Scende la sera

Riflessione per il  giorno di ritiro 

Suor M. Rosangela Sala

 

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,16-21

Venuta la sera, i discepoli di Gesù scesero al mare, salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; il mare era agitato, perché soffiava un forte vento. Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.

Venuta la sera

E venne la sera … ma che cos’è la sera? Quale è la sera per noi?

Per tutti viene la sera, una sera che è un sipario sui nostri ideali, sulle nostre aspettative, sui nostri sogni “credevamo che fosse lui …”. Il miracolo dei 5 pani e dei 2 pesci … Gesù che sale in montagna tutto solo, perché? Perché non è rimasto a farsi incoronare re? Era l’occasione giusta? La gente lo aveva scelto! Perché?

Perché si ritira solo, senza i suoi dodici? Perché scappa? Giovanni non ci dice che prega ma che si è ritirato SOLO! La crisi della missione che il Padre gli aveva affidato è davanti a tutti e lui ne soffre, si interroga, scende la sera sulla sua missione: lo cercano come guaritore magico, lo ascoltano volentieri ed, oggi, con la moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci, oggi che ha passato ogni limite, oggi lo cercano come distributore automatico di pane materiale. Non hanno compreso nulla, il suo messaggio non è passato. Perché e come, farlo passare. Era urgente un esame di coscienza, un’autovalutazione sul da farsi, doveva prendere coscienza del fallimento, del fatto che ancora non aveva trovato la strada giusta anzi, quella dei miracoli induceva in inganno, non lasciava passare il messaggio della conversione della vita verso il Cielo ma riportava l’orizzonte alla terra. Che fare?

Solo! Gli esami di coscienza, le grandi decisioni sono prese dentro, nessuno può decidere per noi, il timone della nostra vita, della nostra missione è e resta nelle nostre mani. Chiediamoci quante volte o se qualche volta ci siamo fermate a valutare i risultati ossia come i destinatari hanno risposto al nostro annuncio missionario. Il messaggio è passato? E quando sono venuti a “farci re” o regine, l’abbiamo accettato? Ossia abbiamo accettato che osannassero noi, la nostra bravura (indiscussa) per paura di perderli (come di fatto è successo a Cristo che ha perduto moltissimi di coloro che avevano deciso di farlo re e da lì la tragica domanda: “volete andarvene anche voi?”) o li abbiamo pazientemente dirottati ed indirizzati a Cristo, decidendo di salire sulla montagna (il luogo in cui si incontra Dio) in solitudine ogni volta che l’attaccamento si è manifestato più verso la nostra persona che verso Cristo? Ci siamo mai poste questa domanda?

Chi stanno seguendo? Come sto annunciando? Il mio messaggio passa o li calamita a me? Ho compreso la parola del Precursore “Lui deve crescere, io diminuire”?

La sera del giorno (naturale), la sera della missione (Cristo), la sera (dei Dodici: ma cosa fa?), la sera di coloro che avevano mangiato (non lo troviamo, non lo vediamo più, dov’è?).

Tanti sono gli stati d’animo e quelli fisici: la stanchezza, la disillusione, lo sbalordimento, i pensieri più contrastanti (e Lui non c’è … dove sarà andato? … e perché?). Tutto questo turbinio prende il sopravvento ed allora, di sera, si scende, sempre si scende … da Gerusalemme a Gerico, da Gerusalemme a Emmaus o, come accade ora, dalla montagna … al mare. Scendere, spostarsi in un luogo più basso, fisicamente o spiritualmente, sdraiarsi per … accontentarsi di meno attese e … di meno fatiche apostoliche. Basta!

La sera è quel momento della giornata che dovrebbe essere di riposo, odorare di casa, di relax e non di mare, di traversata, di barca, di fatica, ancora di fatica. È sera, “il giorno giunge al declino, resta con noi!”. Chi prosegue il suo cammino la sera, quando non si vede bene, quando l’oscurità incombe e il pericolo è in agguato?

Bisogna essere ben disperati o senza casa o senza tetto (non aver dove posare il capo) per decidere di partire di sera.

