sua volontà, lo stesso Suo Genitore.

Quella bella sentenza: «Chi ascolta voi ascolta Me; chi disprezza voi, disprezza Me», non fu da Cristo proferita con le sole labbra, ma fu da Lui praticata con le opere. Infatti, dei Suoi primi trent’anni, gli Evangelisti ci dicono solo che viveva soggetto a Maria e a Giuseppe, nei Quali vedeva rappresentata la autorità di quel Dio, dal Quale ogni paternità ha vigore, sia in Cielo che in terra.

Quando in Cafarnao gli esattori del pubblico dazio volevano che anche Lui pagasse il tributo imposto, Egli operò un miracolo per adempiere quel precetto, facendo trovare a Pietro, nella bocca del pesce, il denaro richiesto per ambedue.

Per amore del Padre Suo, si sottomise ancora volentieri a nemici crudelissimi ed iniqui e ne sopporta, senza aprir bocca, le ingiustizie e i furori. Sapendo che al compimento dell’opera più stupenda della misericordia divina doveva concorrere l’eccesso più esecrabile della crudeltà umana, Egli, negli autori della Sua morte, non vide altri che gli esecutori del Divino Volere, così, mentre detestava il loro peccato, compiva il grande atto della redenzione del mondo.

Appena gli sgherri giunsero nell’orto del Getsemani, Egli si diede nelle loro mani, dicendo apertamente che quella era l’ora, in cui il Padre dava, loro potestà di prenderLo e, al principe delle tenebre, facoltà di maltrattarLo.

Così pure, quando Pilato offeso per non ricevere risposta alle sue numerose domande, Lo minacciò dicendo se non sapeva che egli aveva potere di metterLo in croce e di liberarLo, Gesù, con somma pace, gli rispose che non avrebbe nessun potere su Lui, se non gli fosse stato concesso dall’alto, ed accolse l’iniqua sentenza di Pilato, come fosse stata pronunziata dal Suo celeste Padre.

Che dice il vostro cuore, Sorelle mie, a questo punto? Vi pare che il nostro amore verso Dio assomigli, almeno in parte, a quello di Gesù?

Eseguiamo noi con esattezza, come Egli fece, i divini Voleri?

Ci sottomettiamo noi volentieri, come Gesù, ad ogni uomo che abbia autorità di comandarci?

Riconosciamo in chi ci comanda la persona stessa di Dio, e ne eseguiamo gli ordini con uguale esattezza, come se fossero ordini di Dio?

E quando ci viene fatto qualche torto o ingiustizia, quando riceviamo disprezzi ed umiliazioni, quando siamo oggetto di calunnie e diffamazioni, ci uniformiamo noi ai divini Voleri, accettando tutto con pace e rassegnazione, come fece Gesù Cristo, riconoscendo ogni cosa come venuta da Dio, il Quale ordina tutto alla Sua maggior gloria e al nostro maggior bene?

Quanto diversamente stanno le cose! Noi, per lo più, non siamo soliti vedere in ciò che ci accade la Mano di Dio, perciò credendo che tutto proviene dalla malignità e malvagità delle persone, prendiamo sempre le cose in malo modo. Ad ogni piccolo scontro, sorgono in noi sentimenti di sdegno e di impazienza contro chi crediamo che sia la causa del nostro soffrire; nulla sappiamo sopportare con pace ed umile rassegnazione, e quando non possiamo fare altro, pensiamo al modo di vendicarci.

Quanto poi all’obbedienza, se la cosa che ci viene comandata piace, allora sappiamo dire che è volontà di Dio che si faccia, e siamo esattissime nell’eseguirla, condannando, anche con rigore, chi la trascuri.

Se, invece, un comando non ci va a genio o scomoda il nostro amor proprio, allora non si tiene conto del comando avuto, si continua a fare come si faceva, senza darsi alcun pensiero di chi ci parla in nome di Dio. Per tranquillizzare la nostra coscienza che ci rimprovera di aver mancato all’obbedienza, inventiamo pretesti sopra pretesti: o che ci duole il capo, o che ci fa male il piede, o che a noi non spetta, o che non si è abituati, o che non si è mai fatto; insomma non mancano mai le scuse quando non si vuole fare una cosa che non va a genio, sebbene sia volontà dei Superiori che si faccia.

