AMORE DI GESÙ VERSO IL PADRE NEL RISPETTO CHE GLI PORTÒ
(Seconda Istruzione)
Nel mondo di solito avviene, come già dissi altre volte, che quanto più una persona ama un’altra, tanto più sovente le manca di rispetto. Ciò avviene, perché l’amore con cui si amano tra loro gli uomini, non è puro, non è santo, non è ragionevole, infatti gli uomini non amano negli altri che se stessi e l’appagamento delle loro passioni.
Poiché l’essere rispettoso è proprietà intrinseca al vero amore, noi vediamo che Gesù Cristo nostro Signore, perché appunto amava di vero amore, era rispettosissimo, sia verso le creature, che amava per Dio, sia verso il Suo celeste Padre che riveriva tanto più profondamente, quanto più intenso era il Suo amore per Lui.
Le Tre Persone dell’adorabile Trinità, infatti, si amano infinitamente ed infinitamente si rispettano: il Padre, conoscendosi, genera Suo Figlio e, venerandoLo, vede in Lui espresso sostanzialmente, tutto ciò che sa, tutto ciò che può e tutto ciò che è, perciò necessariamente Lo ama e, amandoLo, Lo giudica degno di un’infinita venerazione; il divin Figlio procede da questo così gran Padre e, procedendo, riconosce da Lui, senza però esserGliene debitore, l’essere, la potenza e il Suo sapere infinito, perciò si rivolge a Lui con dignitoso rispetto, come a Suo principio e Lo riama. Tale rispetto documenta assai bene quell’infinito amore, che Lo congiunge al Padre e Lo fa essere con Lui una sola cosa.
Venuta la pienezza dei tempi, venendo Voi stesso, o Verbo Incarnato, a portare in terra il santo timor di Dio, Vi portaste pure quel santo rispetto che non può mai essere disgiunto dall’amore.
Per renderlo poi, non solo sensibile, ma anche imitabile alla nostra debolezza, voleste assumere la nostra stessa debolezza e, fatto uomo come noi, c’insegnaste come si possa congiungere il rispetto all’amore.
Fate, o mio Gesù, che impariamo da Voi l’amore rispettoso che Voi professaste al Padre: con gli interni sentimenti del cuore e con quelli che comunicaste pure ad altri.
A che varrebbero le belle parole, le prostrazioni, le adorazioni esteriori, se il cuore non adorasse, non lodasse, non si umiliasse? Non servirebbero ad altro che ad attirarci quel rimprovero che Gesù fece all’ingrato popolo d’Israele: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me».
Gli uomini, che non vedono più in là delle apparenze, si possono benissimo ingannare con ipocrisie, ma Dio no, Egli vede l’intimo dei cuori e desidera i veri adoratori di cuore, i quali nell’intimo sentono quello stesso rispetto filiale che Gli mostrano all’esterno.
Il primo e il più eccellente di questi adoratori è, senza dubbio, nostro Signor Gesù Cristo. Se fosse dato anche a noi di contemplare in modo sensibile, i più intimi sentimenti del cuore di Gesù, vedremmo che non vi è stato mai un cuore più amante e più rispettoso del Suo, e più sottomesso alla divina maestà di Suo Padre. Si sa che la parola non è mai l’espressione completa di ciò che uno sente nel proprio animo, per cui possiamo dedurre ciò che Gesù sentì nel Suo intimo verso il Padre, da ciò che Egli disse e da quanto fece dire ai Suoi profeti.
Comincio dai profeti. Davide, parlando nella persona di Cristo fatto uomo, dice: «Ecco, o Signore, Voi avete ridotto a pochi i miei giorni; tutta la mia sostanza è quasi un nulla davanti a Voi».
Il primo sentimento, dunque, del cuore di Gesù è di profonda umiltà innanzi all’essere perfettissimo di Dio; è di totale annientamento di tutto se stesso, innanzi all’infinita potenza, da cui venne formata la Sua santissima umanità; è quindi di profonda adorazione e di dipendenza assoluta in tutte le cose, come si deve all’Arbitro supremo della vita e della morte.
Nessun Santo mai si presentò ad adorare il Signore con atteggiamento più umile di quello di Gesù; nessun cuore umano nutrì mai così umile concetto del suo nulla, come il cuore di Gesù. Questo cuore adorabile gode infinitamente nel sentirsi incapace di ogni cosa e così, rivolgendosi amorosamente a quel Dio per cui esiste, tanto più Lo ama, quanto più conosce d’aver ricevuto tutto da Lui, e Lo rispetta e Lo adora nella stessa misura con cui Lo ama.
O cuore umilissimo del mio Gesù, imprimete sentimenti così belli e così giusti anche in questo mio cuore, rendendolo in tutto conforme al Vostro. Io so bene di essere simile a Voi, come uomo, ma so pure di essere tanto dissimile da Voi nel concetto che ho di me stesso. Voi Vi umiliate e Vi stimate un nulla innanzi all’infinita Maestà del divin Padre; io, al contrario, alzo la cresta e mi credo chissà che cosa: esigo riguardi, pretendo distinzioni e neppure alla Presenza Divina so riconoscermi per quel miserabile che sono. Da ciò procede quel lamentarmi che io faccio, talvolta, di non essere visitato da Dio con dolcezze e consolazioni di spirito, con grazie e lumi soprannaturali, con cui Egli suole favorire tanti Suoi servi. Rimediate Voi, Gesù mio, a questo mio grave difetto che è causa in me di tanti altri mali ancora maggiori. È proprio dal non sapermi riconoscere un vero niente che deriva la privazione di tante grazie elette; Dio, infatti, opera le Sue meraviglie nelle anime umili.
Ma noi, Sorelle mie, appena creati dal nulla, fummo subito macchiati dalla colpa di origine, divenendo all’istante schiavi del demonio e nemici di Dio.
Al contrario, l’umanità adorabile del nostro divin Salvatore, nell’attimo stesso in cui fu concepita, venne così intimamente congiunta al Verbo Divino che in Lui solo cominciò a sussistere, formando con Lui una sola Persona divina.
Quindi l’umanità di Gesù fu santa fin dall’inizio, della stessa santità del Verbo di Dio; potente della Sua stessa onnipotenza; piena di ogni scienza beatifica, infusa ed acquisita; ricca di tanta grazia, quanta era sufficiente per salvare tutti gli uomini e, per dire tutto
in una parola, divenne, per l’unione ipostatica, vero Dio e vero Uomo.
Che sublimità infinita! Che tesori di grazia inconcepibili a mente creata! Eppure, proprio da questo, l’umilissimo cuore di Gesù trae motivo per umiliarsi ancora di più al cospetto del Suo divin Padre.
Per adorarLo più profondamente, Egli pensa che doni così eccelsi Gli sono venuti dal Suo liberalissimo Padre e, nell’intimo conoscimento del proprio nulla, dice con Davide: «Voi, o mio Dio, mi avete preso per la mano destra, mi avete accompagnato nel Vostro beneplacito, per Vostra misericordia, accoglieste la mia umanità, sublimandola a partecipare sostanzialmente all’infinita gloria della divinità.
Alla vista di tanta degnazione – continua Gesù per bocca di Davide – Io mi sento accendere il cuore di sentimenti di riconoscenza. Non voglio, però, tralasciare di ripensare al mio nulla originale, dimenticando, per un po’ ciò che Voi mi avete fatto essere per grazia, per ricordarmi sempre che cosa sarei da me solo, senza di Voi. Al Vostro cospetto io non sono altro che un giumento che voi caricaste dei Vostri tesori, quantunque, per Vostra sovrana degnazione, possa dire di essere con Voi sempre una stessa cosa».
Tali sono, Sorelle mie, tali sono i veri sentimenti di umiltà e di rispetto che ebbe il Sacro Cuore di Gesù. Anche i nostri cuori devono possedere tali sentimenti, se desideriamo realmente renderli simili al Suo. Dio ha prevenuto noi pure, sebbene tanto immeritevoli, con benedizioni di dolcezza, e sebbene purtroppo noi ne abbiamo abusato, non possiamo però negare che ci abbia circondato di tanta misericordia.
Saremo noi orgogliosi, perché Dio ci ha beneficati? Se siamo un nulla in quanto all’essere, che cosa saremo poi, riguardo ai doni ricevuti? Se noi dobbiamo riconoscere da Dio il nostro essere, come non riconosceremo da Lui, molto più, ogni nostro essere soprannaturale, che può venirci comunicato unicamente dal Suo amore? San Paolo dice: «Chiunque stimi se stesso un qualche cosa, si inganna, perché non è altro che un vero nulla». Tutto, dunque, dobbiamo riconoscere da Dio e, mossi da profonda gratitudine, dobbiamo ringraziarLo continuamente.
A conoscere sempre meglio i rispettosi esempi del Cuore di Gesù verso il suo Divin Padre, dopo aver inteso i Profeti, passiamo ad interrogare Lui stesso, perché nessuno, meglio di Lui, potrebbe darcene notizia più certa e grazia più efficace per imitarli.
Che dice, dunque, Gesù Cristo intorno a ciò che sente nel Suo cuore? Egli dapprima, considerandosi quale uomo, riguarda Suo Padre come Suo Dio e Suo Signore, e mettendosi nel numero degli altri uomini, chiama Suoi fratelli i suoi discepoli e manda a dire loro: «Io ascendo al Padre mio e al Padre vostro, al Dio mio e al Dio vostro». Dunque Egli Lo adora, e a Lui serve con tutta la venerazione che una creatura deve al Suo Creatore.
Cristo non dispone a Suo talento dei seggi di gloria preparati nel Cielo; infatti, quando Gli si accosta la madre di Giacomo e di Giovanni e, adorandoLo, Lo prega di fare sedere i suoi due figli, uno alla sua destra, l’altro alla sua sinistra nel Suo Regno, Egli le risponde: «Non sapete ciò che chiedete. Non è in mio potere concedervi questo, ma tali posti saranno dati a coloro, per i quali sono stati preparati dal Padre mio».
Nel medesimo senso dirà che nessuno può venire a Lui, se prima non sia attirato dal Padre Suo.
Anzi, nell’interno della Sua umanità, non riconosce neppure di avere come propria la nozione delle cose future. Perciò, parlando un giorno del giudizio universale ed elencati i segni di cui sarà preceduto, aggiunge che nessuno: né gli Angeli del Cielo, né lo stesso Figlio di Dio, ma solo il Divin Padre conosce il giorno e l’ora in cui dovrà avvenire.
Che cosa si può dire di più, Sorelle mie? Gesù dice addirittura di non avere bontà, come uomo, perciò ad un tale che Lo chiama: «Maestro buono» Egli subito lo riprende, dicendogli: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne Dio solo». Se quell’uomo Lo avesse chiamato «Maestro buono», credendoLo anche vero Dio, Cristo non gli avrebbe fatto tale osservazione, perché, come Dio, è realmente buono, anzi è la stessa Bontà come il Padre Suo, ma quel tale Lo credeva semplice uomo e Gesù, come tale, non può riconoscersi per buono, poiché ritiene per nulla il Suo stesso essere di uomo.
Inoltre, Gesù non si accontenta di nutrire nel suo cuore sentimenti di così umile sottomissione e venerazione per il Suo divin Padre, Egli comunica pure questi Suoi stessi sentimenti anche ad altri. Quindi ogni volta che la Sua missione lo richiede, cerca sempre di farsi conoscere come vero uomo, cioè suddito al Padre e minore del Padre stesso. Egli, perciò, non assume mai nessuno di quei nomi gloriosi che gli antichi Profeti Gli avevano assegnato come propri: Angelo del gran Consiglio; Principe della pace; Padre del secolo futuro ecc, ma contento di esprimere con i fatti la verità di tali denominazioni, si chiama e si fa credere: Figlio dell’uomo.
Confessa in pubblico che la Sua dottrina non è Sua, ma del Padre che Lo ha mandato, e che quanto Egli dice, è soltanto ciò che il Padre Gli aveva comandato di dire.
Davanti a tutto il popolo, attribuisce al Padre la propria potenza e non si vergogna di dire apertamente agli Ebrei che Egli da solo non può fare cosa alcuna e che le opere strepitose che vedevano compiersi da Lui, erano propriamente del Padre Suo, che sta sempre in Sua compagnia.
Alla fine della Sua vita poi, Gesù vuole esprimere più vivamente i rispettosi Suoi sentimenti verso il Padre, lasciando a noi indelebile memoria.
Egli sta già per avviarsi all’Orto degli Ulivi, in cui deve essere tradito, e i suoi cari Apostoli, indovinando troppo bene come sarebbe finita la cosa, si mostrano molto addolorati e pieni di mestizia. Allora Gesù, per confortarli, dice loro: «Se voi mi amaste veramente, dovreste invece rallegrarvi che io vada a mio Padre, perché il Padre è maggiore di me».
Tale ragione non poteva uscire che da un cuore infinitamente umile ed amante come è quello di Gesù, che giunge perfino a dirsi inferiore al Padre.
O Padre eterno, quale esempio di profondo rispetto e di umilissima sudditanza voleste che ci lasciasse il vostro Figlio divino! Non bastano questi esempi a debellare ed annientare la mia superbia? Come io, vermiciattolo, uscito ieri dal fango e che domani dovrò ritornare nel fango, ricuso di dipendere da Voi, mio Dio, mi stimo qualche cosa senza di Voi, e in mille modi Vi manco di rispetto? Non voglio, qui, dire il mio grave peccato, né i motivi che avrei di starmene umiliato.
Voi, piuttosto, o Signore, rinfacciatemi sempre il mio peccato, nel silenzio della mia povera preghiera, perché lo detesti e non vi cada mai più; ricordatemi ancora, o Signore, i molti motivi che ho di umiliarmi, perché se Voi mi aiuterete a tenerli sempre presenti, mi darete anche la grazia per approfittarne.
Le Vostre parole sono opere: basta che ne diciate una sola al mio cuore, che questi Vi si assoggetterà perfettamente, sia nel tempo che nell’eternità, onde partecipare a quella gloria che derivò al Vostro divin Figlio e mio Redentore, dall’essersi tanto umiliato dinanzi a Voi.
L’Evangelista S. Giovanni vide gli Angeli del cielo e li intese gridare a gran voce: «Degno è l’Agnello che è stato ucciso di avere: potenza, sapienza, fortezza, onore, gloria e benedizione». Al quale grido di applauso facevano eco tutte le creature che sono in cielo, sulla terra e nel mare, gridando anch’esse: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello: benedizione, onore, gloria e potestà per tutti i secoli dei secoli»; e i quattro misteriosi animali che assistevano al trono di Dio, rispondevano: «Amen».
Che faremo noi Sorelle mie? Non vi pare giusto che anche noi, incurvando la fronte fino a terra, con i quattro misteriosi animali dell’Apocalisse, profondamente prostrati, adoriamo Gesù vero Uomo e vero Dio e diciamo noi pure: «Amen, così sia?»
Sì, è veramente cosa degna, Gesù, che tutte le creature Vi riconoscano per sapiente, potente, buono e glorioso, dal momento che Voi, di tutti questi grandi attributi, faceste così umile omaggio al Vostro eterno Genitore. Veramente noi ci compiacciamo che tutte le creature: quelle razionali, quelle che solo vegetano e tutte le altre in cui l’essere è la sola vita che hanno, riconoscano ed adorino nella Vostra umanità il loro Dio. Benedetto sia il Vostro Sacratissimo Cuore che così tanto ama e si umilia, benedetto il Vostro Padre che così Vi rimunera e Vi esalta.
O se noi imitassimo questo esempio di sottomissione perfetta al nostro Dio, e se da Lui riconoscessimo ogni nostro bene!
Fiat, dunque, fiat, fiat, sempre! Così certamente sarà Sorelle mie, se noi coltiveremo un continuo e profondo spirito di fede, che ci faccia considerare ed amare Dio per quell’Essere infinito che Egli è: perfettissimo al di sopra di ogni perfezione, che tutto vede e tutto sa, beatissimo in Se stesso, ovun-que presente dentro e fuori di noi; allora noi, come atomi compenetrati dai raggi di tanta maestà, Lo adoreremo continuamente con umile riverenza ed uniremo, almeno qualche volta, la nostra voce a quella dei Serafini, i quali coprendosi, per profonda venerazione, la faccia con le ali gridano sempre dinanzi al suo trono: «Santo, santo, santo è il Signore, Dio delle Virtù». Amen.