Don Tonino Bello nel nome della pace
Osservava il suo amato popolo con lo sguardo del Signore, compassionevole e innamorato:
«Una gente povera di denaro, ma ricca di sapienza. Dimessa nel comportamento, ma aristocratica nell’anima. Rude nel volto contadino, ma ospitale e generosa. Con le mani sudate di fatica e di terra, ma linda nella casa e nel cuore. Forse anche analfabeta, ma conoscitrice dei linguaggi arcani dello spirito».
Il “sud del sud” era un’espressione che don Tonino Bello spesso ripeteva in macchina, a chi lo accompagnava durante i suoi spostamenti da un paesino all’altro del Salento. Osservava il suo amato popolo con lo sguardo del Signore, compassionevole e innamorato: «Una gente povera di denaro, ma ricca di sapienza. Dimessa nel comportamento, ma aristocratica nell’anima. Rude nel volto contadino, ma ospitale e generosa. Con le mani sudate di fatica e di terra, ma linda nella casa e nel cuore. Forse anche analfabeta, ma conoscitrice dei linguaggi arcani dello spirito».
In questo sud, ad Alessano, Tonino Bello nasce il 18 marzo del 1935. Nel 1945 entra in seminario, nel 1957 viene ordinato sacerdote e all’età di ventotto anni diventa monsignore. Il 10 agosto 1982 è nominato vescovo di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi. Nella sua omelia di insediamento, il 21 novembre, dice: «Accoglietemi come fratello e amico, oltre che come padre e Pastore. Liberatemi da tutto ciò che può ingombrare la mia povertà».
Queste non sono solo parole, ma un autentico programma di vita. Col passare dei mesi, egli intensifica i suoi aiuti verso coloro che versano in condizioni pietose. Apre le porte del suo appartamento vescovile agli sfrattati, a chi ha bisogno di un po’ di pane, o di un po’ di affetto. Predilige i poveri, consapevole che solo da loro viene la “salvezza”. La sua è e deve essere una Chiesa povera, una Chiesa sempre al servizio di tutti, che lui stesso definisce “la Chiesa del grembiule”. Percorre le strade della diocesi, cercando di incontrare gli ultimi, cioè quelli che sono ai margini della società. Alla sera, si reca alla stazione per incontrare i barboni che si fermano a dormire nella sala d’attesa. Sempre alla sera, sosta nella cappella dell’episcopio per pregare e per scrivere, perché la cappella è l’unico luogo dove può andare senza essere disturbato, come accade invece durante il giorno. Quasi sempre prega e scrive di notte. Davanti al Signore prepara discorsi e omelie. Nella cappella rinfranca il suo cuore e in quel rapporto stretto la Sapienza lo investe: «Io scrivo a quattro mani, due sono mie, due sono del Signore».
Nel 1985, arriva la nomina a presidente di Pax Christi che lo vede protagonista di tante battaglie a difesa della pace. I conflitti e tutte le guerre, afferma, «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti». Com’è vero. Quando l’altro non è più riconosciuto come fratello ma diventa un ostacolo alla tua libertà, alla tua vita, al tuo modo di essere o pensare, tu o lo eviti o lo elimini. Subisce molte critiche, esponendosi in prima persona, anche confrontandosi con le autorità pubbliche. Indomito, difende la vita e la dignità dei deboli, dei rifugiati, degli emarginati. Ma la sua battaglia più dura e personale l’affronta nel 1991, quando gli viene diagnosticato un tumore allo stomaco; ha solo cinquantasei anni. Per quasi due anni alterna terapie dolorose a impegni pastorali. Non lascia il suo popolo, i suoi giovani, i suoi poveri. L’8 aprile 1993 presiede la Messa Crismale del Giovedì Santo. La gente si riversa in Cattedrale. Attorno a quell’altare si compie la sua offerta definitiva. Muore il 20 aprile. Qualcuno suona le campane a festa. Tutti comprendono. Don Tonino è entrato in Paradiso. Il Pastore è andato a preparare un posto per il suo gregge.
Maria Emmanuel Corradini