Suore dell'Immacolata

Amore di Gesu alla santa umilta 1

 

AMORE DI GESÙ ALLA SANTA UMILTÀ

(Prima Istruzione)

Il più grave di tutti gli ostacoli che impedisce all’amore di Dio di stabilirsi nei nostri cuori, è la superbia; quel disordinato amore di noi stessi, per cui, dimenticando il Creatore ed i Suoi doni né lo adoriamo praticamente per quello che Egli è né Lo ringra-ziamo degnamente per i Suoi doni, tanto siamo lontani dall’amarLo come si conviene e per quello che merita!

Questo bruttissimo amor proprio, che tanto si oppone allo stabilirsi dell’amor di Dio in noi, nasce da due amori da noi già riprovati nelle precedenti istruzioni: l’uno delle ricchezze, l’altro dei piaceri, dei quali le ricchezze stesse sono dispensatrici. Infatti, vediamo continuamente che non si cercano le ricchezze, se non per aver più abbondanti mezzi per procurare agi, comodi, piaceri, alla nostra vita.

Ora è manifesto, e l’abbiamo sempre sott’occhio, che la persona che vive nelle delizie e negli agi, abituata ad avere se stessa per fine in tutte le fatiche e in tutti i sudori, viene, a poco a poco, a formare di se stessa, come un idolo profano, che adora, che serve, al quale sacrifica quanto essa è e quanto possiede, con grave offesa al suo Sovrano Creatore e Signore, come fecero gli Israeliti col vitello d’oro nel deserto.

Fin dai suoi tempi, il Santo re Davide, quando parla di peccatori favoriti dalla fortuna, osserva che essi non risentono nulla, o quasi nulla, dei travagli, ai quali va sottoposta la maggior parte degli uomini, e poi aggiunge subito che, proprio per questo, si è impadronita di loro la superbia.

E notate che non dice il santo Profeta che si siano essi (i peccatori) impossessati della superbia, ma che la superbia si è impadronita di loro; e ciò vuol dire che l’affetto più ingiusto, prende possesso di una creatura che Dio voleva tutta per sé. Questo spiega quanto abbiamo detto da principio: che la superbia è il maggior ostacolo allo stabilirsi nei nostri cuori dell’amor santo di Dio.

Dell’avarizia, invece, e dell’amore disordinato ai piaceri non si può dire lo stesso, perché questi due vizi altro non pretendono che aumento di ricchezze e godimenti di piaceri, ma non spengono completamente le fiamme del divino amore.

La superbia invece, ben più audace di queste, se la prende direttamente con DIO; tenta, come Lucifero, di levarLo di trono e spegne realmente in ogni cuore l’amore Divino.

Ecco il grande male che fa la superbia, ecco il vero ritratto dell’uomo superbo, che non pone in DIO la sua confidenza, ma spera nella moltitudine delle sue ricchezze e crede di poter prevalere con la sua vanità.

Volendo Gesù Cristo continuare a ristabilire sulla terra l’amore del Suo divin Padre, per farlo rivivere in tutti i cuori, doveva necessariamente combattere il grande ostacolo dell’amor proprio o della superbia, che vogliate dire, il quale più di ogni altro gli faceva resistenza nel Suo amoroso disegno. Egli sconfisse questo poderoso nemico, professando un grande amore alla Sua contraria virtù, voglio dire alla santa umiltà.

Amore che ci ha comprovato chiarissimamente:

1) nelle umiliazioni che sostenne;

2) nelle umiliazioni che Egli stesso si procurò;

3) in quelle che Egli non evitò, come vedremo, a DIO piacendo, in altri tre ragionamenti.

Dice S. Bernardo che la via dell’umiltà è l’umiliazione, poiché è impossibile che sia umile colui che non può soffrire di essere umiliato.

Il nostro divin Salvatore fu umiliato ancor prima di nascere. La madre di Lui, gravida, si trovava pellegrina a Betlemme, cerca un albergo dove alloggiare, ma ad ottenerlo non bastano né il diritto che aveva di cittadina né le grazie del suo volto verginale né il prezzo che dovette offrire a tal fine.

Avrebbe invece dovuto bastare il vederla in tale stagione d’inverno, ad ora tarda, giovinetta di quindici anni vicinissima al parto. Ella, purtroppo, soffrì la ripulsa e così, se ben si considera, l’ingiustizia venne recata non tanto a Lei, quanto al suo benedetto Figlio.

Comunque sia la cosa, il fatto è che per nessuno dei due si trovò albergo, e in una stalla dovette fare la Sua comparsa nel mondo quel celeste Bambino, che Dio aveva costituito Re del monte santo di Sion, affinché Vi promulgasse la nuova legge e annunciasse indulgenza ai prigionieri, libertà agli schiavi, come aveva predetto Isaia.

