AMORE DI GESÙ VERSO GLI UOMINI
(con la parola – Seconda Istruzione)
La carità di Gesù verso gli uomini non dice mai basta.
Dopo avere Egli dato esempi ineffabili di povertà, di umiltà, di pazienza; dopo avere volontariamente sofferto, per l’eterna nostra salute., ogni sorta di pene, di ignominia, di patimento, di obbrobri, e dopo aver indirizzate parole adatte ai peccatori per convertirli, diede anche opportuni insegnamenti ai già convertiti per rinfrancarli nel bene onde non tornino a ricadere nei vizi di prima.
Nell’ultima istruzione abbiamo visto che il buon Maestro insegna come il bene debba farsi bene, perché sia accetto al Divin Padre e degno di eterna ricompensa. Ma l’amoroso Suo cuore non fu pago di ciò. Volle anche insegnare quale sia il vero bene che noi dobbiamo operare e ci indicò pure tutti gli impedimenti in cui potremmo incorrere nella pratica di tale bene.
Gesù ci dice: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente: questo è il massimo e il primo comandamento. Il secondo è simile a questo ed è: amerai il prossimo tuo come te stesso; in questi due comandamenti è fondata tutta la legge e i profeti».
Gesù aveva già precedentemente risposto al diavolo tentatore: «Sta scritto: adorerai il Signore Dio tuo e servirai a Lui solo». L’opera dunque per eccellenza dei seguaci di Cristo è di amare Dio e di servirLo, e in Lui e per Lui servire ed amare il nostro prossimo. Questa è l’unica cosa necessaria. Questo operava Maria, sorella di Lazzaro, quando se ne stava ai piedi di Gesù, amando in Lui il suo Dio; da questo invece si allontanava Marta, mentre si prendeva eccessiva cura delle cose esteriori.
Vediamo ora quali ostacoli si possono presentare nell’operare questo bene che Gesù ci prescrive e quali siano i rimedi che Gesù Cristo stesso ci suggerisce per vincere questi impedimenti; vedremo infine, le parole che il Divin Maestro indirizza a coloro che sono desiderosi di perfezione, onde possano farne acquisto.
Gli impedimenti che si incontrano nel fare il bene, che Gesù Cristo ci comanda possono provenire:
• dai nostri parenti;
• dai falsi profeti;
• dal diavolo;
• da noi stessi.
a) Se le persone che ci impediscono di amare Dio, che per noi è l’unica cosa necessaria, sono, a volte, i nostri parenti, Cristo ci dice: «Badate che i nemici dell’uomo sono quei di casa sua. Badate che chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me, e chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me, che è quanto dire: se voi, per contentare il padre o la madre, per compiacere il figlio o la figlia, il fratello, o la sorella, o qualsiasi altra persona, non seguite l’invito di Gesù e violate anche leggermente la legge di Dio, dimostrate di voler più bene a queste persone che a Dio.
In questo senso Io sono venuto – continua Gesù – a portare in terra non la pace, ma la spada, perché sono venuto a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, tutte le volte che l’uno sia d’impedimento all’altro ad abbracciare la mia croce e a seguirmi».
b) Se poi le persone che ci impediscono il bene non sono congiunte a noi per parentela , allora «guardatevi – dice il Divino Maestro – dai falsi profeti, i quali vengono a voi vestiti da agnelli e dentro sono lupi rapaci; guardatevi cioè, da quelle persone che sono tutta finzione; all’esterno sono tutto moine, si fingono devote, vi dimostrano buon viso, vi fanno complimenti, vi usano riguardi; nell’interno invece sono piene di malumore, di risentimento e di vanità».
Ma come si fa, direte voi, a conoscere queste persone, se nel cuore non si può vedere? Dai frutti delle loro opere, dice Cristo, voi potrete conoscerle, poiché non si coglie l’uva dalle spine, né i dolci fichi crescono sui triboli.
Se voi osserverete bene queste tali persone che fingono al di fuori, quello che non sono al di dentro, troverete che quando capiterà loro l’occasione, riveleranno quello che tengono nascosto nel cuore e mormoreranno di coloro ai quali esternamente prima usavano riguardi e complimenti; noterete che mentre mostrano di essere tutto zelo e fervore per la gloria di Dio e per il bene delle anime, quando sono osservate da coloro presso i quali giova loro comparire persone dabbene; sono poi l’indifferenza personificata per qualunque altra opera buona, quando sono sole, o in compagnia di persone, la cui stima importa loro poco; noterete che mentre esigono la perfezione in tutti gli altri, sono poi essi stessi trascuratissimi per ciò che riguarda il loro profitto spirituale.
