Amore di Gesu alla poverta 1

 

AMORE DI GESÙ ALLA POVERTÀ

(Prima Istruzione)

Gesù Cristo il Figlio di Dio fatto uomo, come voi sapete, Sorelle mie, è il nostro Maestro. Egli è venuto dal cielo per vestirsi della nostra carne, farsi simile a noi, per insegnare agli uomini, sia con l’esempio, che con la dottrina: a conoscere e servire Dio, nostro e Suo divin Padre.

Questo è il fine della nostra creazione, che noi, accecati dalle nostre passioni e dalle cose del mondo, non ci davamo alcuna premura di conseguire, affinché potessimo, dopo averlo conosciuto, amato e servito come si conviene su questa terra, raggiungerlo nel cielo.

È, dunque, giusto che noi non ci accontentiamo di una conoscenza sommaria di questo nostro Divin Maestro, ma è necessario che studiamo tutte singolarmente le grandi lezioni che Egli si degnò di lasciarci, sia in opere che in parole, e che tutte cerchiamo di ponderare attentamente, con applicarle a mano a mano, a noi stesse, per vedere:

se camminiamo veramente sulla retta strada che Egli ci insegnò;

se facciamo realmente ciò che ci disse e comandò;

se possiamo noi sperare di condividere un giorno con Lui, e con tutti gli altri santi, l’eterna ricompensa del Paradiso.

È per questo che io ho pensato di considerare insieme a voi, le belle lezioni di amor di Dio e le divine istruzioni che Gesù Cristo ci fece nel corso della sua vita mortale; gli esempi sublimi di sante virtù che ci diede nel divino servizio, perché possiamo imparare, col Suo divino aiuto che dobbiamo sempre implorare, la maniera di regolare e di correggere i nostri difetti, il nostro modo di vivere, per essere conformi a Lui in vita, se vogliamo poi avere parte della Sua gloria nel Cielo.

L’Apostolo S. Giovanni ci ammonisce di non amare il mondo né le cose che sono del mondo, perché se qualcuno ama il mondo, la carità di Dio non è né può essere, in lui. Ora le cose che sono in questo mondo e che lo rendono nemico di Dio, sono quelle tre famose concupiscenze delle quali parla S. Giovanni, cioè: amore ai piaceri della carne, amore alle cose, per cui si vorrebbe possedere tutto quanto si vede, e amore o desiderio di stima e di vani onori, per conseguire i quali s’impiega la maggior parte della vita. Amori così disordinati, così direttamente opposti al santo amore di Dio, che dove essi si trovano, non vi potrà mai essere carità verso Dio.

Ma sia lode al nostro divino Maestro Gesù Cristo, il quale, venendo in terra, apportò rimedio a questi perversi amori e noi, prestando orecchio alle lezioni che ci diede di celeste dottrina:

a) impareremo un amore sommo alla santa povertà, con la quale si combatte il disordinato amore che si ha per i beni caduchi di questa terra;

b) impareremo un amore costante alla mortificazione, con la quale si guarisce il disordinato affetto dei piaceri terreni;

c) e finalmente impareremo un amore tenero alle umiliazioni, con le quali si ripara l’ardente desiderio di stima e di onori che spesso si nutre nel cuore.

Cominciamo questa sera a svolgere la prima lezione che Gesù ci dà, con il grande amore che Egli mostra per la santa povertà. Ma prima, o mio divin Salvatore e Maestro, che ve ne state chiuso nel santo Tabernacolo, benedite la mia parola, perché: viva e penetrante più che una spada a due tagli, giunga al mio cuore ed al cuore di chi mi ascolta.

Volendo, dunque, Gesù Cristo ristabilire su questa terra l’amore al divino Suo Padre, doveva innanzi tutto combattere il primo ostacolo, cioè l’amore alle ricchezze. E questo Egli fece, professando Egli stesso un amore sommo alla povertà, la quale Egli amò rispettosamente come Madre, puramente come sorella, teneramente come sposa.

