Amore di Gesu alla santa umilta 2

 

AMORE DI GESÙ ALLA SANTA UMILTÀ

(Seconda Istruzione)

Dice S. Ignazio che il demonio, re di tutti i superbi, prima tira gli uomini in quel baratro che egli chiama superbia grande, al punto cioè, di estinguere in loro l’amor di Dio, convergendo tutti i loro sforzi a soddisfare se stessi; poi comincia ad adescarli con una superbia piccola, con un desiderio di vani onori mondani, che a prima vista non sembrano peccato.

E se è così, non vi pare questo un motivo di grande spavento? Quanti, infatti, possono, con verità, affermare di non aver in sé alcun germe di superbia? Pochissimi, e forse soltanto quelli che meno di ogni altro oserebbero affermarlo.

Del resto, i grandi maestri di spirito ci danno per certo che tutti, più o meno, abbiamo la nostra parte, e non c’è vizio che più precocemente nasca e più tardi muoia nell’uomo, quanto la superbia.

Essa lo accompagna ovunque, e sotto mille apparenze ingannatrici lo seduce, perfino sotto l’aspetto della sua capitale nemica che è l’umiltà.

La si vede talvolta anche nelle Comunità religiose con titoli menzogneri: di zelo della divina gloria, di bene delle anime ecc. Voglio concedervi che questa non sarà che una piccola superbia, ma frattanto chi

non temerà nel pensare, dove una piccola superbia possa condurre?

Ecco, dunque, il grande bisogno che Gesù, apostolo della nostra fede, pastore eterno delle nostre anime, ci venga qui, più che mai, in aiuto con i Suoi precetti e con i Suoi esempi.

Di povertà, di mortificazione e di altre virtù, si erano forse dati precetti e si erano visti esempi, sebbene imperfetti, anche prima che Gesù venisse quale redentore del mondo; ma di umiltà: né precetto né esempio né realtà né apparenza, possono mostrarci tutti i secoli precedenti la sua venuta.

I superbi filosofanti di Atene e di Roma, che pure facevano professione di saper tanto, hanno ignorato perfino il nome di questa virtù. Gesù la portò dal cielo, e dovette venire ad insegnarla agli uomini. Ma in che modo la insegnò? Non col metodo così spesso usato dai maestri della terra, cioè, insegnando e non facendo o facendo tutto l’opposto! Egli prima umiliò Se stesso: spese i lunghi anni della Sua vita nell’insegnarci ad essere umili con l’esempio; poi ci diede i precetti e comandò che chi è maggiore fra noi si faccia come inferiore; che ci umiliamo se vogliamo essere esaltati; che porgiamo anche la sinistra a chi ci percuote la guancia destra, e così via.

Potrebbe qualcuno esimersi dall’adempiere simili precetti, dopo aver visto e meditato simili esempi? Meditiamoli, dunque, questi esempi per tutta la vita, tanto più che Gesù stesso c’invita a farlo là dove dice: «Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore». Sì, umile di cuore è Gesù, perché amò sinceramente l’umiltà; di questa sincerità fece ampia fede non solo con le umiliazioni che praticamente sopportò, come abbiamo visto l’altra volta, ma anche con le umiliazioni che Egli stesso si cercò, come vedremo questa sera.

Chi è umile di cuore non si accontenta di soffrire con pazienza i disonori e le ingiurie che gli vengono fatte, ma egli stesso, potendolo, va loro incontro e con maggior ansia se le procura; ciò che non fanno gli uomini del mondo per i vani onori e le terrene preminenze.

Che grande esempio ci diede a questo proposito Gesù Cristo, figlio di Dio vivo, fin dal primo istante della Sua incarnazione!

Esempio tale, che fece sbalordire le menti più illuminate dei cherubini e che formerà sempre, per tutti i secoli, l’estasi eterna dei beati del cielo. Egli, generato ab aeterno nella forma viva di Dio; Dio, per conseguenza, Egli stesso in tutto simile al Padre: si svuotò, in certo modo, di Se stesso, secondo l’energica frase di S. Paolo, per assumere la forma di servo, divenendo in tutto simile all’uomo.

