AMORE DI GESÙ VERSO GLI UOMINI
(nel donarsi loro come cibo)
Iddio, dice S. Giovanni, ci ha dato il comandamento di amare il nostro prossimo con quello stesso amore che dobbiamo a Lui, perché i due amori vanno congiunti insieme, né l’uno può separarsi dall’altro. Sono come due parti di uno stesso composto, due anelli di una sola catena inseparabilmente uniti fra loro; quindi la carità, per essere accetta al Signore e giungere al colmo della perfezione, non deve mai separarsi, conforme al divino precetto, dall’amore del prossimo.
Vi pare, Sorelle mie, che questo comandamento del Signore sia osservato dagli uomini? Vi pare che sia osservato tra noi? Se prestate attenzione, voi trovate spesso finzioni ed apparenza anche fra quelli o quelle stesse, che pure sembra che ci amino. Questi tali, il più delle volte, amanti dei loro propri interessi invece che dei nostri, tanto ci amano quanto sperano di approfittare della nostra amicizia.
Ben diversamente però si comportò con noi il nostro vero ed unico amico, Cristo Gesù. Egli non ci ha amato per proprio interesse, ma unicamente per nostro vantaggio e con suo grande incomodo: ci ha amati non solamente con le parole, ma con l’efficace testimonianza delle opere. Se alcuno chiedesse che cosa Egli abbia fatto in nostro favore, noi confessiamo che, se la piena dell’affetto permettesse di dargli una risposta, gli si dovrebbe rispondere piuttosto: «Che cosa non ha fatto per noi?» Sappiamo infatti che Egli ha fatto tanto, che sebbene onnipotente, non avrebbe potuto fare di più, e che ci ha dato tanto che, non rimanendoGli altro, alla fine ci diede tutto Se stesso. Noi abbiamo già veduto quanto l’amore di Gesù verso gli uomini fosse fattivo nel farsi loro compagno nella Sua nascita, vediamo stasera quanto questo stesso amore fosse operoso anche nel darsi loro per cibo nell’ultima cena e poi saprete dire che cosa poteva fare Egli e non l’abbia fatto.
Per quanto Gesù Cristo N.S. si fosse dimostrato compagno indivisibile in tutte le circostanze della nostra vita, tuttavia era giunto il momento in cui doveva ritornare al Padre che Lo aveva mandato.
Che farà pertanto il tenero amico delle anime nostre? «Sono tirato da due forze – sembra che risponda con una tenerezza capace di spezzare persino le pietre – sono tirato cioè, e dal desiderio di andare, e da quello di restare. Il Padre mi invita e gli uomini hanno bisogno di me; vorrei partire e non li vorrei abbandonare». Sorelle mie, una così ardua difficoltà poteva superarsi solamente dall’amore infinito di Gesù Cristo; ed ecco come l’amorosissimo Gesù la superò di fatto.
Seduto a mensa nell’ultima cena con i suoi dodici Apostoli, prende nelle Sue sante e venerabili mani del pane, quindi, sollevati gli occhi al Cielo a Dio, Suo Padre onnipotente, benedice questo pane, lo spezza, lo porge ai suoi Discepoli dicendo: «Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo, sì, questo è il mio Corpo», dunque non è più pane, invece del pane ci porge in cibo il vero Suo Corpo, e col Corpo, l’anima e la divinità del nostro buon Redentore.
Adoriamo in silenzio, Sorelle mie, un mistero di fede che soltanto l’infinita sapienza del Verbo incarnato poteva escogitare, ma soprattutto corrispondiamo con intenso amore ad un Sacramento che è tutto amore, e che è scaturito dal cuore amante del nostro Gesù.
Con quanta sollecitudine, o Gesù, adempite la promessa di non lasciarci orfani, ma di venirci a visitare! Ecco che Voi non solo ci visitate, ma venite dentro di noi e Vi fate con noi una cosa sola, conseguenza di un amore smisurato.
Ma questo non è tutto, mie Sorelle. È così grande ed infinito il dono che Gesù ci ha fatto nel donarci Se stesso, che se noi riflettiamo sulle parole con cui ci presenta questo dono, veniamo a scoprire una finezza di amore che Lo rende ancora più degno di stima.
Egli dice: «Prendete e mangiate, questo è il mio corpo». Perché non ha detto: «Questa è l’anima mia, questa è la mia divinità?» Sì, lo poteva dire, non c’è dubbio; ma è proprio di chi ama assai – dice Padre Segneri – offrire preziosi regali a coloro che amano, con parole di attenuazione, quasi per minimizzare il dono stesso.