Eppure quando la sera scende dentro di noi, quando il buio ci avvolge, quando non sappiamo più come fare e la nostra “stella polare” non si vede, perché la sera è il preludio della notte, del buio, della paura anche perché, è noto, nel buio non si vede ed il buio può nascondere un pericolo potenziale o altro che, proprio perché non lo si vede bene, si teme di non poter avere il controllo su ciò che sta per accadere (Titanic iceberg), eppure i discepoli si sono trovati costretti a partire. Era marzo (Gv. 6,4 4 “Era vicina la Pasqua”, la festa dei Giudei celebrata il 14 di Nisan ossia il 7 aprile), il tempo non era dei migliori, con la sera inizia il freschetto, l’umidità, al di là del mare c’era Cafarnao, la casa, di uno di loro, con la suocera, sì … ma anche altro. Al di là del mare c’è la fine di un sogno, la vita vera, concreta dell’impresa ittica di “Zebedeo – Figli & company”, “credevamo” … ma “era buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti” (in tutti i sensi) per cui il tornare indietro, alle occupazioni di prima, alle sicurezze piccole, sì, ma sempre sicurezze, era una scelta plausibile … un’elegante uscita di scena … da pescatori di uomini a pescatori per vivere.

I sentimenti e lo stato d’animo di questi uomini, perché di uomini si trattava, sono degni di tutto rispetto perché queste tentazioni sono state o sono anche le nostre.

i discepoli di Gesù

Non sono solo i Dodici, sono i Dodici e gli affiliati, perché Gesù aveva un seguito, anche femminile. Qui non si sa che fine avessero fatto le donne (forse non avevano neppure mangiato il pane? Il Vangelo di Giovanni non le cita), non sappiamo se fossero presenti, se … non si sa.

Ciò che è certo è che sono i SUOI discepoli che scendono, che perdono quota. Attenzione se la si perde troppo ci si schianta … vi è una distanza da terra che va mantenuta. Una distanza per non vivere le situazioni terra-terra e non proporre messaggi terra-terra e non vivere terra-terra. Schiantarsi è rompere il tutto che è la nostra persona, perdere la capacità di riprendere quota, di tirarci su, di vedere le cose da un altro punto di vista. Siamo sì come “fango conculcato nelle piazze” ma con lo spirito della colomba come descrive Trilussa nella sua poesia: “La colomba Incuriosita de sapé che c’era una Colomba scese in un pantano, s’inzaccherò le penne e bonasera. Un Rospo disse: – Commarella mia, vedo che, pure te, caschi ner fango… Però nun ce rimango… – rispose la Colomba. E volò via”.

La capacità di riprendere quota. Per ora i discepoli, specificato: “discepoli di Gesù”, non sembrano voler riprendere quota, scendono di nuovo, ritornano da dove sono partiti. Rimarranno lì?

Non è facile seguire Cristo. Non è facile capirlo, forse tutto sarebbe molto più semplice se lo si amasse senza aspettarci nulla da Lui. Amarlo e basta. Senza attese, idee, progetti su di Lui. Essere contente di seguirlo, di stare con Lui, senza chiedere, senza pretese … amarlo. A volte le nostre aspettative lo coprono anzi lo nascondono alla nostra vista. Lo cerchiamo dove vogliamo che sia e non dove è. Lo conosciamo poco, troppo poco, così come troppo poco conosciamo il suo Vangelo. Non sappiamo come cercare Gesù perché non lo conosciamo, non sappiamo le sue abitudini, le sue preferenze, i luoghi e le persone che Lui predilige. Per cui cerchiamo altrove. E lo conosciamo poco perché lo amiamo poco. L’amore è fedele, l’amore ha occhi di farfalla, l’amore è tenace come … l’amore riesce a cogliere nella brezza leggera la presenza di Dio. Amo il Signore? Lo amo e basta. Amo il Signore perché è il Mio Signore? Quanto il mio amore verso di Lui è interessato? Quanto indossare un abito religioso è interessato? Nell’incomodo mi rinnegherai … tre volte!. È Lui il Sole ed il centro della mia vita? È Lui il mio baricentro? Anche se fossi come la torre di Pisa un po’ pendente ma mantenessi dentro il baricentro che è Cristo, non cadrei. È certo ce lo dimostrano grandi e provati santi come Kolbe e Van Thuan.

