Suore dell'Immacolata

“Chi mangia di me vivrà per me”

Dall’ “Osservatore Romano”  del 1-02-2005     
Alla Chiesa sono necessarie persone consacrate che si lascino trasformare dalla grazia di Dio e si conformino pienamente al Vangelo.   VC 105

“Chi mangia di me vivrà per me” Gv 6,57

Una vita spesa per amare e per servire il Signore. VC 104
Quarant’anni or sono, il Concilio Vaticano II, col documento “De accomodata renovatione vitae religiosae”, meglio conosciuto come “Perfectae caritatis”, invitava gli Istituti religiosi a rinnovarsi per reincarnare nel contesto della cultura attuale una vita religiosa più “spirituale”, strettamente legata al Vangelo, al carisma, in cammino con la Chiesa e a servizio del mondo.
Fedele alle direttive ecclesiali, la vita religiosa fa sua la volontà di Giovanni Paolo II di coinvolgere più pienamente tutti i fedeli sulla riflessione eucaristica e ringrazia la Chiesa che addita il percorso privilegiato dell’Eucarestia, cuore della vita ecclesiale e della vita consacrata.
La presentazione di Gesù al Tempio, infatti, costituisce un’eloquente icona della totale donazione della vita, operata dai consacrati ma è nell’Eucarestia che Cristo mostra la radicalità di un dono che va fino all’estremo, un dono che non conosce misura, nemmeno di spazio e di tempo.
Nella risposta di Cristo alla volontà del Padre si inserisce la consegna di tutta la vita che il religioso opera.
La persona, chiamata a scegliere Cristo, vede nell’incorporazione a Lui, realizzata nel Battesimo e più pienamente espressa nella consacrazione religiosa, l’unico senso della sua esistenza.
Tale impegno è al centro del suo processo di crescita e trova nel Sacrificio eucaristico la sublime realizzazione: “Colui che mangia di me vivrà per me” Gv 6,57.
La totale conversione di tutta la vita ha per fine il “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” Gal 2,20. Avviene una speciale trasformazione della persona consacrata in quanto le esigenze legate all’essere uomo o donna cedono il posto a Cristo presente, che vuole dimorare nel suo discepolo, “rimanete in me ed io in voi” Gv 15,4.
Cristo riceve e vive in ogni consacrato e, nell’Eucarestia, ogni consacrato sa di ricevere vivo e vero Cristo, il Cristo che muore e risorge per lui ogni giorno.
La necessità di questo pane del cammino è proporzionata alla serietà della dedizione quotidiana ai propri compiti e alla generosità con cui va spogliando se stesso dei propri obiettivi per assumere quelli che Cristo gli propone.
E’ ancora la frequenza alla comunione e all’adorazione Eucaristica che consentono al consacrato di discernere e accogliere responsabilmente la volontà di Dio su di lui.
Il pensiero di Cristo mediato dalla Scrittura, il volto di Cristo contemplato nel Santissimo Sacramento si traducono in vita grazie all’Eucarestia che dona la necessaria forza spirituale e consente di attingere alla sorgente stessa della grazia.
Si realizza così per il consacrato quella vita di grazia per mezzo della quale è reso “partecipe della natura divina” 2Pt 1,4 e, con la pratica della virtù della fede, speranza e carità diviene sacramento, segno e strumento della missione che Cristo ha affidato alla Chiesa: “Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi” Gv 20,21.
“Sull’altare del mondo” il consacrato fa suo l’impegno di trasformare la sua vita affinché questa in un certo modo divenga tutta Eucaristia.
“La missione infatti … si esplica nel rendere presente al mondo Cristo stesso mediante la testimonianza personale. E’ questa la sfida, questo il compito primario della vita consacrata! Più ci si lascia conformare a Cristo, più lo si rende presente e operante nel mondo” VC n. 72.
Il racconto della lavanda dei piedi ci mostra Cristo nell’atto di servire. La forza di questo episodio è la testimonianza. Gesù non è solo il maestro, è Colui che realizza, che opera quanto va dicendo.
“Le persone che seguono Cristo nella via dei consigli evangelici anche oggi intendono andare dove è andato Cristo e fare ciò che Egli ha fatto” VC 75, senza spaventarsi dell’ora perché “pur immensamente provato Gesù non sfugge davanti alla sua ora” EdE n.4.
“Nella notte in cui veniva tradito” 1Cor 11,23, poche parole per indicare il contesto umanamente inspiegabile del dono.
L’Eucarestia è sacrificio in senso proprio, è il dono del suo amore e della sua obbedienza fino all’estremo della vita.
“La natura sacrificale del Mistero eucaristico non può essere, pertanto, intesa come qualcosa a sé stante, indipendentemente dalla Croce o con un riferimento solo indiretto al sacrificio del Calvario” EdE n.12.  Lo stretto legame con la Croce vale anche per il religioso che ha fatto della “sequela Christi” il senso del suo esistere.
Non esiste vita consacrata senza Croce e non ha senso portarla al collo o appuntata sull’abito se non si dà la propria fattiva, intera, generosa collaborazione all’edificazione del Corpo di Cristo, secondo il disegno di Dio ad esempio di Cristo che non rifiutò la sua “ora”, l’ora della croce e della glorificazione.
