La bellezza oltre l’estetica nella Laudato si’
Il testo della Laudato si’ di papa Francesco, ricco per i contenuti e fecondo per i tanti spunti presenti, può essere letto attraverso molteplici chiavi, permettendo così di tracciare al suo interno percorsi diversi, ciascuno dei quali in grado di gettare una luce sulla realtà poliedrica in cui viviamo. In questo contributo si ripercorre l’enciclica seguendo il filo conduttore della bellezza, un termine che non compare nel testo moltissime volte, anche se è presente in alcuni dei suoi punti salienti.
La bellezza, contemplata da sempre
Il concetto di bellezza ha attraversato tutta la storia dell’Occidente e dell’Oriente. La sua elaborazione è sempre stata al centro del pensiero filosofico e teologico, sin dall’inizio della nostra civiltà. È sufficiente pensare al mondo greco, dove il termine kalós significa allo stesso tempo “bello” e “buono”, in un’inseparabilità tra etica ed estetica. La parola “bellezza” è centrale anche nei testi biblici. Nel libro di Genesi – in cui il momento della creazione è concepito come una vittoria della forma sull’informe, su ciò che non ha vita, su tutto quanto si presenta come indifferenziato e indistinto – Dio, separando i diversi elementi del mondo, la luce dalle tenebre, il secco dall’umido e popolando la terra di vegetali e di animali, per creare alla fine l’uomo e la donna, si compiace della propria creazione. Da un caos senza vita si giunge in questo modo a un cosmo fecondo. Per sei volte risuona la frase: «Dio vide che era cosa buona». Per l’uomo e per la donna, il testo sottolinea: «Dio vide che era cosa molto buona».
Come già kalós, il termine ebraico tov, utilizzato per esprimere la meraviglia del creatore, ricopre entrambi i significati di bello e di buono, a significare che bontà e bellezza sono costitutive della creazione. La visione del creato diventa così un’epifania della bellezza che affascina lo stesso Creatore. È un’esperienza di stupore che sorprende, come quando ci troviamo di fronte a qualcosa “altro da noi” che, venendoci incontro, ci interroga, ci interpella. È fonte di meraviglia, occasione di lode, in cui gioiamo della bellezza di un oggetto che si porge alla nostra visione. La creazione diventa occasione di contemplazione, che invita a una risposta.
La creazione rivela la bellezza del creatore
Sarebbe riduttivo e miope considerare la Laudato si’ solo una semplice esortazione di natura ecologica: al suo centro vi è l’attenzione alla creazione e il forte e ripetuto invito a rispettarla. Riferirsi alla creazione significa mutare lo sguardo che portiamo sulle realtà che ci circondano, significa considerare l’intima connessione tra i vari elementi del cosmo, le strette relazioni tra le diverse parti. Il testo dell’enciclica è percorso da un sottofondo tematico: “tutto è in relazione”, “tutto è collegato”. Nessun aspetto della vita può essere estrapolato dal suo contesto. Al centro della riflessione sta dunque la relazione tra le diverse parti del mondo e tutte le attività umane. Papa Francesco propone un’ecologia integrale, che non può ridursi a un generico senso “verde”, ma che costituisce un approccio che affronta la complessità, mettendo in relazione le singole parti con il tutto1. In questo senso, tutti i fenomeni ambientali, come il riscaldamento globale, la deforestazione o la diminuzione delle riserve idriche, sono collegati con questioni che normalmente non sono associate a temi ecologici, come la invivibilità e la bellezza degli spazi urbani o il sovraffollamento dei trasporti pubblici. La bellezza va dunque contestualizzata nella prospettiva ampia e feconda di una “ecologia integrale” che richiede una vera e propria conversione di atteggiamenti dell’essere umano verso il mondo. In questa visione, l’enciclica ha una trama realmente interdisciplinare.
Se papa Francesco aveva già invitato a essere «custodi dei doni di Dio»2, nell’enciclica associa questo concetto a quello di tutela: «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS, n. 217). Riconoscere la creazione come opera di Dio è il primo passo per un’autentica custodia del creato, è una vera e propria vocazione. Prendersi cura del creato è un’esigenza della vita cristiana, una responsabilità che occorre assumere a livello individuale e collettivo.
