Grazia sacramentale

 

Il granello di senapa e il lievito

(prima riflessione)

Dal brano del Vangelo di S. Luca: 13, 18-21

18 «Dicebat ergo: – Cui simile est regnum Dei, et cui simile existimabo illud?

19 Simile est grano sinapis, quod acceptum homo misit in hortum suum, et crevit et factum est in arborem, et volucres caeli requieverunt in ramis eius -.

20 Et iterum dixit: – Cui simile aestimabo regnum Dei?

21 Simile est fermento, quod acceptum mulier abscondit in farinae saia tria, donec fermentaretur totum».

LA GRAZIA SACRAMENTALE

Gesù Cristo raffigura il Regno dei Cieli in due parabole del santo Vangelo: quella del granello di senapa seminato da un uomo in un campo e cresciuto, con l’aiuto della pioggia e del calore del sole, in un grande albero, alla cui ombra si rifugiano gli uccelli dell’aria; e quella del lievito che, dopo essere stato messo da una donna in tre misure di farina, fermenta tutta la pasta e diventa un ottimo pane.

Nel loro senso letterale le due parabole significano la predicazione evangelica la quale, cominciata da Cristo là in Giudea e poi continuata dagli Apostoli nelle altre parti del mondo, crebbe come un grande albero da piccolissimo seme, in modo che gli uccelli dell’aria, cioè tutti i popoli della terra illuminati dalla luce divina, corsero a rifugiarsi sotto l’ombra di quell’albero salvatore per formare tra i suoi rami i loro nidi, cioè per riposare tranquillamente in seno della Chiesa cattolica.

Oltre a questo significato generale, però, le due parabole hanno anche altri significati per farci intendere come da piccole cose, tanto nel bene quanto nel male, talvolta possono derivare grandissimi avvenimenti. Un moderno apologista dice che nelle due parabole, specialmente in quella del lievito, è racchiuso il significato dell’efficacia della grazia santificante la quale, messa in noi nel santo Battesimo, come un granellino di senapa in piccolo campo, o meglio, come un po’ di lievito nascosto in una certa quantità di farina, poco a poco cresce e si dilata per mezzo degli altri sacramenti, compenetra l’anima in ogni sua parte, la fermenta tutta, la ritrae dal male, la piega al bene e, con la fecondità delle operazioni che in essa produce, la rende pane squisito, cioè carica di meriti per il paradiso.

Io, dunque, lasciando oggi da parte ogni altro spunto che mi potrebbero suggerire le accennate parabole, mi fermerò a dire qualcosa della grazia sacramentale, cioè di quella grazia che Dio ci comunica per mezzo dei santi Sacramenti e che deve suscitare in noi rispetto e riconoscenza: rispetto verso i Sacramenti dai quali, come da altrettanti canali, scende in noi la divina grazia; riconoscenza verso Dio che, nella sua infinita bontà, ci ha fornito di mezzi così salutari.

La grazia, dunque, è il mistico lievito con cui Dio fermenta l’anima nostra, la perfeziona, la santifica e la rende un ottimo pane. Che cos’è, infatti, la grazia santificante? Essa non è altro che l’amore di Dio verso di noi, un’amicizia che Dio contrae con noi e, per usare le parole stesse di S. Paolo, è una partecipazione che Dio ci fa della sua stessa divina natura: in una parola, è l’amore ineffabile che Dio porta alle anime nostre per cui, distruggendo in noi la colpa, ci fa belli della sua stessa bellezza, ci solleva, ci nobilita, ci divinizza, ci rende una viva immagine di se stesso, ci fa diventare suoi figli adottivi.

S. Giovanni dice: «II Padre ci amò di tale amore, che siamo chiamati e siamo realmente figli di Dio, fratelli di Gesù Cristo, eredi legittimi del Paradiso». Questa grazia santificante Dio pietoso la pone dentro di noi come piccolo seme in un campo e come lievito in mezzo alla farina quando riceviamo le acque del santo Battesimo, le quali poi, con l’aiuto di mistiche piogge salutari e del calore di un sole misterioso, cioè per mezzo degli altri Sacramenti, cresce, si fortifica, si dilata in modo che, estendendo la sua virtù a tutte le potenze dell’anima, nonché ai sensi del corpo, perfeziona e santifica tutto l’uomo. Essa è come la luce: una nell’essenza e molteplice negli effetti. La luce è bianca nei gigli, oscura nei giacinti, verde nelle foglie, vermiglia nella rosa, ardente nei garofani, eppure è sempre la stessa luce. Così la grazia santificante; quantunque una in se stessa, genera in noi effetti diversi.

