Disposizioni frutto

 

Il seminatore

Dal brano del Vangelo di S. Luca: 8, 4-8; 15

4 «Cum autem turba plurima conveniret et de singulis civitatibus properarent ad eum, dixit per similitudinem:

5 «Exiit, qui seminat, seminare semen suum. Et dum seminat ipse, aliud cecidit secus viam et conculcatum est, et volucres caeli comederunt illud.

6 Et aliud cecidit super petram et natum aruit, quia non habebat umorem.

7 Et aliud cecidit inter spinas, et simul exortae spinae soffocaverunt illud.

8 Et aliud cecidit in terram bonam et ortum fecit fructum centuplum -. Haec dicens clamabat: – Qui habet aures audiendi, audiat…».

15 «… Quod autem in bonam terram: hi sunt qui in corde bono et optimo audientes verbum retinent et fructum afferunt in patientia».

DISPOSIZIONI PER UDIRE CON FRUTTO LA DIVINA PAROLA

All’udire da me, l’altra volta, la meravigliosa virtù e l’efficace potenza della divina parola, io non provo difficoltà a credere che voi non aveste, fin da allora, una forte obiezione da farmi. So che andate dicendo tra voi che, se la predicazione evangelica fu già fin dai primi tempi una calamità di tanta forza che attirava anche i cuori più duri e più ostinati, una spada così robusta che spezzava perfino i cedri del Libano, una voce così possente che si faceva intendere perfino dai peccatori e sapeva anche rivestire di fresca carne le ossa aride e tutte rianimarle di nuovo spirito: « Ossa arida, audite verbum Dei », perché – voi andate dicendo – al presente la parola di Dio ha perduto la sua efficacia? Perché, al giorno d’oggi, si vede così poco frutto tra gli stessi cristiani? Perché noi religiosi, dopo tante prediche, tanti Esercizi Spirituali, tante letture, chi più e chi meno, siamo sempre gli stessi di prima?

Benissimo, Suore mie, benissimo, è purtroppo vero quello che voi dite. Ma se la divina Parola non produce più frutto in noi, di chi è la colpa? Non certamente della Parola stessa perché essa è viva, dice S. Paolo, ed è efficacissima: « vivus est sermo Dei et efficax ». È viva ed ha la forza di far sempre bene operare, è efficace, induce facilmente la volontà all’atto e fa sì che realmente si operi.

La sua forza e la sua efficacia non può mancarle mai, perché si fonda su quegli aiuti che Dio, in questa occasione più che in qualsiasi altra, effonde nei nostri cuori. Neppure può venire da Dio la causa per cui non porta frutto la sua santa Parola, che anzi Egli vuole che ne approfittino tutti senza eccezione, ordinando perciò espressamente ai suoi ministri di annunciarla a tutti, in ogni tempo e luogo: «Andate in tutto il mondo e insegnate a tutte le genti…, predicate il Vangelo ad ogni creatura». Egli vuole, anzi brama ardentissimamente, ricevere da tutti copiosissimi frutti. «Io vi elessi perché andiate e portiate frutto». Come avviene, dunque, che rimane per noi infruttuosa la Parola di Dio? Ascoltatemi con attenzione e lo vedrete.

Se la divina Parola produce in noi poco o nessun frutto, la colpa è tutta nostra perché noi non l’accogliamo con le dovute disposizioni; questa e non altra è la vera causa della sua lacrimevole sterilità. Leggete il capitolo 8 del Vangelo di S. Luca. In quel capitolo il santo Evangelista vi presenta la Parola di Dio sotto l’allegoria di misteriosa semente, di cui una parte sola produsse abbondantissimo frutto. E sapete perché? Non già perché la semente non fosse tutta ugualmente buona, ma perché una sola parte di essa era caduta su terreno buono. Il seme è la Parola di Dio; quello che cadde in terra buona produsse il centuplo.

