LA DIVINA PAROLA
(Sua necessità)
La divina Parola, se vogliamo prestar fede al Crisostomo, opera nell’anima ciò che fa nel corpo il cibo materiale; ciò che è il cibo per il corpo, questo è per le anime: la Parola di Dio. Dice infatti il Crisostomo: «Cibo della mente è la parola di Dio». Né ciò deve recare meraviglia, perché questa Parola mantiene nell’anima il suo calore vitale e non si estingue mai; questa la nutre se esausta, la fortifica se debole, la rinforza se fiacca. Inoltre essa ha ancora questa mirabile virtù: ogni cibo nulla può operare nei corpi se questi non sono vivi, mentre la Parola di Dio richiama a vita anche le anime morte. Perciò, con tutta ragione, l’incarnata Sapienza afferma che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca divina.
Che vuol dire, dunque, che così pochi hanno fame di essa? Che fra le anime cristiane e devote non è raro trovarne qualcuna che non la ascolta troppo di buona voglia, che, quando sente suonare per la predica, diventa subito di malumore, vi si reca piena di svogliatezza, vi assiste con disattenzione e, se la predica va un po’ più a lungo, si stanca, si infastidisce, si divaga? Se io parlassi in altro luogo, direi che non si gusta la divina Parola perché si è sempre distratti, ma poiché parlo a persone religiose, tra le quali non vi deve essere alcun discorso che non sia di pietà, di devozione, di virtù, dirò che comunemente non si desidera grandemente la Parola di Dio perché non se ne conosce abbastanza da tutti la necessità e l’efficacia. Per questo voglio parlarvi oggi della necessità e dell’efficacia della divina Parola, affinché in voi si mantenga sempre nuova la fame di lei che è, al dire di Gesù stesso, la bella nota caratteristica dei predestinati alla gloria: «Chi è da Dio, ode volentieri la Parola di Dio».
Grande è la necessità che abbiamo tutti della divina Parola. Chi può negare che, a conseguire l’eterna salvezza sia indispensabile l’esercizio di sante e virtuose opere? Nessuno certamente, perché la beatitudine eterna non è un dono che Dio voglia dare gratuitamente a ciascuno, ma è la ricompensa abbondantemente riservata da Lui ai suoi fedeli servi; è un premio grande, grandissimo, non lo nego, ma è sempre un premio che Egli tiene preparato agli esatti osservatori della divina sua legge. Non solo gli uditori, ma soprattutto coloro che mettono in pratica la legge divina saranno giustificati presso Dio. D’altra parte, chi può mettere in dubbio che noi, per il fatale disordine causato nella nostra natura dal peccato originale, da noi stessi non siamo capaci ad operare nulla di bene? Chi non sa che il nostro intelletto, per quella colpa originale, restò offuscato da tali tenebre che, quantunque la nostra mente sia tanto feconda di pensieri, quando si tratta di beni eterni non ne può formulare neppure uno?
Chi non sa che la nostra volontà, a causa di quel peccato, rimase così imbevuta di malizia che, seguendo l’attrattiva sfrenata delle passioni, forma in noi quella tirannia che san Paolo chiamò legge del peccato? Legge viva e non morta; legge così ingannatrice, che giunge perfino a farsi amare.
Dunque, perché l’uomo operi in conformità della legge divina e perché eseguisca ciò che da lui vuole il Signore, è chiaro che egli necessita di un lume soprannaturale che gli rischiari l’intelletto nel distinguere il vero dal falso e aiuti la sua volontà, onde questa si induca a fuggire il male e ad abbracciare il bene. Ma questo lume, ma questi aiuti, per quale mezzo ce li vuole dare il Signore? Per mezzo della sua divina Parola: «lucerna pedibus meis Verbum tuum Domine», così Davide nei salmi. Dio, nella sua divina bontà, volle scegliere la sua santa Parola quale strumento eletto per rimediare alle funeste conseguenze della colpa originale.
Con la Parola di Dio Egli vuole illuminare il nostro intelletto a pensare rettamente; con la Parola di Dio Egli vuole muovere la nostra volontà a santamente operare. Potrebbe il Signore, io non lo nego, potrebbe insegnarci Lui stesso, parlandoci internamente come già parlava ai suoi profeti nella legge antica, ma non vuole farlo; vuole istruire gli uomini per mezzo della sua Parola. Noi, infatti, vediamo che, quantunque Gesù Cristo in persona sia disceso dal cielo sulla via di Damasco per convertire Saulo con la sua propria voce, non volle poi, con la sua voce stessa, istruirlo su ciò che doveva fare, ma lo inviò, per questo, in Damasco ad un suo discepolo di nome Anania, volendo con ciò farci intendere che il mezzo consueto con cui Egli vuole togliere dalla nostra mente il male dell’ignoranza è la sua divina Parola; sant’Agostino giudicava un tentare Dio il voler essere istruiti, illuminati e non voler udire chi predica.