Nel Battesimo ci monda e ci purifica dal peccato originale e infonde nell’anima l’abito delle tre virtù teologali; nella Cresima ci fortifica nella fede e ci arma, contro le tentazioni, di una forza tutta propria e divina; nell’Eucaristia ci sostenta e ci nutre, affinché non ricadiamo in nuove colpe; nella Penitenza ci risana e guarisce dalle ferite causate da noi stessi con l’abuso del nostro libero arbitrio; nell’Estrema Unzione ci raddolcisce le ultime angosce della vita e ci dispone al grande passaggio dell’eternità. Nell’Ordine ci spiritualizza, ci distacca dai caduchi piaceri di questo mondo; nel Matrimonio santifica l’inclinazione naturale dell’uomo e converte, a vantaggio spirituale dell’anima, ciò che sembrerebbe la dovesse contaminare.

Per operare tutti questi diversi e molteplici effetti in noi, la grazia sacramentale non distrugge la nostra natura, ma si accomoda e si adatta ai suoi stessi bisogni.

Notate qui la Bontà e la Sapienza di Dio nel provvedere la sua Chiesa di tali e tanti Sacramenti, quanti appunto ne abbisogna la natura umana.

L’uomo, in questo mondo, nasce a quattro generi di vita: nella fanciullezza nasce alla vita naturale, nell’adolescenza alla vita intellettuale, nella virilità alla vita sociale e, nella morte, alla vita eterna.

Per ciascuna di queste quattro tappe della vita vi è un Sacramento particolare ed appropriato. Nella fanciullezza l’uomo nasce alla vita naturale. Entrato nel mondo schiavo del demonio e nemico di Dio per colpa del nostro padre Adamo, ecco che la S. Chiesa, sposa di Gesù Cristo, gli viene incontro e lo accoglie, tenero bambinello, nelle sue amorose braccia, lo battezza nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e, con l’acqua salutare, lo lava e lo purifica dalla macchia originale, sciogliendolo dalle catene della schiavitù infernale.

Anche se non distrugge in lui, per le ragioni che dirò in seguito, il fomite della concupiscenza e quella naturale inclinazione che sente in se stesso verso il male, grandemente gliela mortifica e, rivestendolo della primitiva innocenza, lo rimette in amicizia con Dio e lo fa erede del Paradiso. Questo fanciullo battezzato, se muore prima dell’uso di ragione, subito viene trasportato in Cielo dagli Angeli senza neppure toccare le fiamme del Purgatorio, perché il Battesimo cancella dall’anima ogni traccia di colpa e di pena.

Nell’adolescenza l’uomo nasce alla vita dell’intelletto. Sviluppandosi in lui la ragione, egli entra nel campo delle tentazioni e si trova assalito dai suoi spirituali nemici ora con dubbi e oscurità intorno alle verità rivelate, ora con la sollecitazione dei sensi e la ribellione della carne, ora con il cattivo esempio dei compagni e col rispetto umano, ora in mille altre maniere. La santa Madre Chiesa gli viene ancora in soccorso col sacramento della Cresima, lo unge col sacro crisma in fronte, al modo degli antichi atleti i quali, prima di entrare in combattimento, si ungevano di olio per essere più snelli nella lotta e più sicuri nella vittoria. Con l’aiuto di questo Sacramento lo rafforza nella fede ricevuta nel battesimo, lo fortifica coi doni dello Spirito Santo e lo rende più coraggioso nei combattimenti; se col Battesimo lo fece figlio di Dio, ora lo rende perfetto soldato di Gesù Cristo.