Affinché però la Parola divina dia frutti ubertosi, è necessario ascoltarla 1 ) con attenzione e con riverenza, 2) custodirla quale prezioso tesoro nel proprio cuore, 3) applicarla a tempo opportuno ai proprii bisogni. Ci vuole, prima di tutto, attenzione. Il principio di ogni sapienza, da tutti riconosciuto come indispensabile, è un vivo e ardente desiderio di essere istruiti; se questo è vero per ogni sapienza umana, molto più si richiede per quella sapienza tutta celeste che edifica l’eterna salvezza e senza la quale non si può operare alcunché di virtuoso; ma è sempre con tale intendimento che noi ascoltiamo la Parola di Dio? Abbiamo sempre questo vivo desiderio di essere istruiti in merito e di conoscere bene i nostri doveri per poterli adempiere perfettamente quando ci rechiamo ad udire la divina Parola?

Purtroppo, sovente si viene alla predica solo per fare materialmente come fanno le altre, non si presta all’istruzione quell’attenzione che si dovrebbe e, a volte, in quello stesso tempo, si lavora o ci si distrae. Quale profitto volete voi che ricavi dalla predica chi vi sta distratto e disattento? Chi non ode, chi non presta attenzione a ciò che vi si dice, chi si occupa di tutt’altro che della santa Parola? Quando si predica, sono due che parlano: il sacerdote parla all’orecchio e Dio parla al cuore; ce lo attesta il profeta. Dio non vuole parlare da solo, ma vuole soltanto confermare quanto viene detto dal suo ministro, per cui se noi non stiamo attenti alla voce dell’uomo, non speriamo mai di sentire la voce di Dio. Che cosa ci volle significare il divin Salvatore allorché, inviando i suoi discepoli ad annunziare la sua Parola a tutte le genti, disse: «Chi ascolta voi, ascolta me?». Per trarre profitto dalla predica ci vuole quindi, innanzitutto, attenzione.

Lo so che i demoni, tanto gelosi del nostro profitto spirituale, non lasceranno nulla di intentato per impedire il frutto della predicazione celeste, come fanno sempre con chiunque e che, assediandovi invisibilmente mentre state alla predica, faranno sì che, all’improvviso, siate colte da una certa noia che vi farà sembrare il discorso ora malinconico, ora importuno, ora complicato, ora lungo; lo so che talora vi opprimerà la sonnolenza o vi molesterà la fantasia inducendovi a volgere lo sguardo attorno! Insomma, i demoni faranno di tutto per distrarvi, per farvi perdere quella parola o quel passo che per voi sarebbe stato di grande profitto, ma se voi starete attente con grande desiderio di istruirvi, essi resteranno delusi nei loro intenti.

Oltre, poi, all’attenzione, occorre nell’ascoltare il predicatore, la riverenza, riconoscendo Iddio nel suo ministro e l’autorità del giudice nella voce del sacerdote, come se fosse Dio stesso che ci esortasse. Si debbono quindi accogliere le parole del sacerdote che parla non come parola di uomo peccatore, ma come Parola di Dio onnipotente; i suoi avvisi e le sue correzioni si debbono ricevere come avvisi, correzioni ed esortazioni che ci vengono mandati dal cielo. Così facevano gli antichi cristiani i quali, proprio per questo, meritarono tanta lode dall’Apostolo Paolo, che proprio a questo motivo volle attribuire il frutto grandissimo che essi conseguivano dalle loro conversioni.

Ma ditemi, mie Suore, facciamo noi così? Riceviamo noi le parole del Predicatore quali parole di Dio? Se avviene che il sacerdote dica qualche cosa che sia di nostro gusto, che racconti degli esempi, che parli con proprietà e che con ordine metta in chiara luce massime e teorie, noi restiamo ammirati e parliamo tra noi nell’uscire di Chiesa dicendo: «Quanto bene ha fatto il predicatore! Che bel discorso ha tenuto! Com’è bravo! Mi è proprio piaciuto!».