Costoro, mentre trovano sempre difetti negli altri e ne parlano continuamente, non sanno poi trovare in loro stessi alcuna mancanza, anzi sembra loro di essere le persone più sante del mondo.
Ah, falsi profeti! Io vorrei gridare a costoro se mi udissero, quando cesserete di ingannare il mondo? Ricordate che nel giorno del giudizio, saranno manifestate tutte le coscienze e saranno rese palesi tutte le opere e le trame più occulte, con grande confusione di chi le avrà celate nel cuore. Pensateci finché siete in tempo!
c) Se chi tenta di deviarci dalla via del servizio divino è il demonio con le sue malvagie suggestioni, Cristo ci premunisce e dice: «Vigilate e pregate per non cadere nella tentazione». E per bocca di S. Marco ci avverte che vi è una specie di demoni, la quale non si scaccia se non aggiungendo all’orazione il digiuno.
d) Il nemico più terribile di tutti, però, e che solo può recarci vero danno siamo noi stessi, sono le nostre non mai abbastanza frenate passioni.
Qui, Gesù mio, io ho bisogno più che mai del vostro aiuto per domare un nemico che non si dà mai
per vinto; per affrontare un assalitore tanto più da temersi, quanto più è immedesimato con me stesso. Ma Gesù viene in mio soccorso e mi dice: «Rinnega te stesso, abbraccia continuamente la tua croce e seguimi, poiché chi vorrà salvare l’anima sua e la contenterà in ogni sua esigenza poco buona, la perderà; al contrario, chi perderà la sua anima, negandole ciò che le passioni desiderano, costui la salverà».
Il modo sembra duro, è vero, vengono meno le forze al solo sentirlo, è verissimo: ma ecco il rimedio universale e sicuro che Gesù Cristo stesso ci propone: l’orazione.
«Domandate – figli dice – e vi sarà data qualunque grazia; cercate e troverete sempre conforto; bussate alla porta del vero rifugio e vi sarà aperto sicuramente».
Che vi pare, sorelle mie, di questo nostro divino Maestro? Avrebbe potuto, il più amorevole di tutti i padri, istruire con più amore un suo caro figlio sul come percorrere un difficile cammino, con l’avvertirlo dei pericoli e con l’additargli tutti i mezzi più sicuri per giungere alla mèta, come fece Gesù con noi?
O Gesù, Padre e Maestro dell’anima mia, veramente io vedo che la vostra parola è proprio lucerna ai miei piedi; è lume chiarissimo nello stretto sentiero per cui cammino.
Ma il solo lume non basta a farmi avanzare: mi ricordo che la vostra parola non è solamente luce, ma è anche fuoco e fuoco gagliardo. Deh fate, dunque, che questo fuoco divino consumi dentro di me tutta la violenza delle mie ribelli passioni, onde con il cuore dilatato da queste divine fiamme, io corra spedito la via dei vostri santi comandamenti.
Ma Gesù, sorelle mie, non si è accontentato di segnalare ai suoi seguaci il bene che devono fare, di indicar loro tutti gli impedimenti che possono incontrare e di suggerire il modo per superarli, ma volle inoltre avvertire anche coloro che sono desiderosi di perfezione del come devono stabilirsi e avanzare sempre di più nella via della virtù.
E qui le parole del divino Maestro a questi suoi più cari, sono in primo luogo parole di un santo timore, il quale li sprona a custodire con maggior diligenza i tesori ricevuti. «Siete voi – dice Cristo a questi che anelano alla perfezione – siete voi ricolmi di favori celesti, quasi da sembrarvi di aver collocato in cielo la vostra dimora? Non dovete starvene senza timore, poiché io ho visto precipitare Satana dal cielo a guisa di folgore. Però questo vostro timore deve essere santo, puro e casto, che è quanto a dire un timore di figlio, il quale teme perché ama, teme la colpa, perché non vuol disgustare il suo buon Padre».
Gesù continua e dice: «Se voi mi amate, osservate i miei comandamenti» e voleva dire: «Non vi inducano a fare quanto vi comando né timore di castigo né speranza di premio, ma vi induca il solo desiderio di piacermi e di non cagionarmi disgusto».
Questo timore così integro e santo non deve disgiungersi mai dalle anime, anche le più favorite, perché esso solo potrà assicurare loro quella perseveranza finale che le farà beate nei secoli sempiterni; perseveranza alla quale Gesù ci esortò nell’ultima cena con tali dolci parole, da non potersi ripetere senza commuoverci di tenerezza. «Io sono la vite vera -disse il Divino nostro Maestro – e voi, o miei discepoli, siete i tralci; ora siccome il tralcio non può dar frutto da se stesso se non resta unito alla sua vite, così neppure voi potete portare frutto di vita eterna se non restate in me. Rimanete, dunque, in me ed Io rimarrò in voi, perché senza di me non potete fare alcuna cosa che vi valga a merito per la vita eterna».