Io non dirò che il Signore ci elargisce gli aiuti della sua grazia efficace per bene operare mediante il solo mezzo della predicazione divina; ben so, infatti, che Egli può servirsi di molte altre maniere, ma non vado lontano dal vero se affermo che questo è un mezzo dei più consueti e dei più pressanti, di cui ordinariamente si serve la provvidenza per salvare le anime. Se è così, chi non vede l’importanza, l’indispensabile necessità che tutti abbiamo della divina Parola e che il non udirla è come mettere un grande ostacolo al conseguimento dell’eterna nostra salute? Se, mancando al corpo il suo materiale alimento, esso perde la forza e viene meno, mancando all’anima il cibo spirituale della divina Parola, non verrà essa a indebolirsi nella virtù e, poco a poco, a perdere la forza, il vigore, la vita stessa della grazia? Di ciò temeva fortemente il Profeta Davide quando, rivolto a Dio, protestava in questa forma: «Io voglio, o Signore, che la vostra Parola, quale lucerna accesa, vada sempre innanzi ai miei piedi e sia sempre luce ai miei passi: ‘lucerna pedibus meis, Verbum tuum, Domine, et lux semitis meis"».
E noi, devotissime figlie, non temeremo? Crederemo di poterci mantenere sicuri nella via della virtù senza usare di questo grande mezzo della Parola di Dio? E chi è che non rammenti quell’aforisma di Palladio monaco: essere, cioè, indizio di allontanamento da Dio il non aver fame della sua celeste Parola?
Ma non è tanto la necessità che ci deve indurre ad udire volentieri la divina Parola, ma più ancora la sua efficacia. La Parola di Dio è onnipotente ed operò sempre la più stupenda meraviglia sia nell’ordine della natura, sia nell’ordine della grazia.
Nell’ordine naturale chiamò dal nulla cielo e terra, sole, luna, stelle, mare e quanto vi è di creato nell’universo. Nell’ordine, poi, della grazia, che non fece e che non fa di meraviglioso questa divina Parola! Sparsa per mezzo di poveri pescatori quali furono gli apostoli, convertì e riformò il mondo intero. Sparsa successivamente da vari e molteplici ministri evangelici, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, ricondusse a Dio i peccatori più ostinati, perfezionò i giusti, infervorò i tiepidi, confortò i deboli, consolò gli afflitti.
Il reale salmista per esprimere, in breve, i prodigiosi effetti della Parola di Dio, la rassomiglia ad un fuoco acceso e sant’Ambrogio aggiunge che non c’è immagine più adatta a significarne l’efficace virtù. Il fuoco, infatti, illumina, purifica, accende, e la Parola di Dio illumina l’intelletto con una luce superna e fa intendere all’uomo che egli non fu creato e posto da Dio sulla terra per alcuna cosa terrena, ma che il fine della sua creazione è tutto celeste e che delle cose di quaggiù non deve servirsene se non come di mezzi per conseguire più facilmente questo fine.
La Parola di Dio manifesta all’uomo che nulla giova e nulla importa se non l’eterna salvezza; che, messa l’anima in salvò, tutto è andato bene e che, perduta questa, tutto è perduto. A questo importantissimo affare l’uomo deve rivolgere ogni suo pensiero, indirizzare tutte le sue mire, impegnarsi di continuo per la felice sua riuscita; questo, pertanto, più di tutto deve chiedere a Dio, alla Vergine, ai Santi e tutto sperare, per finalmente raggiungerlo.
La Parola di Dio illumina e fa che l’uomo veda la bruttezza della colpa ed eviti, quindi, di cadervi; veda gli incanti lusinghieri delle sregolate passioni e li schivi. La Parola di Dio illumina e dispiega alla mente la bellezza della virtù affinché l’uomo l’abbracci, indica gli ostacoli a conseguirla affinché li tolga, manifesta la vanità dei beni terreni affinché li disprezzi, gli palesa la felicità incomparabile della gloria eterna affinché la sospiri, insomma, la parola di Dio fa sì che gli uomini gustino chiaramente e intendano le verità della fede, anche se ne hanno poca cognizione.
Non basta, la Parola di Dio monda, purifica e riconduce a Dio anche le anime più traviate.