Ma non sciupiamo parole, Sorelle mie, nel vano tentativo d’ingrandire l’infinito e di spiegare l’ineffabile: entriamo piuttosto con la S. Chiesa in un sentimento di altissima meraviglia nel pensare che l’Unigenito Figlio del Padre, non abbia avuto orrore, per liberare l’uomo dalla schiavitù dell’inferno, di chiudersi bambino nel seno verginale di una fanciulla: « Non horruisti virginis uterum».

Prostriamoci con Lei riverenti, nel sentirci ricordare nella sacra liturgia che il Verbo si è fatto carne, cioè s’incarnò nel seno di Maria Vergine, per opera dello Spirito Santo.

Con tali disposizioni Dio farà comprendere anche a noi, come un giorno a S. Agostino, che Egli si è umiliato tanto, al fine di abbassare la nostra superbia; e che l’uomo, per cui un Dio si è così umiliato, dovrebbe vergognarsi d’essere ancora superbo.

Ma questo incarnarsi del Figlio di Dio, se fu il fondamento di tutte le umiliazioni del nostro divin Salvatore, ne fu anche il principio, perché ad altre umiliazioni andò Egli incontro spontaneamente, conforme al desiderio dell’umile Suo cuore.

Perché si recò al Giordano per ricevere il battesimo da Giovanni Battista? Al Giordano si recavano pubblicani e peccatori, per eccitarsi, con quell’atto di umiliazione, a penitenza dei loro peccati; vi si recavano turbe innumerevoli dalle regioni adiacenti, per venir battezzate nella confessione dei propri peccati. Che ha, dunque, a che fare l’Agnello immacolato, venuto per togliere il peccato dal mondo? E quali consigli andrà a chiedere alla voce che predica nel deserto, l’Angelo del gran Consiglio, l’eterno Verbo incarnato?

La ragione di ciò, può solo trovarsi nell’umiltà del Suo cuore.

Questo cuore purissimo da ogni macchia, sente per altro la bruttura delle nostre colpe che ha voluto far Sue; vede, inoltre, la nostra grande superbia per cui, benché peccatori, avremmo cercato di nascondere i nostri peccati non soltanto agli occhi degli uomini,

ma se fosse possibile, anche a quelli di Dio, scusando nelle nostre confessioni le proprie colpe. Egli perciò volle assoggettarsi spontaneamente ad una vita di tanta confusione, e si confuse tra la folla, e chiese a Giovanni il suo battesimo.

Era, però, naturale che Giovanni Battista, supernamente illuminato, conoscesse chi fosse quel Penitente, e si ricusasse di compiere un ministero che doveva costargli troppa pena: ma Gesù lo indusse con una ragione, che deve confonderci più del fatto stesso: «Lascia, per ora, e non farmi resistenza, perché conviene che noi adempiamo ogni giustizia».

No, mio Gesù, non è giustizia che Voi innocente facciate la figura di peccatore, ma è ben giusto che io, macchiato di mille peccati, appaia quello che veramente sono né voglia ingannare più il mondo col sembrare una colomba, mentre sono, in verità, un corvo.

Pianga io, sì, giorno e notte, e lavi continuamente in un fiume di lacrime le mie colpe, e se qualcuno mi chiede: «Perché piangi?», non abbia ad arrossire nel rispondere: «Perché ho peccato!»

Confessi io sempre a Dio la mia iniquità, ripensando agli anni della mia vita, nell’amarezza del mio cuore, ma Voi datemi grazia, o mio Dio, perché questo cuore non sia colpevole di tanta malizia, da scusare, dinanzi a Voi ed al Vostro Ministro, le colpe che confessa e le scuse che follemente adduce.

Con tale atto di esemplare umiliazione, Gesù volle dare inizio alla Sua vita apostolica, ma con un atto di non minore esempio volle Egli terminarla.