Da subito la bellezza è interpretata come qualcosa di originario, proprio della natura, appartenendo all’ordine della creazione: la bellezza è presente nella creazione, in quanto Dio ne è autore. L’aveva ben compreso Francesco d’Assisi, che riconosceva e invitava a riconoscere nella bellezza del creato la presenza stessa di Dio (cfr LS, n. 12). Uno dei modi suggeriti dal poverello di Assisi per vivere questa esperienza era di lasciare incolta una parte dell’orto del convento, perché la vegetazione selvaggia cresciuta senza l’intervento della mano umana potesse divenire un rimando all’autore della vita. Questo splendido esempio mette in rilievo come la bellezza sia qualcosa di gratuito, che cresce e si sviluppa spontaneamente, senza bisogno dell’intervento dell’essere umano. Anche le erbe selvatiche vanno riconosciute nella loro bellezza, malgrado il nostro primo atteggiamento possa essere quello di non apprezzarle e di sradicarle per fare posto a una vegetazione ordinata. La creazione è intrinsecamente bella, in quanto è un libro che parla della potenza di Dio, e va dunque contemplata e lodata. Al cuore della creazione siamo chiamati a riconoscere il Creatore. La bellezza non è frutto di una conquista umana, ma dono. La bellezza è dunque qualcosa di fondativo.
Non solo, la creazione è sorella e madre, bella, accogliente: «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba”» (LS, n. 1). L’essere umano non può essere allora il dominatore del mondo, che si pone a proprio piacere al di sopra della creazione: questa non può essere considerata una proprietà di cui egli può liberamente disporre, per sfruttarla e impoverirla, ma un luogo dove egli vive come figlio e fratello.
Custodire e coltivare definiscono il senso dell’attività umana nel suo significato più profondo. I testi biblici «ci invitano a “coltivare e custodire” il giardino del mondo (cfr Genesi 2,15). Mentre “coltivare” significa arare o lavorare un terreno, “custodire” vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura» (LS, n. 67). L’uomo è “signore dell’universo”, in quanto deve esserne «amministratore responsabile» (LS, n. 116). Citando il testo di Genesi, Francesco rimanda all’idea del mondo come giardino: è dunque evocata la grande varietà cromatica della vegetazione, dei fiori e degli alberi, chiamati a costituire un insieme armonico. Ciascun elemento ha un ruolo fondamentale nell’accordo della totalità. La casa comune si manifesta dunque come una realtà complessa, in cui tutto è posto in relazione. Questa articolazione è segno della presenza di Dio: «L’insieme dell’universo, con le sue molteplici relazioni, mostra al meglio la ricchezza inesauribile di Dio» (LS, n. 86). È questa bellezza che il Figlio di Dio ha potuto contemplare: «Il Signore poteva invitare gli altri ad essere attenti alla bellezza che c’è nel mondo, perché Egli stesso era in contatto continuo con la natura e le prestava un’attenzione piena di affetto e di stupore. Quando percorreva ogni angolo della sua terra, si fermava a contemplare la bellezza seminata dal Padre suo» (LS, n. 97).
La bellezza del creato giunge a compimento con la creazione dell’uomo e della donna. L’essere umano è infatti a immagine e somiglianza di Dio: «Dopo la creazione dell’uomo e della donna, si dice che “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Genesi 1,31). La Bibbia insegna che ogni essere umano è creato per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Genesi 1,26). Questa affermazione ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana, che “non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone”»3. Nella casa comune del creato acquistano pienezza di senso le relazioni umane se non sono poste sotto il segno del dominio e del consumo del mondo, ma dell’apertura allo stupore e alla meraviglia (cfr LS, n. 11). In questo senso, la bellezza si traduce nel linguaggio della fraternità, di una libertà che si riconosce come donata, in quanto l’uomo non può mai porsi come ultima istanza (cfr LS, n. 6). La bellezza a cui fa riferimento papa Francesco non definisce dunque semplicemente un aspetto formale, ma profondamente etico, di una pienezza di vita da viversi nella comunione.
La bellezza delle opere umane
La bellezza è tuttavia anche attributo dell’attività umana, anche se «ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un’altra creata da noi» (LS, n. 34). L’enciclica non si riferisce solo a quanto siamo abituati a considerare capolavori, frutto della creatività e del genio umano nei vari campi artistici, dalla pittura alla scultura e all’architettura, dalla musica alla letteratura, ma riconosce la bellezza degli oggetti e delle opere realizzate grazie alle innovazioni conseguite dalla tecnoscienza quando è ben orientata. Ammirare un grattacielo o vedere un film realizzato utilizzando le recenti tecnologie sono vere e proprie esperienze della bellezza, che permettono «di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza» (LS, n. 103) che diviene anche un salto verso una più piena e profonda consapevolezza di sé. La bellezza esprime dunque qualcosa di profondamente umano e aiuta a uscire da una logica di semplice interesse: «Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad uscire dal pragmatismo utilitaristico» (LS, n. 215). Amare la bellezza vuole dire affrontare la vita secondo una logica di gratuità, che superi qualunque dinamica dettata dal profitto economico e dall’interesse personale. Amare la bellezza appartiene infatti alla logica della lode e della contemplazione verso qualcosa che ci è stato donato e per il quale rendiamo grazie.