Ciò mi commuove fin nell’intimo del cuore, o mio Gesù, e per questa testimonianza di amore, comprendo benissimo che Voi non soltanto volete donarmi il vostro Corpo, quanto il vostro Amore. Che altro dunque vi dovrò rendere io, se non il mio cuore e tutto l’amore di cui esso è capace?
Osserviamo ora un’altra circostanza, la quale svela meravigliosamente l’immensità di quell’amore con cui Gesù ci si è donato: il tempo in cui ci fece un tale dono. S. Paolo lo sottolinea in modo particolare nella lettera ai Corinzi: «Gesù cambiò il pane nel Suo divinissimo corpo, proprio in quella notte nella quale doveva essere tradito, anzi quando il tradimento era già in corso». Oh, carità immensa del mio Gesù! Io penso, Gesù mio, che Voi avete voluto istituire di notte il grande mistero del Vostro amore, perché il sole non potesse vedere, come il più vile tra i tradimenti, fosse turpemente accoppiato col più segnalato dei Vostri benefici.
Quanto amore e quanta ingratitudine! Quale beneficio senza paragone, e quale tradimento senza misura! Ma non soltanto in quell’ultima notte Gesù Cristo si è con tanta intimità e generosità donato all’uomo.
Egli non fu pago di questo: il buon cuore di Gesù non una sola volta, ma ripetute volte si vuole comunicare agli uomini, fino alla consumazione dei secoli. Si volge perciò, ai suoi Discepoli e conferendo loro quella potestà sacerdotale, della quale è in Lui tutta la pienezza, impone Loro di fare altrettanto in sua memoria. Ecco pertanto istituito l’ordine sacerdotale; ecco una serie ininterrotta di Sacerdoti, che nella Chiesa dovrà succedersi sempre per rinnovare ogni giorno, a favore di tutti i fedeli, quel sacro convito in cui si mangia Gesù Cristo, si rinnova la memoria della Sua passione, si riempie l’anima di grazia e ci si offre il pegno della gloria a noi preparata.
E poiché nulla tenesse lontano alcun uomo da un pascolo così salutare, l’amorevole Pastore promette la vita eterna a chi se ne ciba; e a chi per falsa umiltà se ne astiene, minaccia la morte.
Che cosa avranno detto gli Angeli nell’udire che s’imponeva all’uomo di cibarsi del loro Re, ciò che ad essi non è concesso? Che cosa diranno ora nel vedere tanti uomini ingrati, i quali trascurando questo precetto, passano i mesi e gli anni senza cibarsene affatto?
Qui però io non posso omettere di sottolineare, mie care Sorelle, che quanto grande e ineffabile è il beneficio che Gesù ci fece nel farsi cibo delle anime nostre, altrettanto grande e singolare deve essere la nostra corrispondenza. Questa la dobbiamo soprattutto dimostrare nel disporci santamente a ben riceverLo nella S. Comunione, nell’accostarci a Gesù Sacramentato con un cuore non solamente puro da ogni macchia, ma adorno altresì di opere buone e virtuose.
Voi sapete, mie Sorelle, che la disposizione che si deve premettere alla S. Comunione è duplice: una remota, l’altra prossima.
La remota consiste nel purificare bene il cuore da ogni ombra di peccato per mezzo di una buona Confessione, e nel pensare spesso, durante il giorno, alla Comunione del mattino seguente.
La prossima consiste nell’accostarci alla Sacra Mensa con fede viva, umile, confidente e con grande amore a Gesù Sacramentato.
Una fede che ci faccia credere praticamente, che Colui che riceviamo nell’Eucarestia, è quello stesso Figlio di Dio che appena nato nella grotta di Betlemme, subito scese dal Cielo una moltitudine di Angeli per umigliarGli i suoi ossequi e le sue adorazioni.
È Colui che, sempre a Betlemme, i pastori e i Magi adorarono.
È Colui al quale il Battista si confessava indegno di sciogliere i legami dei calzari.
È Colui che il divin Padre, sulle rive del Giordano, dichiarò Suo Figlio diletto.
È Colui infine, che per noi sofferse tanti dolori, versò tutto il sangue e si offrì interamente al Padre vittima ed olocausto per i nostri peccati, e che ora regna glorioso in Cielo.
Chi sarà degno di ricevere in casa un tale Ospite? Degna sua dimora è soltanto il seno del divin Padre, da cui fu generato da tutta l’eternità nella gloria e nello splendore dei Santi.
