Il tempo è un dono

31 dicembre 2010

“Il tempo è un dono”

Carissimi fratelli e sorelle,
ringraziamo con gioia Dio che ci concede la grazia di trovarci oggi qui riuniti in questo ultimo giorno dell’anno civile 2010. Affidiamo il nostro ringraziamento alla beata Vergine Maria, di cui celebriamo la solennità, venerandola come Madre di Dio.
Per ringraziare Dio al termine di questo anno vorrei invitarvi stasera a riflettere con me sul tempo che ci viene dato in dono.
Il tempo è un dono. Questa mi sembra la prima considerazione essenziale. Ognuno di noi lo ha ricevuto gratuitamente e, se spesso lo percepisce come un diritto magari rivendicato con arroganza, sta di fatto che è semplicemente un dono ricevuto. Fra tutti i doni è quello più gratuito: nessuno ha mai chiesto, tanto meno comprato, l’ingresso nel tempo e nella storia. Ovviamente nessuno ha potuto avanzare un diritto al proprio concepimento. Se poi riflettiamo bene, nessuno potrebbe avanzare alcun altro diritto sul tempo che ci è dato. Per ogni istante della vita possiamo e dobbiamo solo dire grazie.
Il tempo è un dono condiviso. Non è dato solo a me, è dato a tutti. Io mi trovo a viverlo insieme con migliaia, milioni e miliardi di persone che esistono, come me, per tutto l’arco della mia vita. Non solo: ho ereditato anche un patrimonio culturale che, nel bene e nel male, è stato messo insieme da miliardi di persone che mi hanno preceduto nella storia e sento la responsabilità di dover custodire questo patrimonio per infiniti miliardi di persone che potranno affacciarsi alla vita nel futuro. È una condizione che io non ho creato e nemmeno voluto, che mi accompagna sempre senza che me ne possa separare. Se volessi un tempo solo per me, senza gli altri, dovrei uscire dal tempo. Ma sarebbe la morte.
Il tempo, infatti, un dono per noi, ma non è nostro; ci è dato, ma non ne possiamo disporre a piacimento, perché non ci appartiene. Nel tempo sentiamo ed esprimiamo la nostra grandezza, che senza il tempo non potremmo percepire ed esprimere, ma il tempo ci rivela pure il nostro limite, perché ci sfugge e noi non lo possiamo trattenere. Il tempo è grande, quasi infinito: solo Dio gli da una misura. Io lo accolgo, lo vivo, ne fruisco con tutto me stesso, ma in ogni istante sento che non mi appartiene, mentre, in un certo senso, sono io che appartengo al tempo.
Ancora una volta devo concludere che posso solo dire grazie per il tempo che mi è dato.
Il tempo è un dono da capire. È un mistero da interpretare continuamente. Lo viviamo tutti e ne usufruiamo senza sosta. Forse però solo pochi si rendono conto dell’importanza e della ricchezza del dono ricevuto.
Come scorre il tempo? Perché mi è dato? Perché mi è dato proprio questo tempo e non altro? E tante altre domande che resteranno sempre senza una risposta che non sia il semplice “grazie”, colmo di meraviglia e di responsabilità, di semplicità e di gratitudine immensa. In questa linea di gratuità e di stupore posso dare al mio tempo ogni significato ed inserirvi ogni progetto. Senza questo senso della gratuità tutte le espressioni e tutte le attese finiscono per apparire prive di senso. Il tempo è un mistero: se con umiltà cerco di capirlo, posso fruirne con gioia, ma se voglio distorcerlo e forzarlo, ne resto io distorto e umiliato.
Il tempo è un dono divinizzato dal Natale del Signore. “Quando venne la pienezza dei tempi Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4,4). Da allora “il tempo è compiuto”, c’è un prima e c’è un dopo, c’è un punto di riferimento sicuro. Nel mistero del Natale il tempo accoglie l’eterno, la storia degli uomini diventa storia di Dio, il tempo inafferrabile e sfuggente diventa occasione imperitura di sperimentare la vita eterna, ogni attimo, vissuto in comunione col Verbo fatto carne