L’amò come Madre, scegliendo di nascere non da una ricca signora, come avrebbe potuto, la quale Gli avrebbe dato tutti quei beni che rendono facile e delicata la vita, ma da un’umile giovane, o se vogliamo dirlo con parola più energica, dalla stessa Povertà.

Egli viene alla luce lontano dalla casa materna, rifiutato dai pubblici alberghi, costretto a ricoverarsi in una grotta dove hanno libero accesso i venti più agghiaccianti della stagione e le bestie più vili dei campi; per culla non ha che un vile presepio di animali: fieno e paglia pungente sono il suo letto.

Voi certamente vi intenerite, o mie dilettissime Figlie; e un vivo desiderio vi strugge di vedere il vostro re, meno indegnamente alloggiato.

Sì, è giusta la vostra tenerezza, né meno ragionevole sono i desideri del vostro cuore. Ma tali non sono i desideri del Sacro Cuore di Gesù. Egli da tutta l’eternità s’era eletta la Povertà per sua madre, aveva Egli stesso con ordine, disposta la trama delle vicende umane, in modo da venire a nascere in tali circostanze di luogo e di tempo.

Immaginate, poi, se poteva l’amante suo Cuore non amare una madre sì cara, eletta veramente fra mille, o desiderare altra accoglienza, nel mondo, diversa da quella che Egli, nella Sua infinita sapienza, si era da tanti secoli preparata. Come Gli sono care quelle paglie; cari quei pannicelli; cara, anzi venerabile, quella povera Madre, che in tanti disagi Lo ha dato alla luce! E non vi pare questo: amare ed onorare la povertà veramente come Madre?

Io so, che Salomone onorò molto sua madre Betsabea, quando egli si alzò dal suo trono regale per andarle incontro e innanzi a lei si inchinò e la fece sedere sopra un ricco trono alla sua destra; ma Salomone non le conferì l’onore più stimabile per Betsabea, che è appunto quello di essergli stata madre. Gesù Cristo, invece, conferì veramente un tale onore alla povertà, come abbiamo veduto, né permise che le mancasse l’altro onore del trono e del regno, come possiamo brevemente vedere, se mi seguite con attenzione.

Un bel giorno Gesù sale sulla cima di un monte e, a voce alta, proclama gli onori e le ricompense che tiene preparati per i Suoi prediletti discepoli. Di questi onori, di queste ricompense, chi viene qualificato di più? Chi viene nominato per primo? I poveri, la santa Povertà. «Beati i poveri di spirito, Egli dice, poiché di loro è il regno dei cieli ». E questo regno non lo possederanno in un modo comune, ma lo avranno nel modo più onorato e privilegiato che si possa immaginare, perché essi stessi siederanno a giudicare con Lui, Giudice eterno, gli angeli ribelli e gli uomini peccatori.

Questo ha promesso Gesù Cristo stesso a quegli scalzi suoi apostoli, ch’Egli aveva chiamato, per la maggior parte, della barca e dal remo alla Sua sequela; e questa promessa viene comunemente estesa dai Santi Padri a tutti coloro che, a somiglianza degli apostoli, potranno dire a Cristo di aver lasciato tutto per seguirLo. Ditemi, sorelle, poteva Gesù onorare di più sua Madre, voglio dire, la Povertà?

L’avrebbe tanto onorata, se l’avesse meno amata? Conviene, dunque, dire che Gesù ama la Povertà con sommo amore, e che ne ha grandissima stima.

Ma ecco intanto, Sorelle mie, aperto un altro adito prezioso alla nostra riflessione ed alla riforma della nostra condotta. Voi pure, – lo ricordate? – lasciando il mondo, vi siete quasi scelta la Povertà come madre: e questa madre, sollecita, viene ogni giorno a vestirvi ed a cibarvi con più tenerezza, che non facesse la vostra madre naturale.