Ma se poi, passando dalla teoria alla pratica, ci tocca un po’ sul vivo e, animato da zelo apostolico e dal desiderio del nostro profitto, ci mette davanti quello che dobbiamo fare e quello che dobbiamo omettere; se ci fa vedere l’importanza dell’adempimento dei nostri doveri cristiani e religiosi e il severissimo conto che dovremo rendere al divino tribunale; se ci inculca l’abnegazione della nostra volontà, l’umiltà, la mansuetudine, la carità, il perdono e la dimenticanza delle offese e dei torti ricevuti, il rispetto e l’ubbidienza a chi comanda, l’unione e la pace con i nostri simili; se ci fa osservare quanto gran male sia, per una comunità, il non procedere in tutto il comune accordo, in buona armonia come richiede il vero spirito religioso, il suscitare discordie e il formare gruppetti tra compagne e compagne, allora il parlare del sacro ministro non piace, la predica ci riempie di malumore, ci fa inarcare le ciglia e presto presto la si dimentica.

Vi è poi forse anche chi va dicendo che il predicatore parla per stizza, oppure che è stato imbeccato e vuole spaventarci fuori proposito. Vi pare che sia questo un ricevere i detti del sacerdote quali detti di Dio stesso e le sue esortazioni e ammonizioni quali esortazioni e ammonizioni del Cielo? E qual frutto volete ricavare, voi, da una predicazione udita in questa forma? Riverenza, dunque, riverenza!

Per cavare profitto dalla Paola di Dio non basta udirla con attenzione e riceverla con riverenza come parola venuta dal Cielo, ma è necessario applicarla ai propri bisogni, cioè mettere in pratica quanto essa ordina e prenderla a norma del nostro vivere. Gesù Cristo, infatti, non chiamò beati solo quelli che ascoltano la divina Parola, ma quelli che la conservano vivamente impressa nel loro cuore, per eseguirne alla lettera gli insegnamenti: « Beati qui audiunt verbum Dei et custodiunt illud» .

Tante volte noi stiamo alla predica come gli svogliati a mensa: senza gustare, senza godere, senza cibarsi e non si fa altro che dispensare ad altri il cibo che dovrebbe usarsi per noi. Non si fa altro, cioè, che applicare ad altri quanto si sente dire dal predicatore: «Come questo richiamo calza bene a quelli o a quella che sono così superbi, esigenti ed intriganti! Questo è detto certamente per la tale che è così piena di se stessa e di vana stima, che vorrebbe dominare sulle altre; questo è detto per la tale che si lascia trasportare da sì bassa ambizione, che il suo modo di vestire sembra più da secolare che da persona religiosa. Se fosse qui presente a sentire!». Stiamo attente, mie Suore, ad attribuire a noi ciò che attribuiamo ad altri, credendo che a noi non serva.

L’uomo prudente, dice lo Spirito Santo, applica a sé quanto ode di profittevole. Volete dunque voi trarre profitto dalle prediche? Venite sempre ad udire la divina Parola con buone disposizioni. Uditela con attenzione e ascoltatela con riverenza.

Al principio di ogni predica immaginatevi di udire sempre dalla bocca del sacerdote quelle parole dello Spirito Santo: « Venite, filii, audite me, timorem Domini docebo vos – Venite figlioli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore del Signore», cioè: «Venite, ascoltatemi con affetto e con zelo, perché non si tratta qui della parola di un uomo, ma della parola di Dio. Venite, ascoltatemi con quella riverenza che hanno i figli ossequienti verso l’amorosissimo loro padre; ascoltatemi con spirito di umiltà, di docilità, di semplicità, non per criticare e prendere male le espressioni del predicatore, ma per istruirvi e apprendere il modo di praticare la virtù per farne vostro pascolo, per assimilarla e per diventare più sante.

