Fermiamoci accanto ad una testimone, a Maria di Magdala. Una donna in pianto, un pianto sconsolato ci dicono i Vangeli (cfr. Gv 20, 11ss). Maria ha perso una presenza che era per lei qualcosa in più di un semplice punto di riferimento, era il Maestro, il centro e il motore della sua esistenza. Maria ha ragione di piangere, è stata una perdita forte ed ora si ritrova sola. Sola senza nemmeno la consolazione di poter piangere sulla tomba della persona a lei cara. Sembra avverarsi per lei il detto: le sono rimasti solo gli occhi per piangere.
Quel pianto, per il Maestro scomparso e per se stessa disorientata e sola, costituisce una barriera umana di dolore che le impedisce di alzare lo sguardo, di comprendere la nuova realtà, di guardare negli occhi il Signore risorto e presente e … di riconoscerlo.
Quando un dolore troppo grande ci visita, l’esperienza di Maria di Magdala diventa la nostra esperienza; il suo pianto, il nostro pianto. Curvi sulla nostra ferita ci scopriamo incentrati su noi stessi nello sforzo tutto umano di capacitarci di quel che è successo, di cercare consolazione in tanto vuoto, di interrogarci profondamente.
Quanto è simile la reazione di Maria di Magdala a quella dei discepoli in cammino verso Emmaus. Certo non piangono ma le loro parole tradiscono delusione: “Speravamo … “(Lc 24, 21). Una speranza letta al passato è una speranza morta, rassegnata, tant’è vero che incontrando Cristo e parlando con Lui, pur affermando di rimpiangerlo con tanta forza, non lo riconoscono.
E’ l’ultima tentazione: quella di non riconoscere il Signore che ci visita nel dolore, qualunque nome abbia la nostra sofferenza. Soli con la nostra povertà ferita, abbassiamo lo sguardo guardando intorno, dando giustificazioni troppo umane e semplici: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto” (Gv 20, 13) oppure “Lo hanno crocifisso e … son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute” (Lc 24, 21).
E’ Pasqua, il Risorto ci invita a considerarlo nella sua realtà divina, ci ricorda che più forte della morte, del male, è il Signore. Il Signore ci chiede di alzare lo sguardo, di incontrarsi con noi, di riconoscerlo per quello che è. La vita di Maria di Magdala e dei discepoli in viaggio verso Emmaus cambia dopo aver localizzato il Signore, riscoperto il volto del Signore. E’ il Maestro, Colui che fa ardere il cuore. Da questo momento l’esistenza prende un impeto diverso, si fanno apostoli e non importa loro quanti riescono a convincere a loro importa di essere convinti. E’ l’incontro col Risorto che ha cambiato la loro vita, ha reso certa la loro speranza, ha aperto loro gli occhi. Siamo di fronte ad un’esperienza unica: quella di persone che hanno visto incendiarsi per sempre la loro vita. Hanno goduto del valore di un incontro che li ha resi, finalmente, protagonisti della loro vita.
Cristo è sempre un incontro che trasforma. Se non ci trasforma e non ci sentiamo trasformati è perché non l’abbiamo incontrato e, nostro dovere è cercarlo ancora perché Lui c’è e ci aspetta: “Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi…”. Più poveri, più carenti siamo più il Signore ci aspetta.
A Pasqua è invalso l’uso di scambiarci con gli auguri delle uova, è un gesto simbolico legato alla vita di cui l’uovo è scrigno prezioso. L’uovo sembra inerme e inanimato ma al suo dischiudersi appare una vita nuova con tutto il carico di promesse che una nuova esistenza porta con sè. L’uovo non è che un segno di una realtà che l’occhio non coglie ma che c’è, è viva e il suo apparire suscita meraviglia, gioia, stupore, rendimento di grazie per un evento tanto grande qual è l’affacciarsi di una vita nella sua straordinaria gratuità.
Da sempre la vita si fa largo conquistando l’esistenza. Lo stesso accade in noi. Lentamente andiamo maturando convinzioni, coltivando la nostra appartenenza a Cristo, cercando una maggiore intimità con Lui, calcando un cammino impegnato di fede e di abbandono, di testimonianza e di speranza. Un cammino che conosce condizioni difficili e talvolta tragiche finché anche per noi si squarcia “il velo del tempio”. Cadono tutte le nostre sicurezze e le nostre certezze, abbiamo l’impressione che tutto sia futile, inutile, vuoto. E’ un’aria di morte che talvolta avvolge la nostra esistenza e ci lascia confusi, smarriti.
E’ il momento di fare nostro l’insegnamento di Maria di Magdala e dei discepoli in cammino verso Emmaus; andiamo oltre il rammarico e lo sconforto perché Dio c’è, ci è vicino più di quanto pensiamo. Chiediamo allora al Signore occhi per guardare, orecchi per ascoltare, cuore per accogliere il Cristo che oggi, come ieri e come sempre è con noi.
Abbiamo il coraggio di guardare in faccia il Risorto, di considerarne le sofferenze e di incarnare quanto ci propone nel Vangelo. Cristo è davvero la nostra speranza e la sofferenza può essere allora motivo per formare in noi la perla preziosa da offrire a Cristo e non di certo ad altri. Nelle Chiese vuote, nei cuori colti dalla disperazione, nelle solitudini e nei dolori più cupi Lui c’è, ce lo assicura Lui stesso: “Sono risorto e sono presente…Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto…quello che ho fatto io fatelo anche voi”.
Buona Pasqua dunque, buon cammino evangelico, sulla sua strada. Noi sappiamo dove andiamo e con Chi andiamo lasciamoci allora illuminare sempre più da Cristo. Lasciamoci accendere dalla luce evangelica perché le gioie e i dolori trovino in Lui una nuova chiave di lettura capace di dar senso anche a quelle esperienze che talvolta ci tingono col sangue del martirio.
Sr. M. Rosangela Sala