Lo ricorda anche la Liturgia odierna: “della stirpe di Abramo si prende cura” Eb 2,16. Questo arduo e alto compito è assolvibile solo attraverso l’esperienza e il sacrificio della vita. “Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” Eb 2,18 e di poter donare loro l’esperienza di Emmaus: “si aprirono gli occhi e lo riconobbero” Lc 24,31.
Il valore sacrificale dell’Eucarestia, “nella quale si perpetua il sacrificio della Croce e il sacro banchetto della comunione al corpo e al sangue del Signore” EdE n.12, è presente in ogni comunità che lo offre e, nella comunione eucaristica, si realizzano pienamente quegli aneliti di “unità fraterna che albergano nel cuore dell’uomo” EdE n.24.
E’ la partecipazione alla mensa eucaristica che eleva la comunione fraterna del religioso al di sopra di una semplice esperienza conviviale: “E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il Corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” 1 Cor 10,16-17.
La forza generatrice di unità, che scaturisce dall’Eucarestia, crea la comunità mentre consolida ed incrementa la carità di coloro che hanno consacrato a Dio l’esistenza e che si ritrovano vera famiglia, radunata nel nome del Signore.
La comunione fraterna “è spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto. Questo avviene grazie all’amore reciproco di quanti compongono la comunità, un amore alimentato dalla Parola e dall’Eucarestia” VC n.42.
“L’Eucarestia sta per sua natura al centro della vita consacrata, personale e comunitaria” VC n.95 rendendo possibile quei rapporti fraterni ove, nel rispetto scambievole, si portano i pesi gli uni degli altri, prevenendosi vicendevolmente Cfr PC n.15.
La grazia e la forza, mediate dal sacrificio eucaristico, da un lato operano nel singolo alimentando la santità personale, dall’altro lo pongono in una comunità particolare, nutrita dal Corpo di Cristo, il quale alimenta la santità dei singoli e dell’insieme, con la sua divina santità.
Questa realtà è, per la particolare scelta dei consacrati, vitale per la vita fraterna. Quest’ultima non è sorretta da vincoli umani ma risponde ad una chiamata nella quale Cristo stesso si propone come unico senso dell’esistere, motivazione questa che rende la vita fraterna dei consacrati diversa da qualsiasi forma di esperienza comunitaria e insieme ne costituisce la garanzia.
Nella vita fraterna il religioso sperimenta non solo l’essere dono a Dio ma l’essere dono a Dio per gli altri. Quest’ultima realtà attesta la verità della donazione stessa Cfr PC n.6.
Ogni Istituto testimonia in modo particolare il messaggio evangelico e la realtà eucaristica di cui vive. Questo aspetto specifico di testimonianza, chiamato carisma, alimentato dalla vita fraterna, compenetra e dona grande energia all’azione apostolica.
Nel servizio reso all’uomo, il religioso dinamicamente unito alla sua comunità, si sacrifica, alimenta in sé il senso pasquale della sua donazione e testimonia l’aspetto escatologico della sua consacrazione impegnandosi per la realizzazione del Regno di Dio.
L’Eucarestia diventa allora “viatico quotidiano e fonte della spiritualità del singolo e dell’Istituto” VC n.95.
Questa sorgente viva dello Spirito, che alimenta la vita consacrata, garantisce al religioso la capacità di accogliere e vedere il Signore.
Simeone ed Anna possono essere considerate figure emblematiche di una lunga e seria fedeltà al servizio di Dio la cui sincerità permette loro di riconoscere in un bambino il Signore e di accoglierlo come tale.
L’attesa operosa e l’incontro con Gesù riempiono la vita di questi due venerabili credenti che possono essere considerati ultima icona del religioso nel suo incontro finale col Signore. Il pane del cammino, l’Eucarestia, cesserà allora di essere tale per diventare comunione piena ed eterna, e l’amen finale concluderà una vita che, come suggerisce “Ecclesia de Eucaristia” al n.58, è stata, come quella di Maria, tutta un magnificat.
Nel momento storico attuale a nessuno può sfuggire questa considerazione: la Chiesa, sempre attenta ai segni dei tempi, continua a riproporre con insistenza la centralità di Cristo e del suo mistero pasquale, quale strada maestra per rispondere alle esigenze odierne. Anche la vita religiosa si sente richiamata a questo perchè la Chiesa , “non solo sia ben attrezzata in ogni opera buona e preparata all’opera del suo ministero per l’edificazione del Corpo di Cristo, ma appaia altresì, attraverso la varietà dei doni dei suoi figli, come una sposa adornata per il suo sposo e per mezzo di essa si manifesti la multiforme sapienza di Dio” PC n.1 .

Sr. M. Rosangela Sala

 L’abbreviazione EdE  sta per  “Ecclesia de Eucharistia”

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