Ben a ragione, Sorelle mie, dobbiamo noi ripetere con sincerità di cuore, ai piedi del santo Altare, quel che disse il centurione del Vangelo: «Signore, io non son degno che Voi entriate dentro di me, ma dite una sola parola e l’anima mia sarà salva». Se Voi, o mio Dio, con la potenza della Vostra voce, avete chiamato dal nulla cielo e terra, stelle e mare e quanto di bello si trova nell’universo, quanto meglio potete con una sola parola provvedere ai bisogni dell’anima mia, senza giungere al punto di entrarvi Voi stesso in persona per salvarla.
Questi, mie Care, devono essere i sentimenti di fede, con cui noi dobbiamo presentarci a ricevere il Pane degli Angeli, per ricavare frutto dalla S. Comunione. Ma ditemi, facciamo noi così? Ci accostiamo noi con questa viva fede a mangiare le sacratissime carni dell’Agnello? Vi pare che abbiano questa fede, umile e riverenziale, quelle anime che poco prima della Comunione, si mostrano piene di risentimento, di collera e di impazienza? Che si accostano alla sacra Mensa senza un impegno deciso di correggersi dei loro difetti, di mortificare le loro cattive inclinazioni, di deporre quell’aria arrogante ed altera e di rivestirsi di quella santa umile dolcezza che, al dire di S. Francesco di Sales, è la virtù delle virtù? Iddio infatti, concede la sua grazia solamente agli umili e la nega ai superbi.
Vi sembra che credano, praticamente, di ricevere nell’Ostia sacrosanta il Dio della santità, della purezza, della carità, quelle anime, che nonostante la loro quotidiana Comunione, sono sempre piene di negligenza e di trascuratezza nell’adempimento dei loro doveri? Esse pensano che si preparano sufficientemente alla Comunione dopo essersi confessate, senza poi concepire un vero dolore delle loro mancanze e formulare un serio proposito per una efficace emendazione.
Mie Sorelle, se noi ci esaminiamo bene, dopo tante Comunioni fatte, dobbiamo constatare che non sempre ci siamo accostate con le dovute disposizioni a questa Mensa divina.
Gesù Cristo è sempre lo stesso, tanto ora nel Sacramento, come quando passeggiava per le contrade della Palestina, beneficando e sanando tutti. Perché dunque noi, dopo aver tante volte ricevuto nel nostro cuore questo insigne Benefattore, siamo sempre miseri e meschini come prima? La ragione è chiara: perché non abbiamo fede. Gesù operava stupendi prodigi ovunque passava, ma non ne fece alcuno in Nazaret Sua patria. Sapete perché? «Per la poca fede – risponde S. Matteo – di quegli abitanti».
Altrettanto succede a noi: il Sacramentato Signore non opera nelle anime nostre quei mirabili effetti e quelle meraviglie stupende che ha operato ed opera in tante altre anime ben disposte, per la poca fede con cui ci accostiamo a riceverLo. Fede, dunque Sorelle mie, nell’avvicinarci al Sacro Altare, fede viva, fede che ci faccia praticamente credere che Colui che riceviamo, è quel Gesù che consolò, tanti afflitti, risanò tanti infermi, liberò tanti indemoniati; quel Dio d’infinita potenza al cui cenno obbedirono prontamente gli elementi naturali; quel Dio d’infinita maestà e di infinita grandezza al cui cospetto gli Angeli si coprono per riverenza la faccia con le loro ali.
Alla fede, poi, nell’eccellenza e nella grandezza dell’Ospite che stiamo per ricevere nella S. Comunione, uniamo un’umile ed amorosa confidenza nella Sua infinita bontà, e mentre confessiamo di essere indegnissime di ricevere dentro di noi il Dio di ogni santità, confidiamo che Egli, nella sua infinita misericordia, guarirà tutte le piaghe e risanerà tutte le infermità dell’anima nostra.
«Dite, o Gesù, una parola e basterà questa a diradare le tenebre della mia mente, ad infiammare il mio cuore del vostro amore, a difendermi nei pericoli, a rendermi generosa nelle tribolazioni, diligente nei miei doveri; in breve basterà questa a farmi santa. Ditela, dunque, o Signore, questa parola e sia essa la mia salute».
Se noi così faremo con perseveranza, con cuore infiammato d’amore per Gesù Eucaristia, non dubitate, Sorelle carissime, che Gesù, infine, dirà anche a noi, come al Centurione del Vangelo: «Va’ e ti sia fatto secondo la tua fede». Amen.