Presenza di Dio

LA PRESENZA DI DIO

Dio ha creato l’uomo perché lo amasse, lo servisse, lo lodasse e glorificasse su questa terra con la piena osservanza dei suoi divini precetti, per poi andarlo a godere eternamente nel cielo.

Affinché potesse conseguire questo sublimissimo fine della sua creazione, la divina Bontà l’ha provveduto anche di mezzi, di favori, di aiuti in sovrabbondanza, e tutti proporzionati, tutti idonei al conseguimento di questo medesimo fine. Ma nonostante ciò, Dio non è amato, non è servito, non è glorificato come si dovrebbe, anzi spesso l’uomo ingrato devia dal retto sentiero della virtù, altera i pensieri della sua mente, contamina gli affetti del suo cuore e, viziando le opere sue, continuamente ingiuria ed offende lo stesso suo Creatore e Redentore amorevolmente.

Quante volte noi, quantunque dal Signore così privilegiate, così predilette dal suo infinito amore, come dimostra lo stato religioso a cui fummo da Lui benignamente chiamate e per cui dovremmo amarlo più d’ogni altro, disgustiamo il buon Padre celeste! Quanti volontari difetti noi commettiamo ogni giorno invece di tendere alla perfezione, voluta dal nostro stato!

Ma perché, domando io, un tale e tanto disordine? Donde trae esso la sua lacrimevole origine? I teologi insegnano che Dio nell’atto stesso della creazione, ha infuso nel cuore di ciascuno una forte inclinazione che lo portasse immancabilmente ad operare il bene ed a fuggire il male. Come, dunque, così facilmente deviamo dalla via del Signore e ci diamo così impunemente a malfare violando i suoi santi comandamenti? Ve lo dirò io, risponde il profeta Davide: l’uomo offende così spesso Dio, perché si dimentica di vivere alla sua presenza, sotto i suoi occhi. Dio continuamente ne osserva i passi, ne vede le opere, ne conosce i pensieri e penetra persino i sentimenti più segreti del cuore. Ecco la funesta cagione per cui si commettono nel mondo tanti disordini, ecco la vera causa per cui anche le persone religiose si macchiano talvolta, e forse non di rado, di imperfezioni e difetti; non si riflette che Dio ci è presente in ogni luogo, in ogni tempo, che sempre ci vede e ci osserva attentissimamente in tutte le nostre azioni e perciò non si teme di oltraggiarlo e di offenderlo alla sua stessa presenza. Se, dunque, bramiamo di conservarci sempre quali dobbiamo essere: caste, circospette, modeste, umili, morigerate e impegnate nel divenire un perfetto modello delle più eccelse virtù, procuriamo di camminare sempre alla presenza di Dio; riflettiamo di continuo che Dio è presente ad ogni nostra azione e ci osserva in tutto e per tutto. Questo è un mezzo efficacissimo a preservarci non

solo da qualunque difetto, ma anche a farci avanzare a grandi passi nella strada intrapresa delle virtù cristiane e religiose, come io confido di dimostrarvi ora.

Ho detto che l’esercizio della divina presenza, il pensare cioè che Dio è presente a noi e ci osserva in ogni tempo, in ogni luogo e in tutte le azioni è un mezzo efficacissimo a preservarci da ogni difetto. Qual servo è così malvagio che abbia il coraggio di trasgredire i suoi doveri, di mancare alle proprie obbligazioni alla presenza e sotto gli occhi del suo padrone? Qual figlio è così snaturato che abbia il coraggio di mancare di rispetto, di obbedienza al suo buon padre, sotto i suoi stessi occhi? Qual suddito è così ardito che abbia la temerarietà e la baldanza di contravvenire agli ordini del suo principe e calpestarne le leggi alla sua stessa presenza? Noi vediamo, invece, che quando si tratta di malfare, ognuno per lo più cerca di nascondersi agli occhi altrui, di non essere veduto da nessuno, ma principalmente da quelli da cui potrebbe essere punito; ciò non solo per timore della pena nella quale potrebbe incorrere, ma anche per la ripugnanza che Dio ha profondamente impresso nel cuore di tutti, fin dai primi momenti della creazione, la quale, quantunque venne poi diminuita per il peccato di Adamo, non fu però estinta del tutto ed è sufficiente a far sì che appena ci accorgiamo d’essere nel nostro operare attentamente osservate da qualcuno, subito siamo prese da tal verecondia che ci fa facilmente astenere dall’operare tutto quello che può essere degno di biasimo e meritevole di riprovazione. Che se ciò è vero, come è veris simo, chi può dire, io vi ripeto, quanto forte ed efficace mezzo a preservarci dal fare il male sia il pensiero della presenza di Dio? Noi la sappiamo, la fede ce lo insegna, Dio è dappertutto, dentro e fuori di noi, nessuna cosa può sfuggire all’attento suo sguardo, ogni pensiero che ci nasca in mente, ogni affetto che ci sgorga in cuore, ogni idea, ogni parola, ogni operazione, tutto, tutto Egli vede e conosce, tutto gli è manifesto e palese; e quanto a Lui spiace e l’offende può subito punirlo con severi castighi. Ora, riflettendo a questa verità, com’è possibile cadere in cosa che si sappia di sua offesa e disgusto? Come non fare ogni sforzo per domare le nostre passioni, tener a freno la disordinata nostra inclinazione, correggere le sregolate nostre abitudini? Il riflettere che Dio conosce ogni nostra obbligazione, perché non dovrebbe farci evitare ogni disubbidienza a chi legittimamente e giustamente comanda; ogni fine storto e maligno delle nostre operazioni; ogni qualunque leggerissima macchia sul lucido cristallo della purezza del nostro cuore?