Ma questo è poco. Passati solo otto giorni da questa nascita così oscura, ecco per Gesù preparata una nuova e più grande umiliazione. Viene Egli circonciso come gli altri figli di Abramo, soffrendo Egli un taglio, il cui dolore è nulla, di fronte alla confusione che Gli causa. Infatti, questo taglio era, per sé, una prova legale che il bambino nasceva figlio di Abramo e, per conseguenza, nasceva peccatore come il padre, e come lui bisognoso di redenzione.

Ma, Dio buono, che aveva di Abramo in Se stesso il nostro Gesù, se non la prima materia, quella carne, cioè, la più pura di tutte le vergini, Gli aveva offerto con un atto purissimo del suo pensiero, e che solo lo Spirito Santo aveva formato in quel corpo immacolato? Quale peccato poteva esservi in Gesù, che il Padre divino ha santificato con la Sua medesima santità sostanziale, e ha mandato nel mondo, affinché fosse per noi: sapienza, giustizia, santificazione, redenzione, come dice S. Paolo? Eppure, Egli soffre il marchio dei peccatori, e con quanto gaudio lo soffre, e con quanta consolazione del Suo cuore! Gode così di vedersi, in un senso ancor più stretto, simile agli uomini che Egli vorrà chiamare fratelli.

Egli si compiace di una simile umiliazione, per cui compare dinanzi al Padre con quella nota di ignominia che Lo dichiara debitore di tutti i peccati del mondo, dei quali ha voluto addossarsi il peso.

Grande lezione è questa, Sorelle mie, per noi che essendo per natura figli d’ira, e tante volte servi del peccato per nostra colpevole volontà, cerchiamo, tuttavia, non di rado, di comparire innocenti e di essere lodati, quasi fossimo operatori di opere giuste.

Ma lasciamo da parte, altri oltraggi della Sua età infantile, ed affrettiamoci colà dove Gesù desidera vivere, per essere colmo d’improperi e di scherni: improperium expectavit cor meum .

Voi dunque, o mio Gesù aspettate gli obbrobri? Non dubitate, tanti ve ne preparano gli uomini, che il Vostro desiderio, sebbene immenso, se ne dirà satollo. Tanto sarà il cumulo di dolori, di spasimi, d’ingiurie, di sfregi, di oltraggi, che Vi piomberà addosso, che a Voi stesso sembrerà troppo : Ego autem humiliatus sum nimis. Troppo veramente, per Voi innocente, ma non troppo per il Vostro amore, non troppo per il mio gran bisogno.

Venne umiliato nella dottrina il nostro divino Maestro Gesù, in cui si trovano tutti i tesori della scienza e della sapienza di Dio. «Egli è pazzo – dissero i Giudei, – che state ad ascoltarlo?». Intorno alla dottrina fu pure processato da Caifa, sommo sacerdote, e gli ascoltatori si domandavano come sapesse Egli di lettere, se non aveva studiato.

Fu calunniato nei costumi, Lui: santo, innocente, puro, segregato dai peccatori e da tutto ciò che è colpa; ecco, il buontempone, il mangione, si diceva dal popolo e dai farisei; ecco il bevitore di vino, l’ubriacone, l’amico dei pubblicani e dei peccatori.

Fu tenuto dagli ebrei come eretico: Egli l’autore della nostra fede, il grande pontefice eterno della nostra dottrina cristiana. «Non diciamo noi bene -esclamavano i dottori della legge – che Tu sei samaritano?»

Fu spacciato per indiavolato, aggiunge Marco; Egli che era venuto – come dice S. Paolo – a strappar le armi, in cui confidava satana, e a cacciarlo fuori dal mondo, dove, quel principe, signoreggiava da tanto tempo; per trasportare noi dalla podestà delle tenebre nel regno luminoso dell’amor Suo.

Il suo corpo verginale e santissimo poi, fu coperto di sputi, fu schiaffeggiato, fu esposto nudo, agli sguardi procaci di turbe senza costume.

Che più? Gesù Cristo, vita vera, sostanziale, venuto al mondo per dare agli uomini la vita della grazia, e darla nella misura più abbondante, è giudicato in pieno sinedrio, presente il Sommo Sacerdote, reo di morte. Ma in che modo fu definito reo? Reo a tal punto, che non si stimò necessario per Lui un regolare processo; reo a tal punto che non si stimò conveniente scambiare la Sua vita con quella di un noto ladro ed omicida, quale era Barabba.