Ho detto che il battesimo mortifica e frena grandemente in noi il fomite della concupiscenza, cioè quella naturale tendenza e propensione che tutti abbiamo a mal fare, ma non la distrugge del tutto, perché il Signore vuole che questa resti in noi anche dopo tale sacramento, affinché ci ricordiamo della nostra miseria e stiamo sempre in grande umiltà, sapendo che se ora non ci sentiamo più pesare sul collo le ferree catene della schiavitù del peccato, lo dobbiamo a Lui solo che, per somma bontà, ce ne ha liberati. Allo stesso modo, per perpetuare tra i figli di Israele la memoria del grande beneficio che Dio fece a quel popolo quando lo fece passare a piedi asciutti il Mar Rosso, comandò il condottiero Giosuè di far prendere dal fondo di quel fiume dodici pietre, cioè una per ciascuna tribù, e di erigerle in monumento sulle sponde del medesimo fiume. Dio ci ha lasciato l’inclinazione al male, anche per dare l’occasione di acquistare dei meriti, dovendo sostenere tante tentazioni e tanti contrasti nella via della virtù.

Nella virilità, poi, l’uomo nasce alla vita sociale e tende alla dilatazione di se stesso. Dio, allora, gli preparerà un sacramento col quale, santificando la sua naturale tendenza, lo associa alla grande opera della conservazione del mondo e, per mezzo del Matrimonio, lo rende quasi un altro creatore facendo sì che concorra alla propagazione e conservazione dell’umana famiglia. Siccome, però, il matrimonio, quantunque elevato da Gesù Cristo alla grande dignità di Sacramento, lascia all’uomo lo sfogo della passione, ecco un altro Sacramento: il sacramento dell’Ordine il quale, mortificando i sensi, solleva l’uomo dalla sua bassezza, lo innalza ad una dignità tutta divina e lo costituisce quasi un altro Dio, redentore qui sulla terra.

Se il matrimonio, rivolgendo i pensieri e gli affetti dell’uomo ai piaceri terreni, sembra che voglia materializzare lo spirito, il Sacramento dell’Ordine, staccando l’uomo da ogni affetto e piacere terreno, spiritualizza la materia e fa sì che non debba avere altro a cuore se non di piacere a Dio e continuare indefesso, quaggiù, l’opera della redenzione iniziata da Gesù Cristo, santificando se stesso e attendendo alla santificazione dei suoi simili.

Grande amore e riconoscenza dobbiamo noi al buon Gesù per averci provveduto di mezzi così opportuni ai nostri bisogni; gran rispetto dobbiamo ai sacerdoti, essendo essi destinati da Dio a fare le sue veci di redentore qui sulla terra! Chi, infatti, ci assolve dai peccati, chi ci spezza il pane della divina Parola, chi ci amministra i santi Sacramenti, chi ci assiste nelle nostre agonie, chi ci consola nella nostra afflizione? Non sono i sacerdoti? Quale venerazione e quale rispetto non dobbiamo noi a questi ministri di conforto e di pace! Come avremo dunque il coraggio di parlare male in loro presenza, di mormorare, di criticare le loro azioni? Questo è un delitto che Dio uguaglia al disprezzo di se stesso: «Chi disprezza voi, disprezza me». Dio afferma che offendere in qualsiasi modo i sacerdoti è come colpire la pupilla dei suoi occhi.

Quando, finalmente, l’uomo muore al mondo, rinasce alla vita eterna. In tale occasione la S. Chiesa gli amministra il Sacramento dell’Olio degli Infermi, il quale lo assolve e lo purifica da tutti i residui dei suoi peccati, lo conforta nelle sue agonie, lo incoraggia negli assalti del demonio e lo accompagna, mondo e terso da ogni macchia, alla casa dell’eternità, ove egli inizia a vivere una vita nuova tutta pura e tutta santa nella beata dimora del Paradiso. Siccome questo sacramento dell’Olio Santo non si può ricevere nell’altro mondo, perché di là la giustizia divina non fa più uso dell’esercizio della misericordia, così lo si amministra al moribondo, quasi al confine del tempo e all’inizio dell’eternità. È infatti un Sacramento che fa rinascere l’uomo alla vita eterna, come il battesimo lo fa rinascere alla vita spirituale della grazia.

Gli altri due Sacramenti, dell’Eucaristia e della Penitenza, ci sono anch’essi molto necessari. Gesù Cristo sapeva che la vita della grazia non si sarebbe mantenuta in noi senza un nutrimento confacente à se stessa. Come il corpo, per vivere ed operare, ha bisogno di un cibo materiale che lo alimenti, così l’anima, per vivere ed operare virtuosamente, ha bisogno di un cibo spirituale che la sostenti. Ed ecco la santissima Eucaristia, in cui Gesù offre un pane tutto divino e celeste che ci corrobora lo spirito e ci rende pronti alle operazioni della grazia ed alla pratica delle sante e cristiane virtù.