Il profeta Davide, al fine di trattenere i giudici di Israele dal pronunciare ingiuste sentenze non fa altro che ripetere loro di ricordarsi, nei loro giudizi, della divina presenza; che abbiano cioè continuamente presente il Signore, quale scrutatore supremo di tutte le umane azioni. Volendo dire loro con ciò che quantunque la loro autorità sia così ampia che non va soggetta ad alcun altro controllo terreno, tuttavia essi hanno sopra di loro, e nel più intimo dello spirito, qual giudice supremo, il Dio di tutti gli uomini, che incessantemente bilancia e minutamente discute tutte le cause già da loro stessi decise. Sant’Agostino, col pensiero della divina presenza, non riuscì a spezzare coraggiosamente le tante insidie e lusinghe con cui il demonio tentava di sedurlo nuovamente?

L’abate Pafnuzio col solo pensiero della divina presenza convertì una grande peccatrice, quale fu la celebre Taide, la quale al sentire dal santo abate che Dio le stava presente e la vedeva nell’atto stesso del suo peccare, diede in dirottissimo pianto e cominciò da quel momento a detestare la sua cattiva condotta e a mettere le fondamenta di quella santità a cui giunse nel solo corso di tre anni.

E la casta Susanna con qual mezzo si animò a respingere da sé i due impuri vecchioni che, assalitala d’improvviso nel suo giardino, volevano stamparle in fronte un marchio obbrobrioso d’infamia, minacciandola anche della vita se avesse ricusato di accondiscendere alla loro voglia sfrenata? Si armò del pensiero della presenza di Dio, considerando che Dio la stava guardando in quell’atto medesimo in cui volevano farla cadere in peccato e risolse di morire piuttosto che peccare. Rivolta piena di coraggio agli iniqui assalitori: « Io non posso, esclamò francamente, commettere un tanto male al cospetto del mio Signore: meglio è per me l’essere, per vostra mera malizia, stritolata dai sassi che macchiarmi con sì grave peccato sotto gli occhi stessi del mio Dio ».

E se è così, vorrete voi dirmi che questo pensiero della presenza di Dio non avrà forza anche per voi, di trattenervi da qualunque difetto? Se pensassimo di

continuo che Dio ci sta sempre osservando in ogni nostra azione, che a Lui sono noti e palesi i più profondi sentimenti del nostro cuore, che nulla a Lui si può nascondere, noi non cadremmo facilmente in tante miserie; non sospetteremmo né giudicheremmo male di nessuno; non ci lasceremmo dominare da certe vanità, da certe idee le quali danno chiaramente a conoscere che in noi non è estinto lo spirito del mondo. Se sapessimo d’essere sempre alla presenza di Dio, non ci lasceremmo trasportare da ira, né da risentimenti, né da invidia, né da puntigli di sorta, ma avremmo anzi pace e carità con tutti; terremmo a freno la lingua, custodiremmo gli occhi; chiuderemmo le orecchie per non udire discorsi vani e diffamatori; mortificheremmo la volontà per non privarci del grande merito dell’obbedienza; non trascureremmo alcuna osservanza del nostro stato per non disgustare il buon Padre celeste, anche leggerissimamente. Se pensassimo che Dio ci vede ed è presente, dice S. Girolamo, mai faremmo ciò che Gli dispiace. Se noi, dunque, cadiamo in colpe e difetti, trascuriamo i nostri doveri religiosi e facciamo le cose con accidia e tiepidezza, è perché non pensiamo a Dio, non riflettiamo che ci è presente, ci vede e ci osserva in ogni tempo. Sì tutto il danno, diceva S. Teresa alle sue monache, ci viene dal non riflettere che Dio ci è presente. Per questo Giobbe pregava costantemente il Signore di tenerlo sempre alla sua presenza, per poter vincere ogni suo nemico e non cadere mai in peccato.

Facciamo dunque anche noi lo stesso, suore, preghiamo il Signore che ci mantenga sempre alla sua divina presenza e vedrete, dice il grande Crisostomo, che non faremo, né penseremo, né diremo più alcunché di male, ma anzi avanzeremo nel bene, perché il pensiero della presenza di Dio non solo è mezzo efficacissimo a preservarci da ogni colpa, ma anche a farci avanzare grandemente nella via delle cristiane virtù. Questa è la seconda verità che volevo dimostrarvi.