Date dapprima uno sguardo, ma non passeggero, al vostro cuore per vedere se è d’accordo con la lezione del divino Maestro. Il vostro cuore, rispettoso per una tal madre (la povertà), dovrebbe imitare il cuore di Gesù, e non vergognarsi di lei, né delle cose ch’essa vi presenta da usare; non rifiutare, cioè, le vesti più rattoppate, le camere meno comode, i cibi più grossolani e via dicendo.

Secondariamente, il vostro amore alla povertà si dovrebbe mostrare in un positivo trasporto e in una stima reale per tutto ciò in cui essa meglio risplende.

Dovreste, perciò, desiderare per voi e amare più di ogni altra cosa, quanto vi fosse in casa di più povero e di più incomodo.

Dovreste stimare i poveri, come vostri fratelli più bisognosi, e con essi dovreste trattenervi e conversare assai più volentieri, che non coi potenti e i ricchi.

In terzo luogo, se il vostro cuore fosse concorde cogli insegnamenti di Gesù Cristo, voi stimereste ed amereste, come Egli fece, la povertà non solamente nelle cose, cioè nelle privazioni che essa comporta, ma anche in se stessa; e quanto essa vi apparisse nel suo essere: più lacera, più mendica, tanto vi dovrebbe essere più amabile e cara. Ma sentimenti così nobili e divini, da chi mai si ebbero, prima che voi l’insegnaste, o mio divino Maestro? Noi felici se, mettendoli in pratica, ricopieremo in noi stesse l’immagine di quella povertà, che voi avete sempre onorata come madre!

Allora potremmo aspettarci, con fiducia, quel premio che voi avete promesso ad una tal madre, nella persona di chi la pratica.

Ma Gesù Cristo, mie dilettissime Figlie, non amò solo la povertà, con amore rispettoso, come madre, ma l’amò ancora con puro amore, soccorrendola come sorella.

Converrà, dunque, che Gesù patisca privazioni anche del necessario alla vita; converrà che lavori e che sudi per sostentare la povertà, sua sorella.

E così avvenne, quando Egli, bambinello ancora di pochi mesi, fu portato in Egitto, per sottrarLo alle insidie ed ai gelosi furori del vecchio Erode. In quelle barbare terre si trattenne sette anni, come sembra accennare S. Tommaso, o tre, come vuole Niceforo, o, come sembra meglio provato, soltanto un anno; è certo però, che colà Gli dovettero sovrabbondare le occasioni di patire. Viveva con Maria e S. Giuseppe, tutti e due non troppo agiati di beni di fortuna; fuggiti per di più di notte tempo, dalla propria casa, senza forse aver potuto prendersi e portare con sé quel poco che potevano avere; di più viveva in un paese idolatra, acerrimo nemico del nome ebreo.

Quante cose Gli dovevano mancare! I Santi Vangeli non ci danno notizie di questo tempo, ma S. Bonaventura non dubita di presentare alla nostra devota considerazione il Santo Bambino che domanda pane alla Madre ed Ella non glielo può dare, perché non l’ha. Con quale sentimento doveva Egli rivolgersi al celeste Suo Padre, e a Lui indirizzare le belle parole già proferite dal profeta Davide: «Io sono povero e mendico, Signore, aiutami».

Tali sentimenti dovrebbero avere pure le persone religiose, quando la loro madre, voglio dire la Congregazione, non può soddisfare le loro, benché lecite, esigenze. Unite allora il vostro cuore a quello di Gesù e ripetete anche voi giulive: «Adesso sì che veramente conosco di essere povera, che posseggo nulla in questo mondo all’infuori del mio Dio; e Voi, o mio Dio, che siete per me ogni bene, aiutatemi».

Il nostro divin Maestro Gesù Cristo non si contentò di non aver soccorsi dalla sua povertà, ma andò più innanzi e volle soccorrere la stessa povertà, come appunto un fratello soccorre la sua buona sorella.