Quando Nabucodonosor, re di Babilonia, si convertì al Signore e fece penitenza dei suoi misfatti? Forse quando vide coi propri occhi cadere quell’albero eccelso che rappresentava il suo regno, quando ne vide morire ogni frutto, illanguidire ogni fiore, inaridire ogni fronda, quando ne vide fuggire le fiere e gli uccelli che prima giacevano alla sua ombra o saltellavano fra i suoi rami? Non già. Una tal vista non bastò a commuoverlo e a convertirlo: bisognò che udisse, su ciò, la viva voce di un uomo quale fu Daniele.
Così Davide, quantunque di cuore tanto docile, non si mosse a commozione per la morte che aveva ingiustamente procurato ad Uria, soldato impareggiabile, finché non udì la viva voce di un Natan che lo rimproverava.
Se noi parlassimo anche fuori della Sacra Scrittura, potrei mostrarvi che, su cento conversioni che si verifi-cano al mondo, novantanove accadono per virtù della Parola divina. Lasciando da parte ogni altra, basterà a confermare ciò la conversione di un Agostino, dottore sì illustre, a cui, per convertirsi a Dio, non bastò tutto il suo mirabile ingegno, non lo studio indefesso, non quell’im-pareggiabile ardore con cui aveva cercato sempre d’in-dagare la verità, ma bisognò che ascoltasse più volte la divina Parola dalla bocca di sant’Ambrogio. Né mai si determinò a cambiare vita, finché non udì da quel santo arcivescovo di Milano quella efficace parola che lo gua-dagnò a Dio.
Stolto, dunque, chi di noi crede di potersi conver-tire facilmente a Dio per altra via se non per quella della divina Parola! Predicazione, ci vuole, predicazione! Quella che udiremo in tale giorno, dalla tale lingua, quella sarà che dovrà finalmente ferirci il cuore; a quella è riservata da Dio la nostra conversione se siamo in colpa e la nostra confermazione se siamo in grazia. Crediamo pure, mie sorelle, che non senza ragione lo Spirito Santo ci inculca, tanto e in tante forme la necessità di ascoltarlo: «Audi filia, et vide…, inclina aurem tuam et audi verba… suscipe verba». Sa bene egli la strada per cui vuole insinuarsi nell’anima nostra e santificarla!
Ma questo è poco ancora. La divina Parola accende inoltre, i nostri cuori di santo Amore. Quanti cuori infatti non ha acceso il Fuoco divino uscito dalla bocca degli apostoli! Quante migliaia e migliaia di persone essi han-no, con questo mezzo, guadagnato a Cristo! E per non richiamare così da lontano prove convincentissime di questa verità, quali nobili esempi, in ogni secolo, ci somministra la Chiesa cattolica di tante conquiste fatte a Dio con la divina Parola, dai Bonifazi in Alemagna,
dagli Agostini in Inghilterra, dai Saveri in India! Quanto hanno dilatato il fuoco della carità cristiana, con la predicazione evangelica, un Norberto, un Domenico, un Francesco, un Ignazio di Loyola, un Vincenzo Ferreri, un Carlo Borromeo, un Filippo Neri, un Francesco di Sales e tanti altri Santi, i quali hanno, con la divina Parola, rinnovata la faccia del cristianesimo decaduto dalla sua primitiva purezza e vi hanno fatto rifiorire le ormai spente o illanguidite virtù cristiane!
Possiamo dunque ben dire con il profeta Davide che la parola di Dio è simile ad un accesissimo fuoco: fuoco che illumina di una luce superna, che purifica e adorna di una celestiale bellezza; fuoco che accende di un amore divino.
Chi di noi non avrà vivissima brama di udire la parola di Dio? Chi non aspetterà con impazienza il giorno destinato alla predica e, in tale giorno, dato appena il segno, non sarà la prima a comparire in chiesa e ad occupare il suo posto? Non dubito di alcuna di voi. Infatti dice lo Spirito Santo: istruisci il giusto ed egli si affretterà a meditare le tue parole con maggior avidità di quella con cui si affrettano i colombi al pasto e i pesci all’esca. Fa al giusto una correzione ed egli si affretterà a riceverla; spiegagli un dubbio e si affretterà a capirlo; proponigli qualche nuovo esercizio di pietà e si affretterà a farlo. In sintesi: istruisci il giusto e si affretterà a ricevere in qualunque giorno, in qualunque ora, in qualunque opportunità, la tua Parola.
Come la fame del cibo corporale, secondo l’insegnamento dei santi, è uno dei segni più manifesti per conoscere che una persona ha buona salute, così la fame del cibo spirituale è uno dei segni più sicuri per discernere che una persona gode buona salute di spirito. Anzi, come il non udire volentieri la divina Parola è un segno fatale, come disse Cristo stesso ai miseri Ebrei, di essere riprovati da Dio, così l’udirla volentieri, con avidità e con fame, è un vivo segno di predestinazione alla gloria: «Qui ex Deo est, verba Dei audit». Amen.