Se sapeste come spesso porta frutto una predica o un’istruzione bene udita! Se lo sapeste, credete a me che vincereste ogni fatica e ogni incomodo per ascoltarla. Di Paolo, detto il Semplice, si racconta che, avendo egli l’abitudine di mettersi con gli occhi del suo spirito alla porta della Chiesa pubblica per osservare quelli che vi entravano, buoni e rei, una mattina vide (spettacolo tremendo) entrare in Chiesa un peccatore tutto squallido e mostruoso, il quale era incatenato tra due demoni, e dietro, ma assai lontano, il suo Angelo custode che lo seguiva con volto malinconico a passo lento.

A tal vista Paolo proruppe in gran pianto, ma poco dopo si consolò perché, quando quel misero uscì dalla Chiesa, non solo lo vide libero dai demoni, ma anche così bello, così immacolato e risplendente, che a stento lo seppe distinguere da quell’Angelo stesso che, non più afflitto e curvato, ma festoso e giulivo, gli camminava al fianco. Paolo corse frettoloso a fermare quell’uomo: lo pregò, lo interrogò e venne a sapere che egli, udite dal pulpito le parole del Profeta Isaia: «Se i nostri peccati saranno rossi come scarlatto, diverranno bianchi come la neve», si eccitò talmente a compunzione dei suoi peccati per la speranza del perdono che, superata ogni tentazione, tornò a casa con il proposito di cambiare vita.

Se si potesse vedere quanto cambiati escono di chiesa molti di quelli che vi andarono ad udire la predica, che bei prodigi potremmo sperare di vedere noi pure! Che mutamenti! Che metamorfosi! Entrò in Chiesa quella persona negligente e trascurata nell’adempimento dei suoi doveri ed ecco che, improvvisamente, gemendo quale pia colomba per le sue volontarie imperfezioni, esce risoluta di mettere fine ai suoi difetti. Vi entrò col cuore pieno di risentimento e di ira verso quella persona che le usò qualche sgarbatezza ed ecco che ne esce più mite e più mansueta di una pecorella che si lascia tosare della propria lana senza belare. Vi entrò quella persona invidiosa e maligna che godeva delle umiliazioni subite dalle sue compagne ed ecco che ne esce risoluta di soffrire in pace i propri torti, purché abbiano i dovuti riguardi le compagne meritevoli.

Vi entrò quell’impaziente e fastidiosa che su tutto trovava a ridire ed ecco che ne esce gentile e docile. Che novità sono queste? Sono trasformazioni avvenute per mezzo della Parola evangelica la quale, ricevuta con attenzione, con riverenza e ben custodita nel cuore, ha virtù di operare nelle anime fedeli tali meravigliosi mutamenti.

È questa divina Parola che cambia gli uomini da peccatori in giusti, da imperfetti in santi e da tiepidi in serafini. Un eremita, da feroce assassino, si cambiò in devoto monaco per una sola predica sull’inferno da lui sentita; la Parola di Dio cambiò una Pelagia da dissoluta in romita, una Taide da scandalosa in penitente. Noi felici se la parola di Dio ci farà santi! Chi dunque non avrà fame, non avrà desiderio di ascoltare come si conviene questa parola così necessaria, così potente, così prodigiosa? Chi non la ascolterà con attenzione, con riverenza e non la custodirà gelosamente nel suo cuore per servirsene al bisogno? Vi torno a replicare con tutto il mio cuore: «Acquistate queste disposizioni e domandatele a Dio con grande insistenza».

Oltre a ciò sollecitate in voi, se non l’avete, una fame tale di questa santa Parola che induca a disprezzare tutto pur di ascoltarla. Quando si tratta di predica, non è tempo di indugiare in altri interessi o di badare ad altre faccende. Esaù, avido di sfamarsi, curò forse la sua primogenitura? No, anzi, come voi sapete la diede per un piatto di lenticchie. E gli Egiziani, per nutrirsi, non cedettero volentieri a Giuseppe tutti i loro averi? Fate voi dunque altrettanto: per potervi nutrire della Parola di Dio e per poter intervenire alla predica, trascurate tutto, lasciate ogni faccenda e rimandate ad altro tempo tutti gli affari, per dare all’anima il necessario pascolo!

Amen.