Non perdiamo, Sorelle mie, un apice di questo altro grande atto operato da Gesù, uno dei pochi a noi raccontati nei S. Evangeli con maggior espressione di circostanze, perché doveva questo domare singolarmente la nostra superbia.

Venite, dunque, con me là nel grande Cenacolo, dove Gesù celebra l’ultima Pasqua con i Suoi amati discepoli, la notte precedente la Sua santa Passione.

Fatta la cena legale, dice S. Giovanni, avendo già il diavolo messo in cuore a Giuda Iscariota di tradire il suo Divino Maestro, e sapendo Questi benissimo, come Gli era stato dato dal Padre il potere su ogni cosa, e come da Dio era uscito e a Dio stava per ritornare, si levò da tavola e, preso un asciugatoio se ne cinse. Poi versò dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi ai Suoi apostoli e a tergerli con l’asciugatoio, di cui era cinto.

Dio buono! Poteva Gesù premettere un più magnifico esordio all’istituzione dell’Eucaristia, di quello della lavanda dei piedi? Non suscita grande meraviglia che Dio crei il mondo, quanta è quella che suscita l’umiliazione che Egli lavi i piedi ai Suoi discepoli; e l’Eucaristia medesima, prodigio estremo del Suo amore, non sarebbe per noi che un laccio di morte, se fossimo ardite di avvicinarci a Lei senza umiltà. Insista pure, particolarmente, l’evangelista, su questo punto, descriva pure, quanto più può, intimamente ogni cosa, perché ogni parola, ogni gesto è qui, per noi, un sacramento.

Ecco, dunque, il nostro re e Signore ai piedi dei Suoi discepoli, ai piedi di Giuda, che tra poco lo darà in mano ai Suoi spietati nemici.

Non è il buon Gesù, un ignorante; non è un illuso, un visionario, il quale non sappia chi è Lui e chi è la Sua creatura. Conosce molto bene la Sua dignità e l’indegnità altrui. Non è un vile, che abbia venduta l’opera sua a tale ministero, perché Egli sente intimamente di avere in mano l’onnipotenza stessa del Padre: sapeva che il Padre tutto Gli aveva dato.

Non è neppure per necessità che faccia così, perché Egli già vede che, anche senza quest’atto, fra non molto, potrà ritornare al Padre da cui era partito.

Perché, dunque tanto si abbassa a lavare i piedi del Suo traditore iniquo? Ripetiamolo ancora una volta, poiché non si ribadisce mai abbastanza: tanto si abbassa, perché Egli è veramente umile di cuore, perché ama sinceramente la santa umiltà. Per questo tanto si umilia per dare a me, per dare a voi, esempio di quello che dobbiamo fare noi servi, noi discepoli, mentre tanto fa il Padrone, il Maestro nostro. Ce lo dice Egli stesso: « Exemplum dedi vobis ut quemad-modum ego feci vobis, ita et vos faciatis».

Ma ditemi, Sorelle mie, noi abbiamo finora imitato questo esempio di santa umiltà che ci diede il divino Maestro? Non dico nell’azione materiale, ma nello spirito di essa, che è di star soggetti ad ogni creatura, quantunque piccola, per amor di Dio, e di cercare l’umiliazione tutte le volte che ci si presenti l’occasione.

Vi pare che possiamo dire di essere veramente umili di cuore? Ma se è così, perché non osiamo fare un atto di umiltà col nostro prossimo? Perché ci vergogniamo a cedere in un puntiglio, a deporre una nostra capricciosa opinione, a soffrire con mansuetudine una maldicenza, un cattivo termine, un torto qualunque?

Perché troviamo tanta difficoltà a rinunciare al nostro giudizio e a rimetterci al sentimento altrui? Perché nutriamo così spesso pensieri di stima, di vanità, di alterigia?

Sappiamo, pure, che senza umiltà nessuna virtù si può acquistare né può conservarsi né vi è chi possa arrivare a salvarsi senza di essa!