Dove si manifesta questa bellezza in modo particolare se non nella città, che nasce dall’attività umana? Papa Francesco, dopo avere parlato della creazione, riprende dunque la dinamica biblica per leggere il rapporto tra la natura e la città. Se Genesi ci introduceva nel Paradeisos, nel giardino delle origini e della pienezza della relazione tra Dio ed essere umano, l’Apocalisse giovannea ci consegna la magnifica visione della Gerusalemme celeste che discende dal cielo, citata alla fine dell’enciclica. La città segna la meta del viaggio dell’umanità, è la casa comune del cielo. Dalla natura si passa a un contesto urbano, dunque, inteso come luogo di comunione e di fraternità, in cui «La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati» (LS, n. 243).
Una città che sa convivere con la creazione
Nell’enciclica la bellezza è un attributo della città che sa convivere con la natura. Tuttavia, nelle città contemporanee questi spazi di buona convivenza non sono disponibili per tutti, ma sono luoghi di esclusione e di emarginazione nei confronti di chi vive invece in zone degradate e deteriorate. La bellezza diventa allora patrimonio di pochi, facendo emergere contraddizioni che non possono essere ignorate: «In alcuni luoghi, rurali e urbani, la privatizzazione degli spazi ha reso difficile l’accesso dei cittadini a zone di particolare bellezza; altrove si sono creati quartieri residenziali “ecologici” solo a disposizione di pochi, dove si fa in modo di evitare che altri entrino a disturbare una tranquillità artificiale. Spesso si trova una città bella e piena di spazi verdi ben curati in alcune aree “sicure”, ma non altrettanto in zone meno visibili, dove vivono gli scartati della società» (LS, n. 45).
La bellezza diventa dunque privilegio di pochi e ben presto svanisce se l’essere umano non se ne prende cura. Così, la terra diventa «meno ricca e bella» (LS, n. 34) quando gli interventi umani si pongono esclusivamente al servizio della finanza e del consumismo. La città, invece di essere luogo di vera crescita per chi vi abita, si fa allora invivibile e disumana. Papa Bergoglio, da vescovo di Buenos Aires, una tra le più popolose metropoli del mondo, ha vissuto in prima persona le pesanti conseguenze di uno sviluppo urbano disordinato e caotico che si traduce nell’invivibilità delle città e nello spreco di risorse naturali preziose. Gli abitanti delle città cresciute in modo smisurato, in particolare i più poveri, sono costretti a pagare un prezzo alto in termini di qualità della vita per l’assenza o l’insufficienza dei servizi essenziali e per gli effetti dell’inquinamento (cfr LS, n. 44).
Questa attenzione alla città non può fare a meno di considerarne il patrimonio culturale. Accanto al rispetto della natura occorre infatti salvaguardare il patrimonio storico-artistico e culturale di una città, in modo tale che le sue diverse identità possano essere custodite e preservate. Occorre integrare la storia e prestare attenzione alle identità culturali – incluse le culture locali, espressione di una matrice più popolare che sarebbe erroneo considerare con sufficienza – contro la tentazione di distruggere quanto esiste per far posto a nuove città ideate e realizzate seguendo un’ideale ispirato all’ecologia: «Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio. In modo più diretto, chiede di prestare attenzione alle culture locali nel momento in cui si analizzano questioni legate all’ambiente, facendo dialogare il linguaggio tecnico-scientifico con il linguaggio popolare. È la cultura non solo intesa come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo, che non si può escludere nel momento in cui si ripensa la relazione dell’essere umano con l’ambiente» (LS, n. 143).
Non si tratta dunque semplicemente di conservare dei monumenti, la cultura va intesa in senso partecipativo, attivo, va ripensata globalmente in un rapporto tra essere umano e ambiente. Francesco fa emergere qui un tema antichissimo, già presente nell’edificazione della città medioevale nel contesto del territorio in cui si sviluppa, così come nella teorizzazione delle città ideali del Rinascimento, sino a giungere alle città giardino, che nell’Inghilterra di fine Ottocento e poi in altri Paesi tentarono di creare un’armonia tra città e natura.