Questo, Sorelle mie, vi pare un imitare Gesù Cristo, un amare Dio con amore operoso?

Gesù, perché amava veramente il Padre, Gli obbedì sempre in tutto e per tutto, non solo con prontezza, ma eseguendo anche con esattezza ogni Suo volere, benché minimo. Egli non tralasciò mai alcuna delle più piccole osservanze prescritte dalla legge antica; sopportò con costanza: umiliazioni, disprezzi, calunnie, ignominie di ogni genere, patimenti e morte, senza lamentarsi di nulla; anzi riprese col nome di Satana l’apostolo S. Pietro, quando lo voleva distogliere da una morte tanto ignominiosa.

Noi, invece, Sorelle mie, non sappiamo sopportare per Dio una piccola sofferenza, non sappiamo soffrire in pace un’ingiuria, una parola umiliante, un minimo torto.

Noi non sappiamo negarci un desiderio, spogliarci di un po’ di amor proprio e lasciarci guidare, obbedendo, da chi ci dirige.

Noi dovremmo, d’ora in poi, tanto più rassomigliare a Gesù Cristo nel soffrire umiliazioni, nel sopportare disprezzi e nell’obbedire ad uomini anche difettosi nel comandare, quanto meno Gli abbiamo somigliato finora.

Vi è forse, insulto o sofferenza che non sia dovuta ad un uomo, il quale, anche una sola volta, si sia rivoltato contro la maestà di Dio e Gli abbia detto: «Non serviam; non vi voglio servire?» E noi, Sorelle mie, possiamo dire di aver mancato con il Signore una volta sola?

Qualora, in alcuni casi particolari, noi venissimo provate con obbedienze gravose, dovremmo per questo non obbedire alla creatura per amore di Dio? Non dovrebbe anche in tal modo bastarci, il sapere che Dio così vuole e così permette a maggiore Sua gloria e a nostro maggior bene? Noi, dunque, amiamo così poco il Signore che una sola nuvoletta di rigore, comparsa sul Suo sembiante, basta a farci voltare le spalle?

Davide, quando, fuggendo la persecuzione di Assalonne, venne insultato per strada da Simeì e provocato con dileggi e con lancio di sassi, non permise che i suoi soldati ne prendessero vendetta, adducendo come causa che era volontà di Dio che egli fosse trattato in quella maniera. Perché non facciamo anche noi così, qualora qualche accusa anche ingiusta ci colpisca; che qualche castigo, anche non meritato, ci affligga; che qualche parola ingiuriosa ci ferisca?

Questa sola è la ragione: perché amiamo poco Dio, e perché il nostro cuore, è infinitamente dissimile da quello di Gesù.

I primi seguaci di Gesù Cristo, perché amavano veramente Dio, compresero bene quella grande massima che il divino Maestro inculcava a tutti i suoi discepoli: «Chi vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua». Questi, sostenuti dalla divina grazia, non ebbero alcun riguardo alla loro vita e, per amore di Dio, si lasciavano distendere sugli aculei, schernire e battere in ogni maniera, mettere in catene, lapidare, segare per mezzo e morire di spada. Quello che più stupisce in tante loro sofferenze è che non chiesero mai conforto e non ebbero timore del dolore che passa, avendo solo di mira la vera ed eterna gioia che sarebbe stata un giorno la degna ricompensa del loro perfetto obbedire.

O mio Gesù, infiammateci di quello stesso fuoco che accendeste nel cuore di questi veri seguaci e stampate nel mio cuore e in quello di queste mie figlie, i Vostri affetti e quelli dei Santi. Allora sì che, assoggettandoci prontamente a Dio in ogni Suo volere, piacevole o disgustoso, vinceremo ogni umano rispetto, domeremo ogni ripugnanza e, senza dare ascolto ai richiami della fiacca natura, ci impegneremo totalmente, sia in vita che in morte, ad adempiere la santa volontà di Dio, accettando con somma pace e tranquillità, tutto ciò che ci accade di bene o di male. Amen.