AMORE DI GESÙ ALLA SANTA UMILTÀ.
(Terza Istruzione)
Grande amore dimostrò costantemente Gesù Cristo, Signor nostro, per la santa umiltà, sia nelle umiliazione che Egli pazientemente ha sofferto sia nelle umiliazioni che Egli si procurò da Se stesso, come abbiamo meditato nelle due istruzioni precedenti. Ma più ancora ci mostrò il Suo amore per l’umiltà, come vedremo questa sera, nelle umiliazioni che con eroica generosità non evitò, quantunque potesse farlo molto facilmente. In verità, se cercare le umiliazioni quando non vengono è atto coraggioso, il non impedirle quando esse stesse ci vengono a trovare, è atto di maggior sicurezza, poiché nel primo caso ci può essere illusione e una più fine superbia; nel secondo invece, ordinariamente, non vi è né l’una né l’altra.
Aggiungete che il primo atto, quello cioè di cercare le umiliazioni, tante volte non può esercitarsi senza mancanza o del prossimo o nostra; il secondo, cioè quello di non impedirle, non è quasi mai un difetto, e spesso non è nemmeno difetto in chi ci umilia.
Gesù Cristo, vero maestro di umiltà, ci ha dato molti esempi del primo caso, andando Lui stesso spontaneamente incontro a molte umiliazioni, ma del secondo caso ci ha voluto lasciare assai più esempi, perché conosceva che per noi era più facile e più sicuro a praticarsi.
Guardiamo, dunque, ancora una volta, al nostro divino Maestro ed esemplare di santa e profondissima umiltà, e vediamo a quante umiliazioni Egli non è sfuggito, per incoraggiare noi, col Suo esempio, a fare lo stesso.
Gesù Cristo per il grande amore che porta alla madre di tutte le virtù, all’unico e stabile fondamento di tutta la perfezione, voglio dire alla Santa umiltà che aveva gettato profondissime radici nel Suo cuore, per poter essere più umiliato, ricusa e rinunzia generosamente a tutto quell’apparato esteriore di gloria, di onori e di preminenze che poteva avere dagli uomini e che Egli per tante ragioni si meritava.
Non fece Egli come coloro che vanno alla ricerca degli onori, i quali in ogni loro azione non mirano che a conseguire stima dagli uomini.
Egli, nel Suo operare, non mira che a fare del bene agli altri e a far piacere al Suo Divin Padre, perciò non vuole accettare nessuna umana benemerenza, benché Gli sia dovuta.
Infatti, il buon Gesù non meritava forse ringraziamenti e lodi da quel lebbroso, che aveva risanato con il solo tocco della mano? La lebbra è una malattia così vergognosa ed affliggente, che ricopre tutto il corpo di schifose squame e manda un tale fetore che obbliga chi ne è infetto ad abitare fuori della città, a vivere in campagna, segregato dal consorzio degli uomini, perché nessuno può tollerare di stare in compagnia di un tale malato. Chi conosce tutto ciò, non può fare a meno di dire che l’essere liberato e guarito da questa malattia, debba esaltare con infiniti ringraziamenti e lodi chi operò un tale beneficio in suo favore.
Gesù Cristo invece, perché veramente umile di cuore, comanda al lebbroso risanato di non dire nulla a nessuno del favore ricevuto, per non avere occasione di essere magnificato. Gli impone piuttosto di andare dal sacerdote a presentare quell’offerta che Mosè ha comandato.
Quale applauso non poteva Gesù meritarsi per la improvvisa guarigione di quel paralitico, che da trentotto anni giaceva presso la piscina di Siloe, perché in tanto tempo di così dolorosa malattia non aveva trovato una mano pietosa, che lo aiutasse a tuffarsi in quelle acque, dopo che l’angelo era disceso dal Cielo ad agitarle? Ma Egli è umile di cuore, e perciò risana quel poverino con tanta dissimulazione che neppure l’infermo da Lui risanato riesce a riconoscerLo. Gesù, infatti, per schivare ogni lode, si era ritirato e nascosto tra la turba presente.
Qual gloria sarebbe venuta al Divin Salvatore se si fosse saputo della Sua trasfigurazione sul Tabor! Certo, sarebbero accorse persone da ogni parte per vedere Colui che portava in fronte gli splendori della divinità; molti si sarebbero anche dati alla Sua sequela e tutti, con mille espressioni di onore, l’avrebbero riconosciuto per vero Messia. Ma la prima cura che Gesù ebbe, fu quella di proibire ai Suoi tre discepoli prediletti, che ne erano stati spettatori, di farne cenno a nessuno, prima che Egli risorgesse da morte.
La turba da Lui sfamata con uno stupendo miracolo, nel deserto, cerca di farLo re, ma Egli fugge, solo, su di un monte. L’amante Gesù, però, non fuggirà quando questa turba ingrata vorrà farLo re da burla e di dolore, anzi andrà loro spontaneamente incontro, e si darà nelle loro mani con allegrezza. Ma ora si tratta di farlo re; di riconoscerLo loro capo, di stare a Lui sottomessi come a loro sovrano, si tratta, insomma, di esaltarLo e onorarLo, ma l’umiltà del Suo cuore rifugge da simili esaltazioni.