visibile, può dare frutti che rimangono per sempre (cfr. Gv 15, …), e può far gustare la gioia piena (cfr. 1 Gv 1,4).
Il tempo è un dono illuminato dal Vangelo: Gesù ci ha insegnato come accoglierlo e come viverlo in pienezza.
 “Il tempo è compiuto… convertitevi e credete al vangelo” (…). Così ogni istante che inesorabilmente fluisce sfuggendo su qualsiasi cronometro, può diventare un tempo propizio da vivere al meglio, anche quando – meraviglia delle meraviglie! – ci rendessimo conto di aver vissuto male il tempo precedente. La conversione sembra umanamente un assurdo, perché il tempo non torna indietro, ma nella luce del vangelo e nella potenza della fede nel Figlio di Dio la conversione diventa il segno più vero della pienezza del tempo.
 Nell’accoglienza di Cristo non solo trovo un senso per il momento che vivo, ma recupero anche tutto il mio passato e lo porto con me quale momento di grazia, proiettandolo in un futuro gravido di speranza, carico di fiducia e di serenità interiore.
Il tempo è un dono prezioso, il più prezioso di tutti i doni. È un dono da coltivare bene, da non sciupare in nessun modo. Un tempo sprecato è come se non fosse stato vissuto, è come la morte. Un tempo utilizzato in pieno esprime la mia fecondità di uomo, esprime il senso stesso della mia esistenza. L’uso del tempo fa di me un essere inutile o una persona vera, capace di esprimere se stessa.
Solo io posso decidere di sciupare il tempo senza valorizzarlo e allora sperimento l’inferno, il nulla, il non senso. Quello sarebbe il vero peccato.
Il tempo è un dono di cui dovremo rendere conto. Ne renderemo conto a Dio, ma già ne rendiamo conto a noi stessi e anche agli altri.
Gesù ce lo ha insegnato con la sua stessa vita e con la sua predicazione. Con la parabola dei talenti ci ha detto che ogni dono deve essere valorizzato, con la parabola delle vergini ci ha detto che non possiamo addormentarci inutilmente quando è tempo di vigilare e di operare (cfr. Mt 25, …). Chiamato a convertirmi per recuperare il tempo sciupato per la mia fragilità, non posso rifiutarmi di prendere coscienza della responsabilità che il dono del tempo mi consegna. Rendere conto del mio tempo è rendere conto di me stesso. Dovrò renderne conto perché il tempo mi è dato ma non mi appartiene, come io stesso sono ed esisto, ma non mi appartengo.
 Il tempo è dunque un dono da consumare nell’amore, perché tutto passa e solo l’amore rimane. Anche un solo bicchiere d’acqua offerto per amore non perde il suo valore, non perde la sua ricompensa(cfr. …).
Sperimento così la verità di un insegnamento che poteva sembrarmi assurdo e magari farmi paura: “chi ama la sua vita la perde, chi la dona … la conserva per la vita eterna” (…). Il tempo è fatto per l’amore e non ha posto per l’egoismo. Chi ama vive in pienezza e, quanto più intenso è il suo amore, maggiormente è pieno il tempo della sua vita.
Il tempo è caparra dell’eternità. Ce lo ricorda la Chiesa in una sua preghiera fa dire a Dio Padre: “ogni giorno del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del tuo amore per noi e un pegno della vita immortale”.
Il tempo accolto come dono, condiviso liberamente con tutti, vissuto nella grazia del Natale e nella luce del Vangelo, messo a frutto nell’amore, ci fa già sperimentare la realtà del paradiso, ce ne fa gustare la beatitudine, ci fa già sentire nella speranza quello che saremo sempre quando il tempo avrà fine e noi vivremo senza fine.