Per questo sviluppo armonico della città nella natura occorre un cambiamento dei nostri paradigmi tradizionali, in un’integrazione tra ecologia e giustizia sociale. Per un «progetto di pace, bellezza e pienezza» (LS, n. 53), un approccio ecologico non può infatti fare a meno di diventare un approccio sociale, in cui la giustizia occupa un ruolo centrale. Papa Francesco fa emergere come in realtà non si possa parlare di bellezza senza una giustizia sociale che ascolti il gemito della terra e il grido dei poveri: «Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (LS, n. 49). La constatazione del degrado in cui versa la nostra società – inevitabile quando si guarda la realtà con onestà – non deve tradursi nella sfiducia e nella rassegnazione, perché è ancora possibile lavorare e collaborare per migliorare e custodire quanto abbiamo ricevuto in dono, nella consapevolezza che «Non esistono sistemi che annullino completamente l’apertura al bene, alla verità e alla bellezza» (LS, n. 205).
Bellezza di Dio
Tuttavia, il modo con cui si può parlare di bellezza è innanzitutto relativo a Dio, alla Trinità: «quando contempliamo con ammirazione l’universo nella sua grandezza e bellezza, dobbiamo lodare tutta la Trinità» (LS, n. 238). L’enciclica lo ricorda in varie occasioni: «Maria […] vive con Gesù completamente trasfigurata, e tutte le creature cantano la sua bellezza. […] Nel suo corpo glorificato, insieme a Cristo risorto, parte della creazione ha raggiunto tutta la pienezza della sua bellezza» (LS, n. 241); «Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio» (LS, n. 243). Infine, il termine “bellezza” ricorre ancora nelle preghiere con cui si conclude la Laudato si’: due volte nella «Preghiera per la nostra terra» («affinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza», «affinché seminiamo bellezza») e una volta nella «Preghiera cristiana con il creato» («insegnaci a contemplarti nella bellezza dell’universo»).
La chiave interpretativa per riconoscere la bellezza è dunque prima di tutto teologica: «La fede ci permette di interpretare il significato e la bellezza misteriosa di ciò che accade» (LS, n. 79). Così, «nella spiritualità dell’Oriente cristiano la bellezza esprime l’umanità trasfigurata: “La bellezza, che in Oriente è uno dei nomi con cui più frequentemente si suole esprimere la divina armonia e il modello dell’umanità trasfigurata”» (LS, n. 235). Il termine “bellezza” è dunque riferito a varie dimensioni, dalla natura prima, all’essere umano e alle sue opere poi, ai progetti di pace realizzati nel corso della storia. Tuttavia, la bellezza è innanzitutto attributo di Dio, in quanto ogni altra bellezza viene da Dio che ne è l’Autore. Se prima di tutto la bellezza è una realtà di cui prendersi cura, diventa poi una realtà che gli esseri umani stessi possono seminare. Dalla bellezza della creazione a quella Dio, attraverso la bellezza umana, l’enciclica di Francesco risulta un vero e proprio cammino teologico. L’uomo, partendo dal riconoscimento della bellezza del creato giunge al riconoscimento della presenza di Dio al cuore stesso della creazione. Al centro è posta la giustizia, intesa quale asse orizzontale che incontra quello verticale, creando così un’intersezione che ricorda quella stessa formata dalla croce di Cristo. La bellezza rivela infatti primariamente l’essere di Dio. E nella bellezza, Dio si rivela all’umanità. Andrea Dall’Asta
NOTE
- Cfr Costa G. – Foglizzo P., «Evangelii gaudium: un “motore” per la Laudato si’ (I)», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2016) 156-163, e Idd., «Evangelii gaudium: un “motore” per la Laudato si’ (II)», ivi, 3 (2016) 242-251.
- Papa Francesco, Omelia della messa di inizio del pontificato, Roma, 19 marzo 2013, in <www.vatican.va>. L’invito di papa Francesco ha un rilievo particolare e solenne, trattandosi dell’omelia con cui ha inaugurato il suo pontificato.
- Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 357, in <www.vatican.va>.
CITAZIONI
D’altra parte, san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: “Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore” (Sap 13,5) e “la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode.
La tecnoscienza, ben orientata, è in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano, a partire dagli oggetti di uso domestico fino ai grandi mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, agli spazi pubblici. È anche capace di produrre il bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza. Si può negare la bellezza di un aereo, o di alcuni grattacieli? Vi sono preziose opere pittoriche e musicali ottenute mediante il ricorso ai nuovi strumenti tecnici. In tal modo, nel desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana.
Oggi riscontriamo, per esempio, la smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili dal punto di vista della salute, non solo per l’inquinamento originato dalle emissioni tossiche, ma anche per il caos urbano, i problemi di trasporto e l’inquinamento visivo e acustico. Molte città sono grandi strutture inefficienti che consumano in eccesso acqua ed energia. Ci sono quartieri che, sebbene siano stati costruiti di recente, sono congestionati e disordinati, senza spazi verdi sufficienti. Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura.