L’OBBEDIENZA
L’ubbidienza è la più sublime ed eccellente virtù che possa esercitare l’uomo; essa è di gran lunga migliore dei sacrifici e delle vittime stesse che si offrono a Dio ed a Lui immensamente, più di queste, gradita ed accetta: « Dio non vuole olocausti e vittime, ma vuole piuttosto che si obbedisca alla voce del Signore ». Così disse Samuele a Saul, grande re di Israele. Ed è giusto, perché se gran cosa è rinunciare per Dio alle ricchezze e all’oro, abbracciando la povertà volontaria, è certo cosa di gran lunga maggiore, dice S. Gregorio Magno, lasciare se stesso, privarsi del proprio volere, abbracciare un’obbedienza perfetta, poiché nel primo atto la persona dona a Dio i suoi beni, nel secondo invece Gli offre e consacra la cosa più nobile di se stesso che è la volontà. Perciò il santo Padre Agostino, cercando la ragione per cui Dio diede al progenitore Adamo il comando di non gustare il frutto dell’albero della scienza del bene e del male, da lui collocato in mezzo al paradiso terrestre, risponde di averlo fatto, anzitutto, per dimostrare e per far conoscere agli uomini il grande valore e il pregio nobilissimo della santa ubbidienza, volendo che tutto dipendesse da essa, sia la felicità temporale che quella eterna dell’uomo. Quindi, come la disubbidienza a quel divino comando fu l’infausta causa da cui ebbe origine ogni vizio e difetto, così l’ubbidienza viene detta, giustamente, dallo stesso santo Dottore, vera madre e fonte di ogni virtù e perfezione. L’obbedienza è la massima virtù, è l’origine e la madre di tutte le virtù.
Come l’umiltà è la base e il fondamentale sostegno di tutte le virtù cristiane e religiose; come la carità ne è il nutrimento e la vita; così l’ubbidienza ne è la ge-neratrice feconda e la custode fedele, come afferma S. Gregorio. La stessa cosa volle significare nei Proverbi lo Spirito Santo, quando lasciò scritto, a nostro ammaestramento, che l’uomo obbediente è uomo di vittoria e di trionfi; cioè, dice San Bernardo, egli farà in breve, acquisto d’ogni virtù. Vir oboediens loquetur victoria? Che meraviglia, pertanto, se i santi, sulla scorta della Sacra Scrittura, dissero che l’ubbidienza è la via più spedita e sicura per giungere, in poco spazio di tempo, all’apice della santità. L’angelico S. Tom-maso giustamente insegna che l’ubbidienza è la virtù essenziale della religione; è quella virtù che propriamente rende la persona: religiosa, e la costituisce nello stato di religione, a tal segno che potrebbe una persona osservare la povertà volontaria e la castità verginale, ma non per questo sarebbe mai religiosa, né in stato di religione, finché non fosse ubbidiente. Per qual’altra ragione credete voi, sorelle mie, che tutte le istituzioni religiose pongono l’ubbidienza a principio della loro esistenza, se non perché tutte le parti componenti, per raggiungere il fine della loro vocazione, è necessario che prendano direzione e moto da questa virtù, come dal loro proprio capo, non altrimenti che le membra di un corpo fisico devono essere dal capo armonizzate e dirette, per poter esercitare le funzioni loro proprie. Se è così, non sarà fuor di proposito che io vi parli di questa sublimissima virtù della santa ubbidienza, e brevemente vi mostri quali devono essere i luminosi caratteri di un perfetto ubbidire, affinché voi tutte, maggiormente amandoli, vi impegnate per realizzarli nelle quotidiane vostre operazioni.
I maestri di spirito, come voi sapete, distinguono due specie di ubbidienza: ubbidienza di volontà e ubbidienza d’intelletto. La prima consiste nell’eseguire con prontezza quanto viene comandato ed imposto, conformando la nostra volontà a quella del Superiore ed avere lo stesso volere e non volere con lui. La seconda, l’ubbidienza d’intelletto, è tutta riposta nel sottomettere il nostro giudizio al giudizio del Superiore. Ora affinché la vostra obbedienza sia intera, perfetta e gradita al Signore, è necessario ubbidire con queste due specie di ubbidienza: di volontà e d’intelletto. Dovete, dunque, dapprima ubbidire con la volontà: sottomettervi, cioè, ai vostri Superiori in tutto quello che non è peccato, ed eseguire tutti e singoli i loro ordini, sempre che non siano opposti alla santa legge di Dio. E ciò per due ragioni: 1) per la ragione generale che i Superiori, anche se difettosi, sono sempre i rappresentanti di Dio sulla terra, i canali per cui Dio ci rende noto ciò che desidera e vuole da noi, non essendovi, dice S. Paolo, cosa alcuna quaggiù che non sia da Lui preordinata e disposta; né potere e dominio tra gli uomini che non provenga e tragga origine dal Signore. Perciò lo stesso apostolo, nella lettera ai Romani, ci esorta tutti quanti ad essere ubbidienti e sottomessi ai nostri Superiori, perché, resistendo al volere dei Superiori, facciamo resistenza al volere divino, e resistendo al divin volere, facciamo gran torto a Dio, perché veniamo a dichiararci nemici di quel potere ch’Egli, come nostro Creatore, conserva sopra di noi. Lo stesso aveva già detto in termini chiari e parole precise, il divin Salvatore nel S. Vangelo, dove lasciò scritto che chiunque ascolta la voce dei suoi Superiori ascolta la Sua voce stessa, e chi non ne fa caso, non la manda ad effetto e la disprezza, disprezza e trascura la Sua stessa voce.
La seconda ragione che vi obbliga ad eseguire con esattezza quanto i vostri Superiori vi comandano è tutta particolare per voi che vi obbligaste ad obbedire il giorno in cui determinaste di servire Dio, indossaste l’abito religioso e ne faceste voto: fu allora che prometteste davanti alla Chiesa di lasciarvi guidare interamente dal volere di chi vi presiede, e di non fare più cosa alcuna contro l’obbedienza. Come potete voi ora, senza alcuno scrupolo, esimervi e dispensarvi dal fare quello che la Superiora vi impone e che l’ubbidienza vi prescrive? Se voi chiudete le orecchie alla voce della Superiora e, trascurati i suoi ordini, operate secondo il vostro modo di vedere, tenete per fermo che le vostre opere, anche se sante, non sono mai gradite ed accette a Dio, anzi saranno da Lui riprovate. Non vi pare vero? Udite. Iddio comandò per mezzo del suo profeta Samuele, al re Saul che, riunito l’esercito, marciasse contro Amalec, città ingrata, la sterminasse, la distruggesse e, fatti passare a fil di spada tutti i suoi abitanti, uomini e giumenti, non risparmiasse alcuna cosa dalle fiamme. Saul non indugia ad eseguire il divino comando, attacca i nemici, li combatte, e li disperde, ma, mosso da compassione, serba la vita al loro re Agag e risparmia quanto di migliore e di più prezioso trova nel bottino nemico, per sacrificarlo poi al Signore in Galgala. Lo credereste? Questo solo bastò a far perdere a Saul ogni merito della vittoria riportata, a fargli incontrare l’indignazione di Dio, e ancora a fargli perdere corona e regno, essendo stato, a causa di tale disubbidienza, abbandonato da Dio. « Perché non hai tu, o Saul, gli disse Samuele, altamente riprendendolo del suo operare, perché non hai tu obbedito a quanto ti aveva ordinato il Signore per mio mezzo? Sappi che in tal modo tu hai rigettato la parola di Dio ed ora Egli rigetta te, perché tu non sia più re. Egli non voleva le vittime e i sacrifici, voleva ubbidienza, ubbidienza agli ordini suoi ».
Se adempire con esattezza gli ordini dei propri Superiori è un dovere strettissimo di ognuna di voi, mie figlie, dovete anche eseguire con prontezza quanto essi vi comandano, perché la vera ubbidienza, dice S. Bernardo, non conosce indugio, e conforme all’immagine di un profeta, quasi saetta in mano di un valente arciero, in un baleno, si porta là dove l’indirizza la voce della Superiora. Anzi, soggiunge Alberto Magno, l’ubbidienza perfetta non aspetta neppure il comando del Superiore, ma conosciuto soltanto il volere di lui, si accinge ad eseguirlo prontamente, anche prima che gli sia formalmente intimato.
Anche l’angelico dottore S. Tommaso, dice che il subalterno, in qualsiasi modo, conosca il volere del Superiore, essendo questo un tacito comando, deve eseguirlo con tutta prontezza, andare incontro spontaneamente a quanto gli viene comandato, benché a volte sia cosa spiacevole e difficile.
Ora, ditemi, che il cielo vi salvi, mie figlie, credete voi che un simile indispensabile dovere si eseguisca e si adempia ugualmente da tutte le persone che oggi vivono in comunità religiose? Credete voi che ubbidiscano tutte con prontezza alla voce dei Superiori ed eseguiscano con esattezza quanto viene loro richiesto, senza replica e senza mormorazioni? Quanto a me, lo devo credere almeno di tutte voi, ma quanto ci sarebbe da confondersi e da piangere se vi fosse taluna, d’indole così caparbia, che, tacciando di eccessivo rigore chi le comanda, perché forse le ordina una cosa che non le piace, invece di prontamente eseguirla, va cercando ogni più scaltra maniera per sottrarvisi, a tal punto che la Superiora non ha più coraggio di chiedere qualche cosa, per timore d’incontrare opposizioni o di udire lamentele. Vi sono anche di quelle che non vorrebbero mai essere contraddette in niente, vorrebbero sempre le cose a loro modo: le Superiore si trovano ben spesso in condizione di imporre a certe loro figliole non ciò che è dovuto, ma ciò che esse desiderano; mescolando così nel calice amaro dell’ubbidienza, il dolce dell’altrui soddisfazione, perché sia bevuto con gaudio e tollerato con gusto: ma qual merito si acquisteranno queste tali? Quale premio riporteranno esse dal Signore per simili loro ubbidienze? La vera obbedienza deve essere provata tanto nelle cose piacevoli, come nelle dispiacevoli, tanto nelle facili come nelle difficili: anche un semplice cenno del Superiore ci deve bastare a farci eseguire con esattezza quanto ci viene comandato.
Né basta ancora: perché l’ubbidienza sia perfetta, non solo si deve obbedire con la volontà, bisogna, inoltre, obbedire con l’intelletto, cioè non basta eseguire con prontezza in qualsiasi cosa l’altrui volontà, ancorché sia ardua, difficile e ripugnante al proprio gusto; non basta prevenire l’altrui comando ed ubbidire anche ad un semplice cenno, senza aspettare un ordine chiaro ed espresso, ma è necessario uniformare la propria volontà a quella del Superiore. Posto ciò, vi pare che si diportino bene quelle suore che, con la loro santità, non si fanno scrupolo non solo di contraddire alle disposizioni dei Superiori, ma anche di condannare e di dire apertamente: « La Madre non doveva far questo, ha fatto male a far quello, non poteva fare quest’altro ».
Se critichiamo gli ordini dei Superiori, come non conformi al nostro modo di vedere, anche se si eseguiscono, perché non se ne può fare a meno, questa ubbidienza non è perfetta, perché questo è dividere la vittima della volontà che si offre a Dio nell’obbedienza: parte ai Superiori e parte all’amor proprio. Ma chi non sa che la vostra ubbidienza deve essere olocausto, non semplice sacrificio? Nel sacrificio dell’antica legge una parte della vittima si bruciava in onore di Dio e l’altra parte si serbava per sostentamento dei sacerdoti e dei loro ministri; nell’olocausto invece si ardeva tutta intera la vittima all’Altissimo in odore soave. Il pregio migliore dell’obbedienza, dice S. Giovanni Climaco, è di sottomettere il nostro parere all’altrui giudizio ed eseguire quanto ci viene imposto, senza indagare la causa per cui ci venne ordinato. Infatti, quando Dio comandò ad Abramo che gli sacrificasse Isacco, quel santo patriarca non si mise a ricercare la causa del comando, non disse che gli era troppo pesante, non esaminò come si sarebbe potuto dare a morte suo figlio mentre vi era la promessa, che gli aveva fatto Dio stesso, di essere padre di popoli innumerevoli, ma pronto si offerse a compiere il grande sacrificio, e l’avrebbe certo compiuto se l’Angelo non gli avesse fermato il braccio. Questa ubbidienza, che non mira il volto dei Superiori, ma la loro autorità; che non s’informa delle ragioni, né dei motivi che hanno i Superiori di comandare questo o quell’altro, si deve da noi osservare anche nell’operare il bene, altrimenti avverrà anche a noi come a quelli che al tempo del profeta Isaia andavano dicendo: « Perché, o Signore, noi abbiamo digiunato e voi non riguardaste queste nostre astinenze? Ci siamo umiliati nella cenere e nel cilicio e voi ignoraste queste nostre umiliazioni? ». Ai quali Iddio rispose: « Io non ho accettato i vostri digiuni, non ho gradito le vostre umiliazioni, perché erano frutto della vostra volontà ». Se noi mortificheremo la nostra carne con flagelli, cilizi e rigorosi digiuni, o ci tratterremo in fervide orazioni, contro l’ubbidienza di chi venne destinato da Dio alla nostra direzione, e non soffriremo in pace che questi santi esercizi ci vengano talvolta proibiti e vietati, noi ci affaticheremo inutilmente, perché il Signore non accetterà queste nostre virtuose operazioni. « Figlia – disse Dio a S. Teresa quando questa desiderava, contro il divieto del confessore, imitare Caterina da Cordova – figlia mia, io faccio conto più della tua obbedienza, che della penitenza di Caterina ». Il Signore, per il nostro profitto spirituale, non vuole che si laceri il corpo con austere penitenze e che si facciano lunghe orazioni di nostra propria volontà. Il maligno non teme le austerità e l’orazione, ma teme l’ubbidienza, e sapete perché? Perché non si trova mai con tanta certezza la volontà e il compiacimento di Dio, come nel cammino della santa ubbidienza.
Questa è la virtù più gradita allo Sposo celeste, questa è la più raccomandata e praticata da tutti i santi, questa è il sole che dà gusto e sapore a tutte le azioni e le rende meritorie per la vita eterna, questa insomma è la via più sicura e più breve per giungere all’apice di ogni virtù e perfezione. All’umile ed amorosa obbedienza dedicatevi dunque, figlie mie, interamente e continuamente; assoggettate la vostra volontà a quella di chi dirige e vi governa, e lasciatevi guidare in ogni vostra azione; vincete l’amor proprio ed eseguite con prontezza, con uniformità di volere, con piena soggezione d’intelletto quanto l’ubbidienza v’impone, senza repliche e senza lamentele, allora sì che, vi troverete un giorno ricche di meriti alla divina presenza per ricevere dal supremo Signore la larga mercede e l’abbondante ricompensa che Egli tiene lassù preparata per i veri ed umili ubbidienti. Amen.