Gesù Cristo sapeva che, purtroppo, non ci saremmo mantenuti sempre fedeli alla prima grazia ricevuta nel santo Battesimo, perché grande è la nostra debolezza, e che saremmo nuovamente caduti nel peccato. Ecco perciò che Egli, nell’infinita sua misericordia, ha istituito il Sacramento della Penitenza, col quale noi possiamo rimarginare le ferite causate all’anima nostra dalle colpe attuali, per rimetterla nello stato di grazia e in amicizia con Dio, qualora fosse morta sotto l’enorme peso del peccato mortale. È vero che la condizione, da Dio posta, di confessare i nostri peccati è un po’ dura e rincresce molto al nostro amor proprio e alla nostra superbia, ma come esentarsene se Egli non fu mai solito perdonare i peccati senza prima averne avuto la confessione? Osservate il nostro padre Adamo nel paradiso terrestre.

Egli pecca perché trasgredisce il comando divino mangiando il frutto proibito. Iddio, allora, scende subito dal cielo in quel luogo, lo chiama e gli chiede perché abbia mangiato il frutto vietato. Adamo, invece di riconoscere la propria ingratitudine, confessare la propria colpa e chiedere perdono a Dio, si scusa col dire che è stata la donna che lo ha tradito. Dio, allora, quantunque disceso laggiù con l’intenzione di perdonarlo, non lo perdona, anzi lo scaccia, in pena della sua malvagità, da quel delizioso giardino e pone sulla porta un Cherubino fiammeggiante con una spada in mano, per impedirgli l’entrata qualora avesse tentato di ritornare. Gli perdonò solo quando, vedutosi scacciato da quel paradiso terrestre, Adamo rientrò in se stesso, riconobbe il proprio peccato e lo confessò dinanzi a Dio sinceramente.

Quando Davide ottenne dal Signore il perdono dei suoi gravi peccati? Quando li confessò a Lui schiettamente con quelle parole: « Peccavi, Domine, miserere mei – ho peccato, Signore, abbi pietà di me». E così andate voi discorrendo di qualunque altro peccatore.

Sapete voi perché il Signore vuole che il perdono del peccato sia preceduto dalla confessione dello stesso? Perché, siccome la nostra superbia e il nostro orgoglio furono quelli che ci indussero a scuotere il giogo della divina legge, a trasgredire i suoi santi Comandamenti e a volgere le spalle a Lui per convertirsi alle creature, Egli vuole che l’umiltà, nel riconoscere e confessare la nostra malvagità, sia il principio e la testimonianza di esserci convertiti nuovamente a Lui, Bene infinito. Anche i fanciulli, macchiati della sola colpa originale, per ottenere la loro giustificazione sono obbligati, nel loro muto linguaggio, a confessare il loro peccato tacitamente nell’accostarsi a ricevere l’acqua battesimale.

Non ci facciamo dunque rincrescere di manifestare con sincerità e schiettezza al Confessore tutte le piaghe dell’anima nostra, affinché questi ci possa, con una buona assoluzione, applicare i meriti della Passione e Morte di Gesù Cristo, per mezzo dei quali resti in noi cancellata ogni colpa. Allora si verificherà per noi quello che diceva il Profeta Isaia, cioè che dalla fontana delle piaghe del Salvatore noi berremo l’acqua pura della nostra santificazione. «Attingerete acqua con gaudio dalla fonte del Salvatore» e queste acque salutari ci saranno ancora di consolazione e di conforto in vita, in morte e per tutta l’eternità in Paradiso.

Per attingere quindi con abbondanza e con frutto alla fonte della Grazia, procuriamo di accostarci al divin Sacramento della Penitenza con sentimenti di fede, di amore e di viva riconoscenza a Gesù Cristo, che si degnò di provvederci di tanti ed efficaci aiuti o sacramenti, quanti abbisognano all’umana natura, per mezzo dei quali la grazia santificante messa da Dio in noi nel Battesimo, quasi piccolo seme in un campo o poco lievito in una certa quantità di farina, va crescendo lentamente fino alla totale perfezione dell’uomo, che accompagna in modo proprio e particolare in tutti i quattro periodi della sua vita finché, togliendolo santificato da questo mondo, lo trasporta finalmente in seno all’eternità a godere la meritata beatitudine.

Amen.