Che dite, Sorelle mie, a queste così dolci parole del divino Maestro? Non vi sentite commuovere ad espressioni di tale amore? Chi vorrà tra noi staccarsi, anche per un solo momento dal buon Gesù, mentre tutto il nostro bene consiste nello stare uniti a Lui per amore? Se per un solo momento, peccando, ci staccassimo da Lui, potrebbe essere proprio quello il momento fatale che dà inizio per noi ad una eternità disperata.
Un solo momento di volontario nostro abbandono, potrebbe essere punito da Gesù con un abbandono eterno. Questo, Gesù mio, è ciò che mi fa tremare, questo è ciò che mi riempie tutto di salutare spavento.
Sarà mai possibile, dunque, che, dopo aver posto mano all’aratro, io mi volga indietro e mi renda in tal modo indegno del regno dei cieli?
Sarà mai possibile che dopo aver io incominciato ad innalzare l’edificio spirituale della mia perfezione, lasci, per pigrizia, a metà, così che si dica di me: «Quest’uomo ha cominciato ad edificare e non ha potuto terminare?». Non me lo permettete mai, o Signore, – ve ne prego – non permettete mai che io mi separi da Voi con un solo peccato. Voi mi aprite, come arca di sicurezza, il Vostro dolcissimo cuore; se io, entrandovi, rimango in esso, sarò salvo, se al contrario ne esco fuori, le acque del diluvio universale, voglio dire della comune malvagità, mi affogheranno. In questo Cuore, io voglio vivere e desidero ancora di morire.
L’uomo che è giunto a conseguire questo santo amore di Dio è beato, dice il profeta. Ma perché beato, Sorelle mie? Forse perché rimarrà tranquillo a godere dei favori ricevuti e, preoccupato di non perderli, trascurerà di aumentarli ancora? No, certamente; è beato perché sempre più industrioso aspira continuamente a maggior perfezione e, anelando sempre a una santità maggiore, non dirà mai basta.
Che dirà il buon Gesù ad anime così desiderose di piacerGli perfettamente? Non potrà certamente fare a meno di proporre Se stesso come esemplare e presentar loro le Sue proprie azioni, perché Lo imitino. Felice chiunque l’abbia ascoltata e fatta sua questa verità così sublime! Egli non ha più bisogno di altre motivazioni, o esortazioni, per operare con ogni perfezione: il suo modello è Cristo che vuole fedelmente imitare.
Quando un’anima, nell’eccesso del suo fervore, si spoglia di ogni cosa creata, per vivere povera e nuda con il povero e nudo suo Redentore; quando disprezza tutto ciò che il mondo ama, quando desidera essere tenuta per sciocca e insensata; quando desidera soffrire villanie ed insulti per il solo motivo: perché Gesù ha fatto e patito così, questo è l’amore il più perfetto a cui possa arrivare un’anima qui in terra.
E se generalmente l’amore non va disgiunto mai da qualche specie di follia, quale follia più bella di questa, che, lasciando il proprio modo di vedere, fa suo solo quello di Cristo, che non può fallire? Non più badando alle sue basse inclinazioni, mira solo a servire e ad imitare il suo divino Maestro, senza pretendere altro premio dai suoi servizi che la gioia di averLo servito, né desiderare altra gloria per averLo imitato, che questa sola di trovarsi felicemente trasformato nell’immagine viva di Lui, che l’ha creato e redento.
A questa trasformazione gloriosa ci sprona sollecitamente l’amante Cuore di Gesù. Avendo Egli voluto rendersi in tutto simile a noi, che chiama suo fratelli e sue sorelle, potremo noi, Sorelle mie, ricusare di renderci somiglianti a Lui che è il nostro fratello primogenito, l’onore della nostra stirpe e che deve essere la mèta ultima di ogni nostro desiderio?
Ascoltiamo, dunque, quali siano le lezioni che Egli dà ad un anima, la quale si propone di seguirLo nel modo sopra indicato.
La prima è questa: si spogli interamente di quanto possiede e ne dia il prezzo ai poveri e poi si metta alla sequela di Gesù, che non ha di proprio nemmeno un sasso, ove riposare la testa. Non voglia costui possedere né oro né argento né porti bisaccia per via né abbia due tonache né calzari né quanto altro può sembrare non strettamente necessario alla vita.
Perché darsi tanto pensiero per ciò che riguarda il corpo: come vestirlo? come alimentarlo? «Il mio cibo – dice Cristo – è fare la volontà del Padre; e non è di pane soltanto che vive l’uomo, ma di qualunque parola che esce dalla bocca di Dio».
L’anima imitatrice di Cristo non aspetti favori e riconoscenza dal mondo per il suo ben fare. Gesù Cristo, che aveva percorso tutta la Giudea beneficando e sanando tutti, una volta fu lì lì per essere lapidato dai suoi stessi concittadini, ai quali disse: «Molte opere buone io ho fatto tra voi in virtù del Padre mio, per quale di queste buone opere volete lapidarmi?».
Quando anche il fervente amante di Gesù può dire altrettanto, gioisca pure e si ritenga beato nel vedersi odiato, disprezzato e perseguitato per la giustizia. Pensi egli allora, e si incoraggi, all’esempio di Cristo, il quale disse: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se voi foste del mondo, il mondo vi amerebbe come cosa sua, ma poiché non siete del mondo, avendovi Io tratto fuori da esso, cioè: perché non vivete come vive il mondo, avendovi Io insegnato a vivere una vita più mortificata e perfetta, il mondo vi odia. Ma non temete: ricordatevi della parola che vi ho detto: – Il servo non è da più del padrone e di conseguenza se hanno perseguitato me, che sono il padrone, perseguiteranno voi pure che siete i miei servi».
Chi poi, per amore di Gesù, non teme gli odi, i furori, i tormenti del mondo, dovrà temere i disprezzi e le villanie? Neppure questi mancheranno ai seguaci di Cristo, poiché Gesù stesso dice: «Se Io, padre e capo dell’umana famiglia, fui chiamato Beelzebul, cioè diavolo indiavolato, quanto più saranno disprezzati quei di casa mia». Chi ambisce di essere amico o familiare di Gesù, si stimerà onorato nel patire tali disprezzi e giudicherà certamente dono singolarissimo del cielo, non soltanto il credere in Cristo, ma anche il poter patire per Lui qualche cosa.
Dal fedele imitatore di Cristo, poi, deve essere ben lungi ogni pensiero di alterigia e di superbia. «Chi di voi vorrà essere il primo – Egli dice – si faccia vostro servo, perché anche il Figlio dell’uomo è venuto a servire, non ad essere servito». E dopo aver lavato i piedi ai suoi apostoli, «Sapete – disse – che cosa ho inteso fare? Vi ho dato l’esempio, perché facciate anche voi come ho fatto Io e sarete beati, se lo farete».
Sì, veramente beati, Sorelle mie, saremo prima qui in terra e poi eternamente in cielo, se ci impegneremo ad imitare Gesù come Egli c’insegna.
Qual gioia infatti, qual purissima gioia è per un’anima fedele, il vedere l’immagine del Figlio di Dio fatto uomo, non scolpita in marmo, non in bronzo, ma in tutte le sue potenze, nei suoi sensi e soprattutto nel suo cuore? VederLo, ricopiarLo e quasi raffigurarLo in tutte le sue operazioni. Noi beati già qui in terra.
La beatitudine, poi, del cielo consisterà nell’essere in tutto simili a Gesù allorché, il nostro corpo, trasfigurato, verrà configurato alla luminosità del Suo e lo vedremo qual’è in se stesso, vero Dio e vero Uomo. Noi beati ormai eternamente nel cielo!
Ma prima, qui in terra, conviene ricopiare l’immagine di Gesù Crocifisso, se vogliamo poi in cielo ricopiare la Sua immagine gloriosa; perché, come dice S. Paolo, verremo insieme a lui tanto conglorificati, quanto insieme con Lui avremo prima patito.
L’impresa è difficile, ben lo comprendo, Sorelle mie, alla nostra inferma natura, ma d’altra parte è la mèta più sublime a cui si possa aspirare e che Gesù abbia potuto insegnarci.
Se Egli ci invita a codesta Sua imitazione, volete che ci neghi poi la Sua grazia per arrivarci? No, certamente.
A Voi, dunque, o Divino Esemplare, io mi rivolgo con grande fiducia e poiché voi mi invitate ad assomigliarVi, io non voglio essere né pigro né trascurato nel ricopiarvi; ma che posso io fare senza il Vostro aiuto? Venite Voi dunque, o mio dolce Gesù, e stampatevi tutto in me, imprimetevi come sigillo sul mio braccio e su tutte le mie opere; come sigillo sul mio cuore e su tutti i miei affetti, perché se l’amore è forte come la morte, e l’impegno di assomigliarVi mi renderà quasi morto al mondo, io vivrò, quasi sepolto, a tutto ciò che non sia Voi e la Vostra perfetta imitazione. Amen.