Fatica a spegnersi l’interesse dei media intorno al grande papa Giovanni Paolo II. Un uomo vero che ha affascinato il mondo. A lui si può ben applicare la pericope dello “stupore” espressa dalla Scrittura: “Nessuno ha mai parlato così, con autorità”. L’autorità della vita, della fede.
La Parola si è fatta vita. “Aprite le porte a Cristo. Dio opera nelle vicende concrete, personali di ciascuno di voi. Non permettete che il tempo che il Signore vi dona trascorra come se fosse un caso” (Giovanni Paolo II).
Un uomo che non ha perso tempo ma l’ha fatto suo vivendo in pienezza ogni momento fino alla fine. Giovanni Paolo II sapeva dove andava e chi seguiva: il Redentore.
Il Redentore che ci ha amato tanto da dare la sua vita per noi e, con altrettanto coraggio, questo Papa l’ha imitato. “Guarderanno a colui che è stato trafitto”. In piazza San Pietro e tramite gli schermi quanti hanno alzato gli occhi verso quelle finestre ove si compivano gli ultimi atti del suo calvario: conformato a Cristo nella sofferenza come lo è stato nella predicazione, nei gesti, nell’amore.
Il nostra papa Giovanni Paolo II ci ha amati come figli, ha trattato tutti come figli, per questo il mondo lo rimpiange, come si rimpiange un padre. L’amore di cui è stato portatore e testimone spesso si è tradotto in parola, parola vera che conforta illumina dà speranza. Parola che il mondo cerca, che noi cerchiamo; una parola capace di sorreggere il nostro cammino perché dettata dall’amore.
Quest’ultimo ha un nome particolare e la sua manifestazione non va confusa con espansione sentimentale o sfogo emotivo. E’ una realtà molto più profonda. Il testo greco del Nuovo Testamento presenta tre parole per esprimere l’amore: eros per indicare un amore estetico, romantico; philia che identifica l’amore reciproco, l’affetto tra amici, l’amicizia con cui amiamo coloro che ci corrispondono. La terza espressione è agape ossia comprensione e buona volontà costruttiva, redentiva, aperta a tutti gli uomini. Amore che nulla cerca in cambio, è l’amore divino operante nel nostro cuore. E’ l’amore che ci spinge ad amare non perché gli altri ci piacciono, corrispondano, non perché il loro modo di essere ci attrae e neppure perché hanno in sé una scintilla divina ma perché sono amati da Dio e noi siamo figli del Padre che è nei Cieli. Siamo chiamati a testimoniare il nostro essere figli di Dio amando e sarà l’amore a farci sperimentare concretamente la bellezza della santità divina.
E’ l’amore il vincolo che ci lega a Dio e che permette il miracolo testimoniato da papa Benedetto XVI “Il Signore sa lavorare e agire con strumenti insufficienti” (Roma, 19.04.05). Non esiste fede cristiana senza amore perché è l’amore che caratterizza Dio; un amore che vince la morte, il male, il dolore; un amore che è speranza certa.
Il nostro cammino non è un vagare senza senso, la sofferenza che ci affligge ha un termine temporale, la morte non è l’ultima parola. Chi pone con decisione la sua vita nelle mani di Dio, chi decide di fidarsi di Lui, di operare con Lui, diventa luce e grazia per quanti hanno la fortuna di conoscerlo: che l’esempio di Giovanni Paolo II non resti vano.
La Parola si è fatta vita. “Aprite le porte a Cristo. Dio opera nelle vicende concrete, personali di ciascuno di voi. Non permettete che il tempo che il Signore vi dona trascorra come se fosse un caso” (Giovanni Paolo II).
Un uomo che non ha perso tempo ma l’ha fatto suo vivendo in pienezza ogni momento fino alla fine. Giovanni Paolo II sapeva dove andava e chi seguiva: il Redentore.
Il Redentore che ci ha amato tanto da dare la sua vita per noi e, con altrettanto coraggio, questo Papa l’ha imitato. “Guarderanno a colui che è stato trafitto”. In piazza San Pietro e tramite gli schermi quanti hanno alzato gli occhi verso quelle finestre ove si compivano gli ultimi atti del suo calvario: conformato a Cristo nella sofferenza come lo è stato nella predicazione, nei gesti, nell’amore.
Il nostra papa Giovanni Paolo II ci ha amati come figli, ha trattato tutti come figli, per questo il mondo lo rimpiange, come si rimpiange un padre. L’amore di cui è stato portatore e testimone spesso si è tradotto in parola, parola vera che conforta illumina dà speranza. Parola che il mondo cerca, che noi cerchiamo; una parola capace di sorreggere il nostro cammino perché dettata dall’amore.
Quest’ultimo ha un nome particolare e la sua manifestazione non va confusa con espansione sentimentale o sfogo emotivo. E’ una realtà molto più profonda. Il testo greco del Nuovo Testamento presenta tre parole per esprimere l’amore: eros per indicare un amore estetico, romantico; philia che identifica l’amore reciproco, l’affetto tra amici, l’amicizia con cui amiamo coloro che ci corrispondono. La terza espressione è agape ossia comprensione e buona volontà costruttiva, redentiva, aperta a tutti gli uomini. Amore che nulla cerca in cambio, è l’amore divino operante nel nostro cuore. E’ l’amore che ci spinge ad amare non perché gli altri ci piacciono, corrispondano, non perché il loro modo di essere ci attrae e neppure perché hanno in sé una scintilla divina ma perché sono amati da Dio e noi siamo figli del Padre che è nei Cieli. Siamo chiamati a testimoniare il nostro essere figli di Dio amando e sarà l’amore a farci sperimentare concretamente la bellezza della santità divina.
E’ l’amore il vincolo che ci lega a Dio e che permette il miracolo testimoniato da papa Benedetto XVI “Il Signore sa lavorare e agire con strumenti insufficienti” (Roma, 19.04.05). Non esiste fede cristiana senza amore perché è l’amore che caratterizza Dio; un amore che vince la morte, il male, il dolore; un amore che è speranza certa.
Il nostro cammino non è un vagare senza senso, la sofferenza che ci affligge ha un termine temporale, la morte non è l’ultima parola. Chi pone con decisione la sua vita nelle mani di Dio, chi decide di fidarsi di Lui, di operare con Lui, diventa luce e grazia per quanti hanno la fortuna di conoscerlo: che l’esempio di Giovanni Paolo II non resti vano.
Sr. M. Rosangela Sala