Solo chi ama comprende, solo chi ama serve, solo chi ama sa donare vita. La gente percepisce che sono discepola di Gesù? Mi riconosce per l’abito esterno o per quello interno? La mia tunica interiore è tessuta tutta d’un pezzo? Cosa significa essere tutta d’un pezzo? Sono tutta d’un pezzo? E quale pezzo? Sono pronta a lasciare tutto e tutti pur di non perdere Gesù? Quando Lui si nasconde, dove vado, dove e come lo cerco?

scesero

Si abbassano. “è bello stare qui, facciamo tre tende …” è sempre quella: la tentazione dell’eterno Tabor. La moltiplicazione è finita, Gesù se n’è andato, il bello è passato … i discepoli, quelli di Gesù, sono un po’ smontati. Erano eccitati dall’essere i discepoli di Colui che guarisce fisicamente e moltiplica le vivande. I discepoli del “futuro re” ove avrebbero ottenuto buoni posti “uno alla destra, l’altro alla sinistra”, coloro che si struggevano nelle domande di: chi sa chi sarà il più grande tra noi? Strano che non avessero capito che comunque la scelta stava cadendo su Pietro. Pietro non doveva eccellere in qualità, rispetto agli altri e ai Boanerghes. Quante discussioni, litigi e parole, supposizioni, malumori! Vicino ad un potente ci si sente potenti perché Lui dà sicurezza e rafforza le nostre debolezze. (pulce ed il leone: Noi!)

Chiediamoci: cerchiamo forse riconoscimenti e potere? Quanto siamo sensibili su questo punto? Quanto stiamo vivendo in comunità lo stile sinodale richiesto dal Vangelo e incoraggiato dalla Chiesa? Abbiamo il coraggio di piegarci, di indurci a cambiare mentalità, di cercare di capire Cristo e la sua via, di scendere a più evangelici consigli; di scendere a patti con la nostra voglia di essere riconosciute e stimate un po’ di più per lasciarci corrompere dai germi di vita nuova che sgorgano dal Cristo, di rinunciare, almeno in parte, alle nostre proprie attese e pretese che puzzano di autoritarismo ed egocentrismo, che creano sofferenze e ribellioni intorno a noi, di accettare un compromesso con la nostra autostima facendoci scoprire sorelle tra le sorelle, cristiane tra i cristiani, peccatrici e bisognose di perdono reciproco e con Dio?

Una delle discese che ci ha insegnato il Cristo, il Maestro, è quella dell’umiliarsi ossia dell’abbassarsi: “Cristo Gesù pur essendo di natura divina …”, quanto di questa via è entrato nella mia vita? Il nostro Fondatore recitava che: “In Paradiso vi è chi … ma nessuno che non sia stato umile”. Cosa significa questo per me? Conosco questa via, la percorro, la scelgo, la preferisco ad altre? Perché? Sono una cristiana della via?

Ma qui i discepoli di Gesù pervengono solo ad un livello più basso, quello di rematori, senza un chiaro futuro, su barche prive del pescato, barche che rientrano vuote! Manifestano una scelta preferenziale per una condizione inferiore, un livello più basso perché molto in basso nella scala sociale erano considerati i rematori, operai dei pescatori che, questi ultimi, per lavorare, si privavano di tutto, anche della sopravveste. Essere rematori di pescatori è appartenere ad un grado basso; avere una barca, essere pescatori e non pescare è scendere nella stima di tutti, è scendere molto in basso.

al mare

“Scendere al mare” ha un forte significato simbolico poiché, il viaggio per mare, è una metafora della vita. Riprendono la vita di prima, quella sul mare. Un mare concepito all’epoca come l’habitat delle forze malvagie, quindi con una grande valenza negativa. Il mare, jam in ebraico, tradotto anche con “grandi acque”, “diluvio” nella Bibbia come anche nelle antiche culture del vicino Oriente è simbolo del caos primordiale, della morte, del nulla e del male, luogo popolato da mostri dai nomi impressionanti: Leviatan, «serpente tortuoso, guizzante, drago marino» simile a un enorme coccodrillo (Is 41); Rahab, altro cetaceo mostruoso, Behemot, simile all’ippopotamo (Gb 40,15-24); la Bestia marina dell’Apocalisse (13,1-2) che sale dall’Abisso per distruggere la terra (17,8).