È certo che Gesù, tornando dall’Egitto, esercitò l’arte faticosa del falegname, come si rileva dal Vangelo dove è chiamato «Figlio del fabbro» non solo ma fabbro Egli stesso: «Non est hic faber». E qui rinnovate l’attenzione, perché non è da trascurarsi un aspetto della vita di Gesù, che ha costituito, per quasi trent’an-ni, la Sua occupazione.

Osservate, dunque, con sacro rispetto quelle mani creatrici dell’universo, come si stendono a raccogliere legna, pialla, assi, a segare travicelli; contemplate quella fronte nobile, in cui balenano i raggi della divinità, tutta bagnata di sudore.

Se non volete perdere ciò che è più commovente e più divino nelle azioni di Cristo, non vi arrestate a questo modo di vivere, ma passate all’interno del cuore.

Osservate con quale interna allegrezza si applica a quelle opere, alle quali voi non sapreste applicarvi senza noia e senza lamenti.

Vedete che giubilo prova l’amante Suo cuore nell’apprestare con le Sue fatiche un po’ di sollievo alla povertà di Maria e di Giuseppe!

Cercate di assaporare il gusto interiore dell’anima Sua, nel cibarci di un pane, che prima ha bagnato dei Suoi sudori.

Non riguardava Lui la fatale sentenza di Dio: «Ti ciberai del pane, frutto del sudore della tua fronte». Essa riguardava soltanto l’Adamo terreno e non il Celeste, riguardava l’uomo peccatore, ma non il Giusto per eccellenza. Tuttavia Gesù volle assoggettarsi al lavoro più faticoso.

Che farete voi, dunque, Sorelle mie, quando il vostro Istituto vi chiederà che vi esercitiate in uffici laboriosi, che aiutiate la povertà della casa in cui state, e vi applichiate a uffici bassi e umili?

So bene che queste fatiche non saranno continue per voi, perché i proventi della casa provvedono quanto basta per sostentarvi, ma non per questo viene annullata la sentenza proferita anche per voi, di cibarvi col sudore della vostra fronte. La vostra pena è cambiata, non tolta. Se voi non siete obbligate a faticare per vivere, siete obbligate a vivere per faticare. Anche il nostro Divin Salvatore, intrapresa la Sua vita apostolica, non viveva più con le Sue fatiche, ma non per questo rimaneva ozioso.

«Il mio Padre – Gesù poté dire con verità – opera sempre, ed io pure opero al medesimo modo ». Come opera il Padre? Come autore della natura, dando e conservando l’essere a tutte le cose; come autore della grazia, infondendo e conservando sempre la santità nei Suoi eletti. E Gesù, nel Suo ministero apostolico,

Lo imita in tutti e due questi modi di operare: libera dalle malattie; giustifica i peccatori e guarisce infermi d’ogni specie.

Noi felici se potessimo dire di operare come Gesù operava!

Egli in nome proprio e per propria virtù; noi in nome Suo e nella virtù che Egli ci partecipa; Egli finché vuole, e noi finché possiamo; cioè finché nell’attività intrapresa per amore Suo, non spiriamo, affaticate per il bene dei nostri prossimi.

Cerchiamo, dunque, di impegnarci seriamente a favore del prossimo, sia nel procurare il suo bene: con avvisi, con correzioni amorevoli, o con consigli, quando ci capiterà l’occasione di poterlo fare; e molto più con fervorosa preghiera che dobbiamo di continuo innalzare a Dio, sia per la salute dell’anima loro, sia nell’aiutarli, per quanto è possibile, anche nei bisogni del corpo.

Preghiamo il buon Gesù che ci conceda una simile grazia, per quel grande amore che Egli ebbe alla S. Povertà, e che noi pure dobbiamo cercare di imitare ad ogni costo, se vogliamo essere degne discepole del divino Maestro. Amen.