Padre nostro 3

 

COMMENTO ALLA PETIZIONE DEL PADRE NOSTRO:
«Liberaci dal male»

Siamo giunti finalmente, mie Suore, alla spiegazione dell’ultima petizione del Pater noster in cui, come sapete, noi chiediamo a Dio che ci liberi dal male: «sed libera nos a malo». In questa richiesta Gesù Cristo ha raccolto, come in un compendio, tutta la forza delle altre petizioni così che se noi otteniamo da Dio quanto si chiede in questa domanda, nulla più resta a desiderare. Esaminiamo dunque quest’ultima petizione del Padre Nostro.

Senza perderci nel numerare la molteplicità dei mali che di continuo ci opprimono, possiamo dedurre la loro entità sufficientemente dalla nostra quotidiana esperienza e la conseguente necessità che abbiamo di ricorrere a Dio per esserne liberati. Questo sembra talmente insito nel cuore di tutti che, appena siamo colpiti da qualche disgrazia, si vorrebbe che Dio facesse subito un miracolo e ce ne liberasse.

Passiamo a vedere: 1) che cosa intendiamo di chiedere a Dio con questa domanda; 2) quanto importi il farla bene; 3) il profitto che possiamo da esse trarre per le anime nostre. Molte cose noi chiediamo a Dio con questa doman da: che ci liberi dal male. Come sotto questo nome: il male, da cui chiediamo di essere liberati, i Santi Padri Basilio, Crisostomo e S. Agostino con molti altri, intendono anche il demonio, che propriamente si chiama cattivo, per essere arrivato all’estremo della malizia ed è colui da cui sono eccitati al male tutti gli uomini, così con questa domanda: sed libera nos a malo, dobbiamo aver di mira di pregare il nostro Padre celeste, perché ci liberi dai lacci e dalle insidie di questo nemico, che si può dire l’origine di tutti i mali.

In secondo luogo possiamo dire che, in questa domanda, intendiamo di pregar Dio che ci liberi dal peccato che è l’unico vero male e dalla morte eterna, e non permetta che l’iniquità, come dicono il Reale Salmista e S. Agostino, domini mai in noi, ma stia sempre sottomessa alla ragione e alla fede.

«Liberatemi, Signore, da quest’ombra di morte -diceva S. Teresa nei suoi dolci trasporti – liberatemi per l’avvenire da ogni male, mio Dio, e conducetemi dove si trova ogni bene». Che può mai aspettare in questo mondo quell’anima che da voi, mio Dio, ha ricevuto intelligenza per conoscere la vanità e gli inganni, mentre con gli occhi della fede vede quei beni eterni, preparati a quelli che vi amano con perfetto amore?

In terzo luogo intendiamo di pregare Dio di liberarci da tutti quei pericoli, incomodi e mali che ci fossero accaduti o fossero per accaderci.

Preghiamo, cioè, il nostro buon Padre che sta nei cieli che, per la sua paterna bontà e misericordia, ci preservi e ci liberi da incendi, fulmini, da tempeste, da grandine, da carestie, da fame, da terremoti, da pestilenze, guerre, malattie, e da ogni altro disastro e sciagura che ci possano colpire.

Anzi, non solamente preghiamo Dio che ci liberi da questi, che per comune sentimento degli uomini sono mali, ma anche da quelli che quasi da tutti sono chiamati beni: come le ricchezze, gli onori, la sanità, la vita stessa, qualora Dio vedesse che fossero rivolti al male e alla dannazione dell’anima nostra.

Preghiamo anche di non essere sorpresi da morte improvvisa e subitanea e di fare nostra la preghiera del Sacerdote nella S. Messa quando dice, dopo aver recitato il Pater Noster: «Liberaci, o Signore, da tutti i mali passati, presenti e futuri per intercessione della Beata Vergine Maria, Madre di Dio, di S. Giuseppe, e dei SS. Apostoli Pietro, Paolo, Andrea e di tutti i Santi. Donaci, per pietà, la pace ai nostri giorni affinché, essendo assistiti dalla tua misericordia, siamo sempre liberi dal peccato e difesi da ogni tribolazione».