Il mare rappresenta tutte le sfide che una persona può incontrare nella vita, poiché può attraversare il mare ma anche … finire in fondo al mare.

Il mare sfida le forze fisiche, psichiche e spirituali della persona.

Scendere al mare ed affrontarlo è un dovere ben espresso nella parabola dei talenti o nell’ ’Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters: “George Gray, un uomo che non ha mai vissuto pienamente.

“Molte volte ho studiato / la lapide che mi hanno scolpito: / una barca con vele ammainate, in un porto. /In realtà non è questa la mia destinazione /ma la mia vita…”

Le barche poste al sicuro, ormeggiate nel porto, ma non è per questo che sono state costruite. Sono fatte per navigare, e anche per affrontare burrasche. Possiamo pensarci come naviganti su fragili legni nel mare della vita, su gusci di noci dove, prima o poi, durante la navigazione della vita verranno acque agitate e vento contrario.

I discepoli, da uomini concreti quali sono (“se non metto il dito …”), affrontano di nuovo la vita e l’affrontano in un modo nuovo. Sono partiti con Cristo, ritornano ad affrontare la vita senza Cristo. Corrono avanti, remano avanti con fatica nella segreta speranza di essere raggiunti da Cristo. Con o senza Cristo, questo fa la differenza! Perché non l’hanno aspettato? Perché noi, siamo fatti così: abbiamo fretta, tutto, subito, chiaro e sicuro. Con Cristo, uomo senza tempo, non c’è fretta (30 anni di postulandato), non si ha tutto (“lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa”), non subito (“non è ancora giunta la mia ora”), non in modo chiaro (“parlava loro in parabole e non capivano”), vi è del non sicuro (“sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me…”).

Affrontano il mare, agitato, da soli. Erano un po’ spazientiti o desiderosi di altro se si constata, con stupore, che spingono la barca in mare quando questo è agitato. Vanno e basta, Pietro in testa. Possiamo pensarlo come il solito leader: “andiamo a pescare – veniamo anche noi! – andiamo a casa, a Cafarnao – veniamo anche noi!”. Il leader e le pecore che si accodano: siamo come loro? Usiamo della nostra responsabilità o …

salirono in barca

Quella barca che simbolicamente alcuni leggono come Chiesa ossia come un insieme di gente che crede, che crede un po’, che crede poco, che fatica a credere, che bisogna anche trascinare ma che comunque è sulla barca, è salita sulla barca.

Quale popolazione eterogena compone la Chiesa e … la nostra comunità. Vorremmo che tutte fossero uguali a noi, così perfette, attente, disponibili e sante. Purtroppo le altre non lo sono e … neppure noi che crediamo di esserlo!

Siamo tutte sulla stessa barca, che è quella di Pietro, che ha ereditato con le sue falle dai progenitori: il peccato che ci accomuna è in tutte noi. Perché negarlo? Perché lamentarci? Il peccato si cura col perdono, con la conversione, vivendo il Vangelo, e coltivando lo stato di grazia in noi.