Con questa speranza di pienezza rendiamo grazie al Signore nostro Dio, perché davvero è cosa buona e giusta. Cosa altro potremmo dire se non “grazie”: il grazie pieno e solenne della nostra lode, il grazie che rende la nostra vita luminosa e colma di gioia.
Affidiamo il nostro grazie alla Vergine Madre di Dio. Santa Maria preghi per noi adesso e fino all’ora della nostra morte, fino all’ora che segnerà la fine del nostro tempo e l’ingresso definitivo nella vita eterna. Con lei e con tutti i santi, con tutti i fratelli e le sorelle che sanno dire grazie eleviamo a Dio la nostra lode oggi e nei secoli dei secoli.

S. E. Mons. Mario MeiniVescovo di Fiesole

  

LA TOMBA SEPARA, L’ALTARE UNISCE

TANTE LE SUGGESTIONI CHE OGNUNO DI NOI PUO’ COGLIERE DALLA PAROLA DI DIO CHE ABBIAMO SCOLTATO, TANTI MOTIVI DI RIFLESSIONE E DI PREGHIERA.
VORREI BREVEMENTE RICORDARE UN DATO SEMPLICE. CI TROVIAMO QUI A CELEBRARE INSIEME L’EUCARESTIA IN SUFFRAGIO DEI NOSTRI MORTI, OGGI, IN QUESTO GIORNO, IN QUESTO LUOGO A CELEBRARE LA MESSA: SU QUESTO VORREI APPENA RICHIAMARE LA MIA E LA VOSTRA ATTENZIONE.
C’E’ IN TUTTI NOI UN DESIDERIO DI COMUNIONE CON I NOSTRI CARI; ALLE PERSONE CHE CI HAN VOLUTO BENE E ALLE QUALI NOI ABBIAM VOLUTO BENE, NOI VOGLIAMO RESTARE UNITI , VOGLIAMO CHE QUESTO AFFETTO NON VENGA MENO, VORREMMO CHE LA LORO MEMORIA  SI FACESSE “CARNE”, INCONTRO; VORREMMO ANCORA POTERLI TENERE VICINI, ABBRACCIARE, VORREMMO SENTIRLI. E’ L’ISTINTO DEL CUORE, L’ISTINTO DEL CUORE UMANO CHE NON PUO’ RASSEGNARSI AL DRAMMA DELLA MORTE, NON PUO’ RASSEGNARSI ALLA SEPARAZIONE. MA CON QUESTO ISTINTO CONTRASTA IN MANIERA NETTA, FORTE, DRAMMATICA, LA REALTA’ DELLA TOMBA.
NOI OGGI SIAM VENUTI QUI, IN UN CERTO SENSO, COL CUORE GONFIO PER I NOSTRI CARI, TROVIAMO IL GELO, SOLO LA PROPOSTA DELLA FEDE PUO’ DIRE QUALCOSA. LA TOMBA CI RICHIAMA UN DATO ESSENZIALE, IL SEPOLCRO DI CRISTO, MORTO, COME NOI, COME TUTTI, MA UN SEPOLCRO VUOTO, APERTO E QUESTO ALLORA SI RICOLLEGA ALL’ISTINTO DEL NOSTRO CUORE, ALLA NON RASSEGNAZIONE , MA TRA IL NOSTRO ISTINTO E LA PROFESSIONE DI FEDE IN MEZZO C’E’ IL GELO
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ECCO ALLORA LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA: CELEBRARE MESSA SI DEVE  INTENDERE UN PO’ COME IL PASSAGGIO DALLA TOMBA ALL’ALTARE. I NOSTRI ANTICHI COSTRUIVANO L’ALTARE SULLE TOMBE DEI MARTIRI, O, SE VOGLIAMO, SEPPELLIVANO I NOSTRI MORTI NELLE CRIPTE, SOTTO LE CHIESE; UN NESSO UN LEGAME STRETTO FRA LA TOMBA E L’ALTARE. COME PER IL SEPOLCRO DI CRISTO PER ANNUNCIARE, SU OGNI ALTARE, MA SU OGNI TOMBA: PROCLAMIAMO LA TUA MORTE, PROCLAMIAMO LA TUA RISURREZIONE.