Ecco i mali da cui preghiamo di essere liberati in quest’ultima domanda della orazione domenicale: «sed libera nos a malo». Ma perché, dirà forse qualcuna di voi, essendo Iddio tanto buono come è, permette che noi siamo colpiti da tante pene, da tanti mali e disastri? Non ce li potrebbe evitare e lasciarci condurre questa vita terrena senza tante miserie? No, non si può, né lo permette la condizione della nostra natura ferita, né lo stato in cui ci troviamo.

Lo stato nostro è di pellegrini penitenti e, per causa del peccato, di esiliati in questa valle di lacrime. Il penitente deve sempre macerarsi e punirsi, deve sempre, nel suo viaggio, affaticarsi e sudare. L’esiliato deve sempre piangere finché si trova lontano dalla sua cara patria e Dio, ottimo e sapientissimo, per quanto potrebbe impedire che fossimo oppressi da qualche male, non lo fa per nostro maggior bene e per conseguire gli amorosi suoi fini.

Vuole che siamo afflitti dalle presenti pene e miserie per porre rimedio ad un male più grande quale è il purificarci dai nostri peccati in purgatorio o per farci scampare dalle pene per l’eternità. Ci fa prendere le medicine disgustose ed amare, per guarire la nostra infermità.

Egli fa con noi, dice S. Agostino, come un medico con l’infermo che ha un membro putrefatto che può, non rimediandovi, guastare tutti gli altri e l’ammalato correre pericolo di vita. Che fa in tal caso il medico? Ordina l’occorrente. Grida l’infermo: «Mi volete morto prima del tempo?». Piange, si lamenta, si raccomanda. Ma il medico non l’ascolta e, senza compassione, viene all’operazione e con questo mezzo consegue la sanità dell’infermo. Così fa tante volte il Divin Medico con noi: siamo infermi di malattia spirituale, siamo tiranneggiati da cattive inclinazioni, da abituali difetti, che tentano di dare poco a poco la morte eterna all’anima nostra. Egli interviene con una grave malattia nel corpo, o con una malignità, o una persecuzione, o con una calunnia, o un rimprovero, o una mortificazione, o qualche altro più grave disastro.

«Signore – gridiamo noi – liberaci da questo male», ma Dio non ci ascolta, perché con questo mezzo ci vuol liberare dai mali assai più gravi dell’anima. Il figlio prodigo prese la saggia risoluzione di ritornarsene nelle braccia dell’abbandonato suo padre solamente quando si vide battuto dalla povertà e travagliato dalla fame. Quanti nel mondo vivrebbero nell’abominio delle loro colpe, se la divina misericordia non li avesse trattati con qualche grave afflizione! Quanti non si sarebbero mai ricordati né dell’eternità, né di Dio, se non fossero stati spinti o da un’infermità dolorosa, o da altra dispiacevole disavventura! Oltre a ciò, l’amabilissimo nostro Dio, coi mali e le tribolazioni della vita presente, dà ai giusti materia di accrescere i loro meriti a se stessi in questa vita ed il premio nell’altra. E questo premio, che si acquista col sopportare in pace e con rassegnazione i travagli che opprimono di continuo l’umana famiglia, è tale e tanto che i Santi più illuminati pregavano fervorosamente Dio che accordasse loro in questa vita molte pene.

Quando Gesù Cristo comparve a S. Giovanni della Croce e, chiamandolo per nome gli disse: «Che cosa vuoi, o Giovanni, che io ti dia per tante belle cose che hai detto e scritto di me?». Il Santo non gli domandò né più grazia in questa vita, né più gloria nell’altra, ma gli chiese di poter essere disprezzato e di patire per amor suo: «Domine, pati et contemni pro te». E un’anima santa soleva dire che se i beati nel cielo potessero provare un dispiacere, sarebbe quello di non aver sofferto nella vita presente pene maggiori, per poter godere lassù maggior gloria. Finalmente il Signore ha voluto che i sentieri di questa vita fossero tutti intrecciati di spine per farci intendere che, non essendo essa che un viaggio per l’eternità, non dobbiamo trattenerci per via, ma correre speditamente al nostro termine. Sì, ha voluto Iddio, dice S. Gregorio Papa, rendere aspra la dimora di questo mondo ai suoi cari eletti affinché, non trovando in esso cosa piacevole o di riposo, si affrettino a camminare verso la patria celeste, dove solo potranno riposare e godere.