Com’è la tua barca? Com’è l’equipaggio della tua barca? (uomo saggio e il giovane apolide)

Cosa fai per migliorare la ciurma della tua barca? (Enrica e Bruno Volpi e Villapizzone: cambia te stesso) (le piccole cose).

e si avviarono

Si avviarono. Tutto ha un inizio. Se vuoi dare una direzione alla tua vita: “Avviati”. (P. Giannetto: “Partiam, partiam” Aida di Verdi). Ci vuole coraggio, ci vuole determinazione, ma il verbo che qui viene usato: “si avviarono”, è un verbo malinconico. Indica un distacco, e in questo caso una rassegnazione, una delusione: dov’era finito Gesù? Sono sentimenti che motivano una decisione: decidono di lasciarlo e non sarà l’ultima volta che prendono il mare … (“io vado a pescare!” – “Veniamo anche noi!”). È un lasciarlo per sempre? Gesù li sconvolgeva ma non li aveva ancora raggiunti, non aveva ancora conquistato il loro cuore, non aveva ancora evangelizzato la loro terra, quella umana, quella di cui siam fatti e tramite la quale agiamo e decidiamo. Si avviano perché lo spettacolo della moltiplicazione, lo stupore e i commenti molto positivi dei commensali sono finiti, finito è lo spettacolo, si avviano a Cafarnao, a casa. Si avviano verso una meta ambiziosa? Può essere ambizioso tornare a casa? Per qualcuno lo è stato: il figliol prodigo! Ma lì tutto era diverso, è tornato perché ha capito dove si trovava la fonte della sua dignità, della sua esistenza, del suo futuro. Anche Cristo torna nel seno del Padre da cui è uscito dopo aver compiuto il suo tempo, la sua missione. Qui no, i Suoi discepoli non avevano capito nulla. Se abbiamo la pazienza di andare a leggere il seguito vedremo come Gesù glielo sbatte in faccia, senza giri di parole: “mi cercate perché avete mangiato e vi siete saziati! Non perché avete visto i segni!”. Che problema quello dei segni. Vogliamo sicurezze, toccare. Tutti e tutte dovremmo avere come secondo nome: Tommaso e Tommasina! Si chiedono, si pretendono segni, ma quando arrivano non li vogliamo riconoscere (“neanche se uno risuscitasse dai morti”), eppure li vediamo. I segni vanno chiesti, cercati ed accolti con mente e spirito libero e puro. I segni dei tempi, espressione cara del Concilio. Sappiamo riconoscere i segni dei tempi? O per lo meno sappiamo cosa sono? Li cerchiamo? E una volta trovati li accogliamo con tutta la carica di profezia, di novità e di scomodità che portano con loro?

Nell’ambiente poliziesco quando si cerca un colpevole, si cercano i segni, le prove. Anche per Gesù è stato lo stesso. È risultato più semplice trovare un segno, una prova della sua colpevolezza che accogliere i segni che testimoniavano che veramente Lui era figlio di Dio. Di fatto sotto la croce solo un pagano esprime anzi fa questa professione di fede: “Veramente costui era figlio di Dio!” Mt 27,54. E tutti gli altri e le altre (perché nel non riconoscere i segni ci siamo anche noi donne) che lo avevano sentito parlare di Dio come suo Padre, della risurrezione seguita alla sua morte cruenta, che avevano assistito a tanti, tanti miracoli, dove erano? Capiamo allora quanto giustificato sia lo sbotto di Gesù: “Ottusi – insensati – stolti e lenti – tardi di cuore!” Lc 24. Non avevano capito niente e Gesù aveva dovuto fermarsi ancora per 40 giorni e ripetere e ri-catechizzare, rievangelizzare tutti e tutte con pazienza infinita e, in quel lasso di tempo, corto, scegliere uno che lo rappresentasse sulla terra. Non aveva persone sante ma peccatrici, potremmo dire che aveva una ben poca scelta … Sorelle, non lamentiamoci, forse non ci è andata peggio!

“Beati coloro che, pur non avendo visto, crederanno!” questa beatitudine, la beatitudine della fede vale oggi, ieri e sempre. Qui il verbo credere equivale a: “Beati coloro che, pur senza certezze umane, metteranno tutta la propria vita a disposizione del Vangelo camminando nel mondo con Cristo, per Cristo, in Cristo e verso Cristo!”.