ED ECCO ALLORA IL MISTERO DELL’EUCARESTIA SUI NOSTRI ALTARI E SULLE TOMBE DEI NOSTRI CARI. LA TOMBA SEPARA, COL SUO GELO SEPARA, L’ALTARE E’ ALTARE DI COMUNIONE, CHE UNISCE. PROVIAMO ALLORA A PENSARE BENE QUEL CHE STIAMO CELEBRANDO; TRA POCO VERRA’ DETTO AD OGNUNO DI NOI: “IL CORPO DI CRISTO”, E NOI DIREMO: “AMEN”, LO ACCOLGO CON FEDE, CREDO IN QUESTA COMUNIONE COL SIGNORE; MA RIFLETTIAMO BENE, COSA STIAMO CELEBRANDO?  NOI E CRISTO IN COMUNIONE; SI, AMEN, LO CREDO. I NOSTRI CARI IN COMUNIONE CON LUI NELLA GLORIA. MA SU QUESTO ALTARE LA PRESENZA DEL SIGNORE, NEL SUO CORPO E NEL SUO SANGUE E’ L’ELEMENTO CHE UNISCE, CHE METTE IN COMUNIONE NOI E LUI, LUI GIA’ IN COMUNIONE CON I NOSTRI CARI, NOI CON I NOSTRI CARI IN COMUNIONE, PERCHE’ IN COMUNIONE CON CRISTO. NON E’ UN GIOCO DI PAROLE E’ IL MISTERO CENTRALE DELLA NOSTRA FEDE, E’ IL MISTERO CENTRALE DI OGNI EUCARESTIA CHE NOI FACCIAMO, SEMPRE, OGNI VOLTA, SU QUALUNQUE ALTARE IN COMUNIONE CON TUTTA LA CHIESA: RICORDATI SIGNORE DEI NOSTRI FRATELLI, DELLE NOSTRE SORELLE CHE CI HANNO PRECEDUTO COL SEGNO DELLA FEDE E DORMONO IL SONNO DELLA PACE, SEMPRE, TUTTI, NOI E LORO, PER CRISTO CON CRISTO E IN CRISTO, NELL’UNITA’ DELLO SPIRITO SANTO. IL SACRAMENTO UNISCE CIO’ CHE LA TOMBA DIVIDE; QUANDO LA TOMBA DIVENTA ALTARE ALLORA NON C’E’ SEPARAZIONE CHE REGGA, C’E’ COMUNIONE PIENA, GRAZIE A LUI, GRAZIE AL SIGNORE, IN LUI E PER LUI TUTTO VIVE, SIAMO IN COMUNIONE CON LUI E SENTIAMO UNA VICINANZA PROFONDA CON I NOSTRI CARI, SENTIAMO BENE QUESTA SENSAZIONE: NON IL GELO DELLA TOMBA, MA IL CALORE DELLA COMUNIONE, SORRETTO DALLA FEDE.
INCONTRANDO CRISTO, RICEVENDO NELLE NOSTRE MANI IL CORPO DI CRISTO CHE E’ IN COMUNIONE CON TUTTI NOI RICEVIAMO, ACCOGLIAMO, ABBRACCIAMO OGNUNO DEI NOSTRI CARI: E’ QUESTO IL MISTERO CHE CELEBRIAMO.
IN UN CERTO SENSO VORREI DIRE, ANCHE SE VENIRE AL CAMPO SANTO E’ UN ATTO DI CARITA’ GRANDE, NON E’ QUI CHE INCONTRIAMO I NOSTRI CARI, MA E’ SU OGNI ALTARE, OGNI VOLTA CHE CELEBRIAMO LA MESSA, IN CATTEDRALE, NELLE NOSTRE CHIESE, DOVUNQUE CELEBRIAMO L’EUCARESTIA RICEVENDO IL CORPO DEL SIGNORE, LI’ INCONTRIAMO I NOSTRI CARI, E NON PER SENTIRLI DISTANTI E SEPARATI DA NOI, MA PER SENTIRE UNA VICINANZA PIENA, COME QUELLA CHE ABBIAMO COL SIGNORE; PER CHI CREDE C’E’ UN DONO IMMENSO, UN DONO DI VICINANZA CON I PROPRI MORTI, NON NEL GELO DELLA TOMBA, MA NELLA PIENEZZA DELL’ALTARE; ALLORA DICIAMO DAVVERO GRAZIE AL SIGNORE PER QUESTO DONO DI COMUNION
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S. E. Mons. Mario Meini  –  Omelia al Cimitero di Fiesole 2010

 

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