Ma se tanti beni, potrà qui alcuna obiettare, se tanti vantaggi ci apportano per l’avvenire i mali della vita presente, perché nostro Signor Gesù Cristo ci ha insegnato a domandare a Dio di esserne liberati? Il Divino Maestro ha voluto che noi chiedessimo a Dio d’essere liberati dal male, ossia dalle afflizioni e pene temporali, sebbene sapesse che sono di grande vantaggio per l’anima;
primo: per farci conoscere che tanto e tale è l’affetto, l’amore che Egli ha per noi, che sa ancora compatire la nostra fragilità e debolezza, la quale non vorrebbe soffrire certe amarezze ed è pronto a liberarci da esse purché glielo chiediamo;
secondo:
per insegnarci che, quando siamo colpiti da qualche traversia o disgrazia, dobbiamo prima di tutto ricorrere a Dio e non agli uomini; confidare in lui e non nelle persone di questo mondo. Alcuni, quando si trovano sopraffatti da malattie, infermità ed altri malanni, cercano subito dei rimedi, chiamano i medici e ripongono tutta la loro speranza in essi.

Ma i buoni cristiani, le buone Suore non fanno così; questi, nelle loro infermità ed in altre cose avverse che, succedono, pongono in Dio ogni speranza della loro salute e Dio solo confessano e venerano come autore di ogni bene e vero loro liberatore. Si servono, è vero, anch’esse di medici e di medicine, ma non trascurano, nel tempo stesso, di chiedere aiuto e soccorso a Dio, che sana e dà sollievo come a lui più piace, e dà lume ai medici e virtù alle medicine per guarire; terzo: affinché noi riconosciamo provenienti dalla mano di Dio tutti i mali che ci affliggono per nostro bene e che a lui solo appartiene di liberarcene quando gli piace.

Che se la cosa è così, chi non vede quanto sia importante e necessario di ben fare a Dio questa domanda per essere da lui esauditi? Quando, dunque, diciamo a Dio: «sed libera nos a malo», di essere cioè liberati da afflizioni e pene temporali, da infermità, da dolori, ecc. … che sono i castighi a noi dovuti e che ci siamo tirati addosso con le nostre colpe, non lo preghiamo che ci liberi da tutti quei mali, non essendo per noi utile e proficua questa liberazione, ma che ci liberi solamente da quei mali che potrebbero essere opposti alla nostra eterna salvezza e potrebbero darci occasione di cadere nel peccato.

Chiediamo quella liberazione che Dio, secondo la sua sapientissima provvidenza, conosce più conveniente per questa misera vita, dove, con i patimenti, si guadagna la gloria del cielo. E siccome noi, inesperti quali siamo, non possiamo conoscere con certezza ciò che è male e ciò che è bene, dobbiamo chiedere di essere liberati non da questo o da quel male, ma da ciò che può essere d’ostacolo alla vita eterna. Fossero anche onori, cariche, uffici, dignità, ricchezze, sanità e la vita stessa che ci fossero motivo di cadere in peccato, dobbiamo dirgli: «Toglici pure tutto, o Signore, purché ci salvi in eterno».

Questi sono i sentimenti, questo lo spirito con cui dovremo fare a Dio questa domanda: «sed libera nos a malo». Ma se, trovandoci noi oppressi da infermità, da calunnia, da persecuzioni o da altre disgrazie, ricorriamo a Dio per esserne liberati e Dio non ce ne libera, che dobbiamo fare? Dobbiamo pazientemente tollerare ogni cosa ed essere persuasi che se Dio vuole così, non può essere che per il nostro maggior bene.