È un cammino, ci si arriva lentamente, adagio adagio, anche Cristo lo sa. E tollera e poi vedremo accompagnerà questa dipartita verso Cafarnao. Il mare è agitato: si avviano forse verso la propria rovina, la barca potrebbe rovesciarsi, potrebbero non raggiungere mai la meta …

Certo è che, abbandonano Gesù, si allontanano da Lui passando “all’altra riva”. C’è sempre un’altra riva o un’altra spiaggia quando siamo disilluse, quando lo sconforto del “credevamo che …” ci assale. È importante riconoscere quale sia la nostra “altra riva”, quella che raggiungiamo quando ci distacchiamo da Gesù, ci separiamo da Lui. Sull’altra riva prendiamo il tempo per “leccare le ferite”, per riflettere su quello che ci ha ferito, spento, fermato, bloccato. Questo brano però è pieno di speranza perché … Qualcuno cammina sulle acque e si avvicina … e alle nostre paure risponde «Non abbiate paura, sono io!». Qualcun altro ha usato questa espressione aggiungendo: “Spalancate le porte a Cristo, non abbiate paura!”. Il Vangelo è un messaggio di speranza perché contiene Cristo che non si stanca mai delle creature uscite dalle sue mani e … neppure di noi. Lui cammina sulle acque tempestose del nostro oggi e si dirige verso di noi in fuga. Lui non si arrende! Per fortuna.

in direzione di Cafàrnao.

Erano sulla riva con Gesù, ora procedono, vanno lontano da Gesù, consapevolmente, là cercano di consolarsi infatti, CAFARNAO, significa: Καϕαρναούμ, dall’ebr. Kephar Nahum: villaggio di Nahum o “della consolazione”. Su Cafarnao è stato fatto anche un film Cafarnao – Caos e miracoli (Capharnaüm, in arabo کفرناحوم) film del 2018 diretto da Nadine Labaki che non c’entra nulla comunque con le vicende narrate nel Vangelo.

Cafarnao! Un sabato, Gesù insegnò nella sinagoga di Cafarnao e guarì un uomo che era posseduto da uno spirito impuro. Successivamente guarì la febbre della suocera di Simon Pietro (Luca 4.31-44).  Luca 7, 1–10 aggiunge che Cafarnao è anche il luogo dove un centurione romano chiese a Gesù di guarire il suo inserviente. Matteo, uno dei dodici apostoli di Gesù vi esercitava la professione di esattore delle tasse.

Ma procedendo con ordine, Matteo, 4, 12 ci racconta che: “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare (lago)”. Dal villaggio di Nazaret Gesù “scese” dunque a Cafarnao. Per recarsi da Nazaret a Cafarnao, lontana circa 51 km, sul lago di Tiberiade, bisogna infatti discendere: Cafarnao sta a circa 200 m sotto il livello del mare, mentre Nazaret è a circa 300 m sopra il livello del mare. Cristo scende sempre più in basso: dal Cielo alla città di Davide, dalla città di Davide a Nazareth, poi in Egitto, poi di nuovo a Nazareth e poi a Cafarnao che era situata sulla “Via maris” e collegava Alessandria d’Egitto a Damasco, era molto più importante di Nàzareth (paese insignificante della Galilea) e diventerà “la sua città” (Mt 9,1), il centro del suo ministero in Galilea. Quella Galilea delle genti che amerà tanto!

In entrambe le città Gesù si ferma solo per un certo tempo, poi va via. Da Nàzaret se ne va perché i suoi concittadini lo cacciano (sfugge al loro tentativo di gettarlo giù dal monte), mentre da Cafarnao uscirà di nascosto, tra il dispiacere della gente, che anzi lo va a cercare e non vorrebbe più lasciarlo andare via.

Cafàrnao, sulla riva del mare: interessante anche questo: un lago chiamato mare. Il lago è più piccolo del mare, il lago è delimitato, nel lago l’acqua è dolce. Simbolicamente quante nostre preoccupazioni (laghi, laghetti, pozzanghere) diventano mari tempestosi che scuotono la barca della nostra vita. Ridimensionare i mari, fa bene. Ci fa prendere coscienza che possiamo farcela, che non siamo sole e, a volte, che siamo privilegiate perché esistono mari o laghi molto più vasti che la gente sta affrontando. Che l’acqua dei nostri laghi non è poi tanto amara e salata come quella di altri. Dare la giusta dimensione per non essere schiacciate.

“Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono”. E Cafarnao ebbe un’impresa ittica decimata!

Questa città della Galilea diventa quindi la patria adottiva di Gesù, diventa il centro del suo ministero pubblico. La città, sita sulla sponda nord – occidentale del lago di Tiberiade, era composta da mercanti, artigiani, pescatori e contadini; sede di un posto di dogana e di una piccola guarnigione romana.

Ebbene proprio lì Pietro aveva la sua casa, casa che l’archeologia ha scoperto (dal 1894 è curata e studiata dalla Custodia Francescana che dal 1968 al 2003 ha effettuato ventitré campagne di scavi). Gesù vi si istalla, è una casa vicina alla sinagoga luogo dove Gesù aveva predicato con autorità e, se già Cafarnao era una città movimentata, con le folle attratte da Gesù, pare sia diventata eccezionalmente caotica. Di qui scaturiscono i significati figurati: un cafarnao è un luogo di grande confusione, e per estensione un mucchio disordinato: uno stanzino-deposito che a volte si rivela un cafarnao terrificante; o un cafarnao d’ufficio o di classe perché non facciamo in tempo a sgombrare la scrivania che è di nuovo un cafarnao.

Interiormente i Suoi discepoli prendono la direzione di Cafarnao con un cafarnao nel cuore: sono confusi, molto confusi. C’è molto disordine dentro di loro, molti pensieri aggrovigliati e nella confusione, nel disordine può succedere di tutto!

Peraltro va detto che vive (è vissuta) anche in una locuzione piuttosto specifica, “andare/ mettere/ mandare in cafarnao”, col significato di ‘inghiottire’ (l’idea è circa quella di gettare nella confusione lo stomaco). Per esempio la usa il Sacchetti nella novella centoventiquattro del suo Trecentonovelle: narra di un celebre mangiatore, Noddo d’Andrea, che riusciva a spolverare anche il cibo più caldo. Quando un “piacevole uomo”, Giovanni Cascio, si ritrovò a tagliere con costui (le porzioni venivano servite su taglieri per due), Noddo iniziò subito a trangugiare i maccheroni “boglientissimi” che avevano loro portato, mentre Giovanni umanamente aspettava che si freddassero un poco. Così, per evitare che anche la parte che non gli spettava andasse in cafarnao nelle fauci di Noddo, Giovanni iniziò a gettare a un cane i propri maccheroni. Davanti a quello spreco Noddo prima rise ma poi pregò Giovanni di fermarsi: avrebbe mangiato più adagio. Si accordarono che (per rifarsi) per ogni boccone di Noddo Giovanni ne avrebbe mangiati due, e così il mangione fu domato e ricondotto a mangiare “a ragione”.

Di fatto avevano lo stomaco in confusione: avevano mangiato e si erano saziati ma erano in subbuglio perché quella “manna” non era il pane dal Cielo di cui avevano sentito parlare, evidentemente! E allora? (se avrete tempo leggete tutto il capitolo 6 di Giovanni).

Eppure Egli parlava con autorità, in maniera nuova e sorprendente sintetizzata in una sola espressione (peraltro in perfetta sintonia con il messaggio del Battista): “Convertitevi, perché il regno dei Cieli è vicino”. Dunque quel “regno” era o non era il pane gratis?

“Conversione” è esigenza già nota nell’Antico Testamento ogni volta che il Popolo Eletto dirotta dalla strada indicata da Jahvè, nel deserto, deve ritornare sui propri passi e riprendere la direzione giusta (“teshûb?h” in ebraico, da “shûb” = invertire la direzione del cammino). Un cambiamento che non è semplicemente geografico, ma soprattutto morale, di obbedienza a Dio, una “metanoia”, un “cambiamento di mentalità”, di visione della propria vita e di impostazione della esistenza, con con disponibilità amorosa alla sua volontà. Un accettare che quel Gesù a cui avevano aderito doveva occuparsi delle cose del Padre Lc 1,49.