O re della gloria, Gesù mio bene, mi commuovono e mi fanno piangere tanti vili disprezzi da Voi affrontati, ma essi sarebbero per me senza frutto, se non entrassi nel Vostro cuore a considerare la grande rassegnazione, anzi l’allegrezza con cui li avete subiti. Ben diversamente io mi sono comportato, quando mi sono capitate delle umiliazioni; e così mi sono attirato angosce, pene e malevolenze, che mi hanno non poco inquietato la vita.

O se mi fossi prima d’ora applicato di proposito a studiare il Vostro cuore e il Vostro amore per le umiliazioni! Quanto meno sarei dispiaciuto ai Vostri occhi santissimi; quanto meno avrei sofferto dolori inutili!

Io lo mediterò almeno da qui innanzi continuamente; e frutto di questo studio sarà il tollerare, per amor Vostro e con rassegnazione, ogni disgustoso trattamento che mi venga fatto dal mio prossimo, perché ho meritato di peggio; anzi propongo di tollerarlo, a Vostra imitazione, con allegrezza, perché dovrà tornarmi a gloria e consolazione eterna.

Gesù, dunque, nato nell’abiezione, vissuto nel disprezzo, dovrà anche morire oltraggiato? Nessuno oltraggia un morente, neppure l’assassino che muore; e ci sarà qualcuno, di costume così inumano, che oltraggi il moribondo mio Bene? Si stenterebbe a crederlo, se i Vangeli non facessero fede.

Gesù viene confitto in croce, nudo, fra due ladri, quasi per mostrare che Egli è il peggiore fra di essi, e poi, mentre pende dal trono infausto per tre ore, agonizzante, mentre versa a rivi dalle lacere vene il Suo sangue, c’è chi Lo dileggia, scuotendo il capo; chi lo punge con motti e frizzi dicendo: «Salva ora te stesso, tu che a tanti altri hai dato salute; discendi ora dalla croce, se puoi, e noi ti crederemo Figlio di Dio». Perfino i due compagni del Suo supplizio Gli rimproverano le stesse cose, come si legge in S. Matteo.

Ma Gesù, intanto, che fa? Che dice? Gesù è umile di cuore, e quanto agli improperi, che gli dicono contro, si diporta come un uomo che non ode e che non ha parole per rispondere. Sì, Gesù maledetto non maledice; Gesù coperto di tante villanie, non si sfoga con minacce; Gesù si dimostra, insomma, non solamente come l’ultimo fra gli uomini, ma come il più abietto fra gli animali; come un verme vile che ogni piede, anche villano, può calpestare: -ego autem sum vermis et non homo – come disse il profeta Isaia.

Facciamo noi lo stesso, Sorelle mie, quando ci tocca di dover soffrire qualche torto, qualche ingiuria, qualche strapazzo o cattivo trattamento da qualcuno? Accettiamo noi con allegrezza l’umiliazione, quando veniamo umiliati in qualche modo? Sopportiamo noi, come Gesù, con pace e rassegnazione, le ingiurie? Tacciamo noi negli affronti?

Che gran confusione per noi a tale confronto! Qual differenza tra noi e il nostro divin Maestro! Gesù tace e noi mormoriamo; Gesù non minaccia e noi aspettiamo con grande desiderio l’occasione per vendicarci e per rendere: ingiuria per ingiuria, umiliazione per umiliazione.

Eppure Gesù è l’immagine viva del Dio invisibile, lo splendore sussistente della Sua gloria, degno perciò d’infinito rispetto come il Padre.

Noi, al contrario, siamo esseri molto vili, composti di un’anima, che ha per fondo dell’essere suo il niente, e di un corpo che ha per padre la putredine, al dire di Giobbe, e per madre e sorella i vermi.

Di più, Gesù non ha mai commesso, né potrà mai commettere, alcun peccato; noi, al contrario, abbiamo peccato mille volte, e con tanti peccati commessi ci siamo meritati, moltissime volte, la confusione eterna dei riprovati e, quel che è più abominevole, simulando esternamente umiltà, coviamo internamente, nel cuore, la superbia, che ci rende insopportabile ogni cosa.

O cuore umilissimo del mio Gesù, Voi solo potete rimediare ad un male così invecchiato e di tanto pericolo.

Se il Vostro esempio non ci rimedia, io non dubito che il mio male sia senza riparo.

Se questa medicina non cura la mia superbia, non so che cosa la possa curare.

Così mi assicura S. Agostino, e così finisco io, lasciando che voi, Sorelle mie, prendiate quelle risoluzioni e facciate quei proponimenti che, alla luce di quanto si è detto, il vostro cuore vi suggerirà come più opportuni. Amen.