In verità, con quale valore, con quale forza non operano i soldati alla presenza del loro re? Il solo pensiero che il loro principe li sta osservando, quello stesso che deve premiarli o punirli, comunica loro tale coraggio che fa loro affrontare e vincere ogni pericolo. Non è forse così? L’imperatore Vespasiano, avendo mandato un poderoso esercito sotto la guida di Tito, suo figlio, distrugge totalmente la città di Gerusalemme, giusta la profezia di Gesù Cristo: di essa non è rimasta pietra sopra pietra. Divorato dalle fiamme il famoso tempio di Salomone, asportati i vasi sacri, trucidati più di un milione di Ebrei, tutti i superstiti della nazione furono condannati ad obbrobriosa schiavitù. Stupefatti gli storici di tanto scempio, si domandano come mai i Romani potessero soggiogare un popolo così numeroso e farne una strage così orrenda. Risponde Giuseppe Flavio, che era uno scrittore di quel tempo e testimone oculare, la principale causa di sì strepitosa vittoria fu perché i soldati avevano sempre presente Tito, loro capo; la sua presenza accresceva in loro, smisuratamente, forza e coraggio. Se la presenza di un principe terreno poté rendere così coraggiosi quei soldati che non esitarono ad affrontare gravi pericoli ed esporre la stessa vita in sanguinosi cimenti, quale forza, quale efficacia non avrà la presenza di Dio nel cuore di persone religiose, quali siamo noi, per vincere ogni ostacolo, superare ogni difficoltà nell’operare il bene e perfezionare se stesse? Certamente si farebbe con attenzione e fervore l’orazione; si eseguirebbe con prontezza e senza tante critiche e lamenti l’ubbidienza impostaci; si tratterebbero con umiltà e dolcezza i nostri simili; insomma si farebbe ogni cosa con retto fine e senza umani riguardi, se si pensasse che Dio ci vede e ci sta osservando in tutto e per tutto.

Questo è il vero mezzo di acquistare la perfezione che Dio stesso additò al patriarca Abramo quando gli disse che per divenire uomo virtuoso e profeta non doveva far altro che dirigere i suoi passi alla sua presenza: Ambula coram me et esto perfectus.

Se noi, dunque, cammineremo sempre a questa divina presenza, se sempre terremo scolpita nel cuore questa infallibile verità che Dio ci vede in ogni luogo e in ogni tempo, non solo in breve diverremo perfetti ma potremo dire, in certo modo, d’aver già toccate le alte cime della perfezione. Noi, per essere perfetti, non dobbiamo far altro che praticare gelosamente quanto il Signore ci prescrive nella sua legge ed eseguire le obbligazioni del nostro stato. Ora il pensiero della divina presenza, ci invita, come abbiamo detto, al loro esatto adempimento e perciò ne viene di conseguenza, che la divina presenza ci guida pure alla perfezione, perché fa sì che siano conformi al divino beneplacito i pensieri della nostra mente, gli affetti del nostro cuore, gli accenti della nostra lingua, insomma le nostre azioni quotidiane; essa serba più puro ed illibato il candore della nostra anima, più pronta la nostra obbedienza, più intera e perfetta l’abnegazione della nostra volontà. Né alcuna cosa potrà distoglierci dal camminare alla divina presenza, dal correre sul diritto sentiero delle virtù cristiane perché nelle stesse umane disavventure il pensiero della presenza di Dio è un dolce conforto che rasserena lo spirito e tranquillizza il nostro cuore.

Così Davide perseguitato da Saul, insidiato da suo figlio Assalonne, abbandonato dai suoi fidi soldati, tradito dai suoi generali, non cedette mai al timore, ma fu sempre pieno di allegrezza e di giubilo considerando d’essere in compagnia dell’amato suo Dio: « Anima mea memor fuit Dei et delectatus sum ». E così noi, dilettissime suore, accetteremo volentieri qualunque penosissima tribolazione; ogni spina che incontreremo nella nostra osservanza religiosa, se ci ricorderemo che Gesù vede la nostra pazienza, le mortificazioni e i disprezzi tollerati per amor suo, per darcene poi un premio eterno, un’abbondante ricompensa in paradiso.

Noi, dunque, felici se manterremo viva sempre nel nostro cuore la divina presenza! Questa continua riflessione che Dio è presente e ci osserva in ogni luogo e in tutte le nostre azioni, ci distaccherà interamente lo spirito da ogni preoccupazione del mondo; ci affezionerà alla Chiesa, all’orazione, alla ritiratezza, al silenzio, disprezzando ogni cosa terrena e riponendo in Dio tutti gli effetti dell’animo nostro.

In tal modo il pensiero della presenza di Dio non solo ci preserverà da ogni difetto avvertito, ma ci farà avanzare a grandi passi nella via della virtù. In tutte le nostre azioni emaneremo quel buon profumo di santità, che, l’apostolo Paolo richiede specialmente da noi. Amen.