Il demonio stesso cerca di acclamarLo santo, sia che voglia farLo per darGli occasione di vanità, sia per sapere da Lui se Egli era realmente il Figlio di Dio. Ma Gesù lo minacciò perché tacesse e partisse subito da quell’anima in cui abitava. Generalmente non permetteva ai demoni di proclamare che Egli era il Cristo.
Ma chi sa dire quanto costasse cara al buon Gesù questa Sua umiltà? I demoni odiandolo come giusto, e non temendolo come loro Signore, congiuravano con gli ebrei e gli procuravano tanti affronti, che la malizia umana non avrebbe saputo inventarne altri.
Voi stupite, Sorelle mie, a così profonda umiltà del cuore di Gesù, ma non è ancora tutto qui. Sempre per allontanare ogni motivo di stima e di onore, Egli cerca perfino di oscurare la virtù manifesta della Sua divinità, attribuendo i Suoi miracoli alla fede altrui.
Risana, infatti, la donna emorroissa e subito aggiunge che la sua fede l’ha salvata; rimette i peccati alla pubblica peccatrice, la Maddalena, e ripete lo stesso: la tua fede ti ha salvato; risuscita da morte la figlia del capo della sinagoga, ma per impedire che qualcuno lo lodi, dice che la figliuola non è morta ma dorme.
Per Sé sceglie il nome più Umile, più abbietto che possa con verità convenire alla Sua divina Persona: il Figlio dell’uomo.
O Gesù, Figlio dell’uomo, ma insieme Figlio del Dio vivo, quanto bene Voi praticate il precetto dato a me di non suonare, come si suoi dire, la tromba quando faccio qualche cosa di bene, e di nascondere, se fosse possibile, alla mia mano sinistra quello che faccio con la destra.
Eppure in Voi non vi era alcun pericolo di vanità, mentre io per una lode, per una approvazione, per un nulla mi inorgoglisco subito, mi compiaccio di me stesso, mi gonfio e mi reputo qualche cosa di grande.
Voi sfuggite con tanta premura, le lodi umane ed io, invece, quasi con altrettanta premura le procuro cercando mille astuzie. Voi siete umile, io superbo; Voi amate sinceramente l’umiltà ed io amo la vanità; in una parola, Voi non volete la stima degli uomini, perché avete quella di Dio e questa Vi basta.
Io al contrario cerco avidamente le approvazioni umane, perché Dio non occupa tutto il mio cuore; cerco chi mi giustifichi nelle mie azioni, perché il mio operare non è approvato da Dio. Miserabile che io sono! Se Dio non approva ora le mie opere, non potrà nemméno premiarle nel giorno del giudizio; se Dio non è il Dio del mio cuore, non vorrà neppure essere la mia eredità nel Cielo.
Dunque, dopo aver faticato tutta la vita per piacere ad uomini miserevoli, non potrò aspettarmi nella altra vita se non quel terribile: «Hai già ricevuto la tua mercede». Sentenza con cui Voi getterete nella eterna confusione tutti i superbi, i quali posero la loro gloria in tutt’altro, fuorché in Voi. Intendo ora perché l’apostolo Paolo mi avvisò di non porre la mia gloria negli uomini, ma se ho di che gloriarmi, mi glorii in Voi solo».
Ecco, con quale costanza Gesù rifiutò la gloria degli uomini, ma non rifiutò le loro umiliazioni; ogni volta che la maggior gloria di Dio e la necessità del Suo apostolato non Lo costringevano a fare altrimenti.
Voi Lo vedete nella Sua povera casa di Nazaret; che cosa operava Egli di grande? Questo solo il S. Vangelo ci dice: ubbidiva a Sua Madre e a Suo padre putativo S. Giuseppe; e li si applicava a lavori umili, quali possono esservi in una casa di poveri genitori.
Ignora Egli forse, quali umiliazioni Gli sono riservate dai Suoi nemici per tale tenore di vita? No, certamente: anzi, sa che era chiamato, il fabbro e il figlio del fabbro; sa che sarà tenuto per audace e presuntuoso, poiché, senza aver studiato, si mette ad insegnare.
Comprende benissimo tutto questo il buon Gesù, sapienza incarnata, eppure non dieci, non venti, ma trenta interi anni persevera in questo tenore di vita, così spregevole agli occhi del mondo. Durante questo tempo Egli non fa né prediche né miracoli, non compone volumi scritti con i quali avrebbe potuto facilmente guadagnarsi la meraviglia di tutti i secoli.
Quale mistero profondo! O Casa di Nazaret, vera accademia per tutto il genere umano, ma più per me, dove un Dio Maestro dà lezioni per trent’anni di una filosofìa mai intesa, con la quale insegna all’uomo a farsi stolto per divenire sapiente.
Qui le riflessioni mi si affollano alla mente, Sorelle mie, e non mi sarebbe difficile dire molte cose. Ma piuttosto che dire, procuriamo di fare, poiché qui non giovano le parole ma i fatti; il nostro buon Maestro non insegna con precetti ma con esempi. SeguiamoLo col pensiero, senza perderLo di vista.