E questo è appunto il profitto che dobbiamo ricavare da questa petizione. Essere persuasi che Dio ci esaudisce sempre con grande misericordia quando, con la sua grazia, fa che sopportiamo in pace, e talvolta anche con allegrezza, i mali e le afflizioni della vita presente. Anche il patire e l’essere perseguitati in questa vita è la sorte dei santi e degli eletti; tutti quelli, dice S. Paolo, che vogliono piamente vivere in Gesù Cristo, patiranno persecuzioni.

Siccome a Gesù Cristo stesso, per entrare nella sua gloria, che pur era sua, fu necessario che patisse: «Oportuit Christum pati e ita intrare in gloriam suam», così noi dobbiamo, per mezzo di molte tribolazioni, entrare nel regno di Dio.

Ecco spiegata l’ultima delle petizioni del Padre nostro che, abbiamo detto, è la più eccellente fra tutte, perché insegnata dallo stesso Figlio di Dio, perché contiene, in breve, quanto noi possiamo domandare a Dio, tanto riguardo all’anima, come riguardo al corpo. Essa è la più efficace ad impetrarci le grazie che domandiamo, non potendo il divin Padre respingere le suppliche del suo stesso Figlio. Noi dunque procuriamo di recitarla bene, adagio, con sentimenti di vera devozione, accompagnando sempre col cuore quello che diciamo con la lingua.

Mentre facciamo a Dio le domande contenute in questa petizione, dobbiamo avere l’intenzione di chiedergli e domandargli tutto quello che abbiamo detto nella meditazione di tutte le richieste del Padre nostro. Per esempio, nel fargli la domanda che sia santificato il suo nome: «santificetur nomen tuum», dobbiamo avere l’intenzione che Egli sia da tutti conosciuto, amato, servito e glorificato come merita, che il suo divin Nome sia da tutti rispettato, lodato e benedetto.

Nel dirgli che venga il suo regno: «adveniat regnum tuum», intendiamo che venga Egli a regnare in noi con la sua grazia, sia Egli il padrone dei nostri affetti e di tutto il nostro cuore, per poi condurci a regnare con Lui nella gloria del cielo. Nel dirgli che sia fatta la sua volontà in terra come in cielo, dobbiamo avere l’intenzione di domandargli la grazia di adempiere esattamente i suoi divini comandamenti, prontamente obbedire ai suoi rappresentanti sulla terra, cioè ai nostri Superiori e offrirci interamente a Lui, affinché disponga di noi e delle cose nostre a Suo piacimento e rimetterci in tutto alle sue sante disposizioni con amore, prontezza e conformità, come fanno gli Angeli e i beati nel cielo.

Nel dire che ci dia il nostro pane quotidiano, intendiamo dirgli e pregarlo che ci provveda ogni giorno non solo nei nostri temporali bisogni, ma che ci dia anche il pane spirituale dell’anima, vale a dire che ci faccia sentire con profitto la sua divina parola, le sue sante ispirazioni e dia a tutti quei lumi ed aiuti di cui necessitiamo per tenerci fedeli a Lui e ci faccia degni di accostarci a ricevere il pane Eucaristico nella Santa Comunione.

Nel dire che ci rimetta i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, abbiamo l’intenzione di pregare Dio di perdonarci i nostri peccati, come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offeso e, se sentissimo di avere nel cuore avversione, risentimento, astio verso i nostri prossimi, di perdonarli subito, e abbracciarli con l’affetto e con la bontà con cui il Signore abbraccia noi.

Nel dire che non ci induca in tentazione, intendiamo pregare il nostro Padre celeste che ci dia forza ed aiuto per vincere tutte le tentazioni e che non permetta mai che restiamo vinti da queste e cadiamo nel peccato.

E finalmente nel dirgli che ci liberi dal male, dobbiamo avere l’intenzione di pregare Dio di tenerci sempre lontano da ogni pericolo di anima e di corpo e di liberarci da ogni sorta di male, ossia da tutto ciò che può essere di impedimento all’eterna salvezza. Amen.