Si ritorna a Cafarnao e durante il tragitto comprendono … capiscono il nuovo che è insito in questa scelta: comprendere, cambiare il cuore, la vita, la persona!

Il grande lago di Genezareth, detto anche Mare di Galilea, davanti al quale si affaccia Cafarnao, simboleggia il Mare della vita (Gn 1,2-4) dove tutto è cominciato e continuamente ricomincia. Gesù diede inizio alla sua opera sulle rive di questo lago, chiamò i primi quattro apostoli a seguirlo (Mt 4,19-20) e, in seguito, nei villaggi limitrofi a Cafarnao, scelse gli altri otto: tutta gente umile e semplice che mai si sarebbe sognata di essere ingaggiata in una simile avventura! Non assomigliamo noi, forse, a loro? A Cafarnao e nei suoi dintorni, Gesù svolse gran parte della sua predicazione, accompagnata da innumerevoli prodigi e miracoli portentosi, che lasciavano la gente a bocca aperta: “Tutti furono pieni di stupore ed innalzavano lode a Dio. Presi da timore dicevano: “Oggi abbiamo visto cose meravigliose”” (Lc 5,26-27). Eppure, dopo aver udito le sublimi parole di Gesù e averlo visto compiere miracoli così strepitosi, gran parte degli abitanti di Cafarnao non aderì alla sua dottrina, e continuò la sua vita di sempre. Gesù, con tristezza, ne decretò la futura distruzione: “E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Sino agli inferi sarai precipitata. Poiché, se a Sodoma fossero stati compiuti i prodigi che si sono compiuti in te, sarebbe rimasta fino ad oggi. Ebbene, vi dico che nel giorno del giudizio la sorte che toccherà alla terra di Sodoma sarà più mite della tua” (Mt 11, 23-25). Cafarnao, dopo una serie di vicissitudini, fra le quali anche un terremoto, divenne di fatto un cumulo di rovine, e rimase sotterrata per secoli. Fino a che, nel 1894, un frate francescano, fra’ Giuseppe Baldi da Napoli, osservando un terreno arido in Galilea, ricoperto da sterpaglie, sul quale si erigeva qualche tronco di colonna e pochi frammenti di pietre lavorate, ebbe l’intuizione che lì sotto potesse esserci la Cafarnao dei Vangeli.

Gli archeologi trovarono incise, sul muro di una casa, delle scritte annerite dal tempo in diverse lingue antiche come l’aramaico, il greco e il latino, che, decifrate, contenevano delle invocazioni del genere: “Signore Gesù, salvami!”. Gli archeologi compresero, da quegli indizi, di trovarsi di fronte alla casa di Simon Pietro, dove si radunavano i primi seguaci di Gesù: la prima domus ecclesia.

“Signore Gesù, salvami!” sono le parole di Pietro, sono le nostre parole, sono le parole di tutti i Pietro che dopo Simone il pescatore aderirono a Cristo.

C’è una divertente espressione toscana che, per indicare lo smarrirsi tra la folla, usa quest’espressione: “Andare in Cafarnao”. Veramente, sarebbe più esatto dire: “Se uno “va a Cafarnao”, e non incontra il Signore Gesù, si smarrisce nella confusione e nel caos del mondo, e, alla fine, vede crollato tutto quello che ha costruito con le sue misere forze. Il brano del Vangelo però ci annuncia un finale diverso. Si aprirono gli occhi e “Videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». Allora vollero prenderlo sulla barca”. Ed insieme con Lui continuarono il viaggio della vita. Lui viene a me il potere di VOLER accoglierlo.

Questo è il mio augurio: voler sempre, quotidianamente, accorgersi di Cristo che viene verso di noi e voler riprendere Gesù sulla barca della nostra vita ogni volta specie quando ci allontaniamo da Lui.

Si ricomincia: Mt 18,33 ss Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». AUGURI!

Altre Riflessioni