In Paradiso vi è chi non fu martire né contemplativo né vergine; ma non c’è nessuno che non sia stato umile. Ed è per questo che Gesù si prese tanta premura d’insegnarci, con stupendi esempi, la grande virtù della santa umiltà, perché senza essere umili non si può andare in Paradiso.

E noi siamo persuasi, siamo convinti di questa eterna verità? Perché non siamo umili, né cerchiamo di esserlo? Ci sembra di amare ed anche desiderare la santa umiltà, ma poi in pratica la temiamo perché il nostro amor proprio, nelle occasioni che ci si presentano di umiliarci, ci fa aborrire le umiliazioni.

Eppure Gesù non ci ha insegnato, come abbiamo visto, la sola umiltà di parola, ma anche l’umiltà di sentimento, di affetto e nelle opere. In questo noi non ci curiamo punto di applicarci e, sebbene ci vediamo circondati da miserie, da debolezze, da peccati, tuttavia ci stimiamo sempre qualcosa; ci teniamo al punto d’onore; ci offendiamo e l’abbiamo molto a male se qualcuno non ci usa riguardo, se non ci tratta come vorremmo essere trattati e se ci accorgiamo che gli altri non hanno di noi un buon concetto.

I santi non facevano così: desideravano invece che tutti avessero cattiva stima di loro, che tutti li disprezzassero e che nessuno credesse che fossero capaci di operare qualcosa di bene.

Di S. Teresa si legge che sentiva così bassamente di sé e delle sue azioni, che anche di fronte alle innumerevoli e specialissime grazie che Dio le accordava continuamente, al grandioso profitto che Ella andava facendo di giorno in giorno nella perfezione, si reputava la più poverella, la più miserabile, la più indegna, anzi la più enorme peccatrice che fosse al mondo. Quindi non parlava di sé, se non con espressioni della più profonda umiltà. «Per verità – dice Ella parlando di sé, al capo ottavo della sua autobiografia – io vorrei che mi aborrissero tutti quelli che leggeranno la mia vita, nel vedere un’anima tanto ostinata ed ingrata verso Dio, che le ha fatto tante grazie». Eppure tutti sappiamo quanto bene corrispondesse questa grande santa ai divini favori!

Così ugualmente di S. Margherita Alacoque si legge, che per fuggire il più possibile d’essere onorata, aveva fatto voto di non parlare mai in lode e giustificazione di se stessa, e domandò ed ottenne dal Signore che la grazia più segnalata, di cui era favorita (le apparizioni del S. Cuore) le si mutassero in materia di umiliazione e di disprezzo presso gli uomini, come appunto avvenne.

Anzi per il desiderio che aveva di essere tenuta in nessun conto, ma di essere disprezzata, chiedeva al Signore che volesse manifestare a tutti le sue imperfezioni e i suoi peccati, affinché tutti l’avessero in orrore e disprezzo.

Le sue Superiore attestano, che avrebbe fatto e detto cose di sua grande umiliazione, se non si fosse attenuta al consiglio di S. Francesco di Sales, che insegna di fare il bene con semplicità, senza fare né il folle né il savio, per conseguire biasimi o lodi.

Impariamo, quindi, anche noi, una buona volta, Sorelle mie, ad umiliarci, secondo l’espressione di Tommaso da Kempis nel suo aureo libro dell’Imitazione, impariamo a metterci sotto i piedi di tutti. Impariamo a rompere la nostra volontà e a darci ad una sottomissione totale. Sdegniamoci contro noi stessi e non tolleriamo che vi sia alterigia dentro di noi, ma mostriamoci così sottomessi e così piccoli, che tutti possano passeggiarci sopra e calpestarci come fango di strada. In questo modo, noi dimostreremo di aver imparato la grande lezione che Gesù Cristo ci diede di profondissima umiltà; e potremo quindi crederci Suoi veri seguaci ed aspirare a quella gloria che Egli ha promesso nel cielo a chi si fosse umiliato sulla terra: qui se humiliat exaltabitur . Amen.