OsservateLo là in Gerasalemme, al cospetto di Erode, il giorno della Sua morte. Questo crudele tetrarca desiderava da tempo vederLo: un miracolo solo che Egli faccia, una parola sola che dica, può essere liberato dalle mani dei giudici che Lo vogliono morto.
Gesù, sapienza increata, non solo non opera il miracolo desiderato, ma neppure proferisce parola, e perciò è disprezzato dal re, disprezzato dal suo esercito, e viene beffeggiato, come pazzo, con uno straccio di porpora sulle spalle. Sorelle mie, non è questo un amore generosissimo all’umiltà? Egli con una sola parola avrebbe potuto risparmiarsi un’umiliazione così grande.
Ma vedeteLo ancora sulla croce questo divino Maestro. Egli dovrà dare l’ultimo respiro su quel patibolo infame e morire nell’obbrobrio e nella maledizione di tutto il popolo; eppure avrebbe potuto usare la Sua onnipotenza e scendere giù dalla croce, come un risorto da morte. Se lo avesse fatto, avrebbe forse guadagnato quel popolo alla Sua sequela. Sono i Suoi stessi nemici che Gli propongono una simile soluzione: «Se è Figlio di Dio, scenda ora dalla croce e noi Gli crederemo». Ma Cristo, sapienza eterna, non discende dalla croce e su di essa, maledetto e deriso, dà realmente l’ultimo respiro.
Anime religiose, riflettete bene due cose.
La prima: che Gesù Cristo è Dio e perciò, infinitamente sapiente, conosce quello che si conviene operare.
La seconda: che operando Egli in tal modo, procura veramente la maggior gloria del Padre, al Quale piace che sia deriso e maledetto sulla croce, come ora, che seduto alla Sua destra in Cielo, presiede con Lui all’universo, arbitro della grazia e della natura.
Dunque i pazzi siamo noi: che fuggiamo le umiliazioni, i disprezzi, le villanie, anche quando ci vengono spontaneamente a trovare; dunque noi col procurare lodi dagli uomini, non cerchiamo la maggior gloria di Dio, ma la nostra stessa gloria, che un giorno dovrà tornare a nostra confusione, come dice S. Paolo nella lettera ai Filippesi.
Soccorreteci dunque, Eterna Verità, perché nessuna vanità ci attiri e ci vinca. Stampate Voi, o Divino Gesù, nel mio cuore e nel cuore di queste mie Consorelle, i sentimenti del Vostro, anzi fate che i nostri cuori siano una sola cosa con il Vostro umilissimo Cuore; così noi, sempre intente a piacere a Voi solo, non cureremo i giudizi degli uomini; riterremo anzi vero beneficio se, per Vostro amore, ci capiti di patire contumelie, disprezzi, persecuzioni e ingiurie non meritate.
Se poi, Sorelle mie, volete raccogliere, da quanto abbiamo detto fin qui, come un mazzetto spirituale per la pratica, stabilite tre cose:
1°) Di avere di voi stesse un concetto sempre bassissimo, stimandovi proprio un nulla, tanto riguardo ai beni di natura, quanto a quelli più pregevoli della grazia. Tutti e due questi beni non sono vostri, perché vi sono stati dati: quale follia è inorgoglirsi della roba altrui! Aggiungete che è proprio dei primi beni il doverli perdere morendo, e dei secondi il poterli perdere per cattiva volontà, cadendo in peccato.
Questo, deve tenervi continuamente in santo timore, e quello, aprirvi gli occhi per non gloriarvi di una cosa che finisce nell’orrore di una sepoltura.
Gesù Cristo, che era impeccabile e che non doveva vedere la corruzione del sepolcro, confessa che quanto ha e quanto è, tutto è niente davanti al celeste Suo Padre, da cui tutto Gli è stato gratuitamente comunicato.
2°) Stabilite di desiderare sinceramente che anche gli altri vi stimino un nulla, perché sarebbe ipocrisia stimare un nulla voi stesse, e non volere che gli altri vi considerino altrettanto.
Fuggite, perciò, quanto potete, ogni vana lode, perché a voi non dovuta e perché non è vero onore quello che vien dato dagli uomini, i quali sono un nulla al pari di voi. Come abbiamo detto, Gesù Cristo fuggì sul monte quando volevano farlo re; né volle essere chiamato «buono», sebbene a Lui come Dio convenisse quel titolo.
3°) Stabilite di non fare e di non dire mai cosa alcuna che possa ritornare a vostra lode, se l’onore di Dio non richiedesse altrimenti. Ricordate che Gesù Cristo stette fino a trent’anni nascosto in una oscura bottega; non volle fare i miracoli che Erode, per sola curiosità desiderava; e innanzi ai tribunali, sebbene calunniato, non si difese. Se farete così anche voi, vi procurerete il premio che Gesù ha promesso ai Suoi cari seguaci e, dopo essere state umili con Lui sulla terra, sarete con Lui esaltate nel Cielo: ciò che desidero con tutto il cuore per ciascuna di voi. Amen.